sabato 31 marzo 2018

Non posso credere


E’ uno spazio vuoto e svuotato quello che come un artigiano cerco di creare ogni giorno, non è un togliere ma un far spazio sapientemente e con cura, è come se preparassi un posto disponibile all'ospite inatteso e comunque desiderato; è un fermarsi per assaporare fino in fondo il movimento “dell’andare verso” o dell’abitare il tempo come una costante possibilità. Non è afferrare, né accaparrare, né mettere un sigillo di certezza assoluta, non è nemmeno un isolarsi o un bastare a sé stesso, è piuttosto  un costante slegare, liberare, generare e… soprattutto lasciarmi generare. E’ un abbandonarsi alla fragilità di sé e dell’altro.

E’ in questo spazio svuotato che mi resta difficile credere.

Credere che si possa diventare indifferenti agli esodi di massa, che le violenze tra i popoli hanno sempre mille ragioni inevitabili e che le giustificano; che l’altro sia sempre “altro da me” e mai parte di me, che si possa lottare per alcune minoranze e non per altre, che si senta sempre di stare dalla parte dell’umanità civile anche se questa “civiltà” poggia le radici della sua storia su un senso di superiorità e su continui tornaconti economici; faccio fatica a credere che possiamo chiamare conquista di civiltà l’individualismo esasperato e sempre più a difesa dei diritti privati, mai di un bene comune. Non posso credere che accettiamo di illuderci che un selfie possa veramente bastare per convincere gli altri e a noi stessi, che siamo al top, tanto meno posso cedere alla superstizione che in like magicamente concesso dalla divinità della massa, possa veramente ascoltare e cogliere la fame di riconoscimento che spesso ci portiamo dietro. No, non posso più sentirmi rassicurato e cedere la mia fiducia ad una voce calda e anonima di una pubblicità al cinema che mi rassicura dicendomi: “la tua vita può essere senza limiti”, per rifilarmi una connessione illimitata, se diventassi “ateo” di questa religione, non identificherei  mai la mia vita con il mio cellulare, tanto meno non pronuncerei voto di abbandono alla compagnia telefonica.

Non posso più credere.

Vorrei invece non aver più timore della fragilità di questo nostro essere uomini e donne che “tocco  quotidianamente, nel giorno dopo giorno; vorrei provare ancora fiducia nella liturgia di resurrezione che mi è sembrato di celebrare ascoltando sul cortile del mio palazzo, la storia dura e faticosa di una mia vicina, era Parola di Dio, che sapeva di fatica, malessere, fragilità, autodifesa contro un mondo sentito solo come ostile; in silenzio l’ho ascoltata fino in fondo, lei il celebrante ed io un qualunque fedele…solo alla fine, quasi di sfuggita per paura di essere scoperta, mi ha permesso di ascoltare e intravedere un piccolo barlume ancora di speranza, mi ha permesso di cogliere non solo la sua “vita sfasciata”, ma anche la sua divinità: ha lasciato la corazza dura della sua fatica per cedere ad un emozione, lontana da ogni giudizio.

Il mattino di Pasqua due donne andarono al sepolcro e il vuoto che trovarono fu disorientante. Da allora il cammino dei cristiani prende la linfa da questo disorientamento.