Charles de Foucauld moriva il 1 dicembre del 1916 a
Tamanrasset in Algeria.
Questo è il giorno in cui tutte le fraternità lo ricordano,
ma per evitare di rendere tutto un po’ museale, o di dipingere il personaggio
come un eroe, o un santo da stampare in serie in formato tascabile, sarebbe
bene che ci lasciamo ancora provocare dalla sua esperienza. Una vita fatta di
continui cambiamenti, di ricerca costante del suo ideale di vita, ma
soprattutto fatta di passione per il suo “Beneamato Gesù”, come lo chiamava.
Chiaramente oggi leggendo ancora i sui scritti, che avevano il solo scopo e
obiettivo di essere appunti personali, beh! Ci fanno sorridere per la loro
forma e il loro stile linguistico, in molti passaggi risentono del devozionismo
dell’epoca, ma se si passa a leggere quella che è stata la sua esperienza e la
sua risposta al Vangelo, scoperto molto tardi nella sua vita, allora possiamo
comprendere quanto fosse fuori le righe del suo tempo. Per me lo è ancora: cosa
dice alla comunità dei cristiani oggi, quando parla di nascondimento, di lavoro
manuale, di mescolarsi nella massa, di apostolato dell’amicizia, di non essere
distinto dagli altri in nessuna maniera, “ ma essere in tutto come Gesù a
Nazareth”?
La nostra comunità cristiana e la nostra Chiesa è in
profonda crisi, e negarlo vuol dire non leggere la realtà e non saper vivere il
presente, rispondere alle sfide attuali con un ritorno in dietro nelle forme,
nelle strutture e nelle riflessioni teologiche, mi sembra una mancanza di
fiducia nel Vangelo stesso, o ancor peggio significa a mio parere, spendere
tutte le energie per imbalsamare e mummificare il Vangelo. Charles de Foucauld
dopo un lungo tempo di crisi e di vuoto, di indifferenza verso la fede e gli
uomini di fede, riscopre una presenza, che prima di tutto si incontra nella piccolezza
e nell’impotenza, e in particolare la scopre nella vicinanza all’altro.
All’inizio la sua scelta di vita religiosa lo ha spinto ad
andare nei luoghi e tra le persone che non erano evangelizzate, pur parlando di
un annuncio semplice, fatto nel silenzio e nella presenza dell’Eucaristia, era
comunque completamente immerso in quella mentalità e visione dell’annuncio, che rispondeva ad un binomio molto semplice: predicare il Vangelo e convertire. Ciò che a mio pare ha modificato e trasformato
completamente la sua visione, il suo pensiero e la sua prospettiva e per questo
ha profondamente mutato il suo relazionarsi con gli altri, è stato il lasciarsi
contaminare dalla gente.
Man mano che ha saputo abitare i luoghi, incontrare uomini e
donne di culture e religione diversa, inoltrandosi fisicamente nel cuore del
deserto verso le popolazioni più povere e isolate, la sua fede, il suo rapporto
con Dio e gli altri si è trasformato: non la conversione, ma la conoscenza dell’altro;
non l’apologia della propria fede, ma la condivisione dell’esperienza di Dio,
non più il battezzare ma l’immergersi insieme nella dimensione di Dio.
Di seguito altri testi per approfondire
Nessun commento:
Posta un commento