lunedì 21 agosto 2017

Non per quiete

Ci sono giorni in cui sento che il cuore desidera allontanarsi, prendere le distanze, in cui è forte il bisogno della solitudine, del rallentare e di dare un ritmo non nevrotico allo scorrere dei giorni. Nulla di triste, né tanto meno è l’insoddisfazione a spingermi a ricercare questa solitudine, nemmeno la stanchezza delle relazioni o l’insofferenza per questo tempo culturale che tanto urla e muove passi scomposti verso l’affannosa ricerca della continuo novità, no non è da qui che nasce l’esigenza e il desiderio di un tempo di eremitaggio . Il mio cercare giorni stracolmi di silenzio, o quel tempo lento che cerca di trattenere l’intimità, ha un’altra motivazione, è un altro il desiderio che mi muove: l’incontrare e il ritrovarmi in un Tu, che non ha limiti, che non ha misure, che non chiede e non stravolge, ma nella voce di un vento leggero si rivela come l’inizio della vita e il grembo di tutti gli inizi. Non scappo mai quando salgo in eremo, sarebbe il passo peggiore che potessi compiere, in questo caso lascerei spazio alle mie paure, a ciò che non voglio riconoscere in me come fragilità o incompiuto, quanto più fuggo da me tanto più la solitudine diventa cassa di risonanza di ombre non accolte e riconosciute, a cosa servirebbe? Semplicemente aumenterebbe il vuoto dell’isolamento. 

Preparo lo zaino quasi sempre all'ultimo istante, lo faccio alzandomi presto la mattina, ci metto dentro poche cose, l’essenziale per pochi giorni, per contro pongo molta più attenzione nel prendere  i libri che mi accompagneranno, scelgo parole pensate e scritte da altri che arricchiranno la sete di ascolto, apriranno gli orizzonti a partire dallo stare fermo in adorazione e nello spazio essenziale di una piccola casa che è eremo, spazio essenziale che unifica e raffina l’ascolto. Scelgo sempre le parole che mi accompagneranno, so che risuoneranno in maniera particolare e quindi curarne la scelta vuol dire prendermi cura di me, di ciò che sarà nutriente; non lascio da parte la Parola né i piccoli libri dove da anni raccolgo le preghiere che mi raccontano e dicono del mio cuore a cuore con Lui.
Ogni volta che salgo all'eremo Angela Paola ad Amandola, vengo sempre  accolto e accompagnato da sguardi, voci e incontri che mi tengono i piedi ben piantati per terra: le persone del posto riconoscono la mia auto e non mancano di fermarsi il primo giorno e darmi il ben venuto e spesso, anche se pur brevemente, mi consegnano il loro quotidiano sapendo che lo porterò nella preghiera, non è un atto magico o una sorta di superstizione, credo al contrario che quando la vita degli altri la fai risuonare nel cuore di Dio in totale abbandono, senza nulla chiedere né forzare, la ricolleghi in un flusso di vita piena e buona e nel momento che fai questo ti riconosci parte della vita degli altri, muovendoti in nuove relazioni. Il volto, le parole e i saluti delle persone mi indicano il modo sano di entrare in un tempo di solitudine.
In questo silenzio mi ritrovo nella certezza di stare costantemente con Te e non c’è nulla che interrompa per un attimo questo sentire tangibile e fragile allo stesso tempo, perché non è un esercizio del pensiero, tra me e te Signore c’è un abitarci reciproco e costante, che si vive, non si pensa.
Accidenti se risuonano le parole che ho ascoltato nei mesi, se irrompono le relazioni conflittuali come ospiti indesiderati, insieme alle fratture della mia storia, le ferite degli altri con cui sono entrato in contatto; come si amplificano nel silenzio dell’eremo le negligenze di questo tempo e come appaiono false le parole urlate che sono fumo negli occhi e che costantemente bombardano le nostre orecchie, inquinando l’ascolto, mentre veniamo ubriacati di immagini, per convincerci che ciò che si vede è verità, mentre è solo ciò che si ascolta nel profondo e in uno spazio di disponibilità e nell'esercizio di un pensiero critico e costantemente confrontato con altri pensieri,   che possiamo avvicinarci un po’ alla realtà e alla verità di questo mondo.

Questi giorni sono abitati anche dai fatti, lascio entrare anche le parole che vengono usate per dare notizia, la mia preghiera è anche con il giornale. Nel ripetersi ormai vuoto e monotono di liturgie laiche, che scimmiottano sacralità volutamente accantonate, parole di circostanza che tendono a ritirare su l’umore dei popoli dopo l’ennesimo attentato, mi innervosisco, mi irritano, provo ribellione, e sento che il Vangelo mi spinge ad avere coraggio come lo ebbe Gesù in un giorno qualsiasi quando entrato nel Tempio gettò  i banchetti dei cambiavalute al vento. Cosa vuol dire “non cambieremo il nostro stile di vita”, se dietro a tanta retorica non si chiarisce a quale “stile” ci si riferisce, perché si sbandiera la libertà e i diritti, le uguaglianze e le opportunità per tutti, nascondendo altro, molto altro, come gli interessi, le violenze, le armi vendute, gli sfruttamenti selvaggi di popolazioni intere, lo sradicamento di convivenze sagge e mature tra culture e religioni, per impiantare guerre e contrapposizioni fomentate in nome di interessi economici di altre nazioni, le nostre nello specifico. Il silenzio dell’eremo , ho scoperto, non è anestetizzante, non ti acquieta l’animo, non ti inebetisce, non ti disincarna lo sguardo puntandolo sull'attesa di un paradiso oltre il tempo della vita carnale, il silenzio dell’eremo, ma soprattutto il sentirsi abitati da Dio, mi pongono in maniera disarmante di fronte ad una scelta: quale stile di vita intendi assumere? Quello che ingozza il tuo IO o nutre gli orizzonti del NOI?