giovedì 31 agosto 2017
lunedì 21 agosto 2017
Non per quiete
Ci sono giorni in cui sento che il cuore desidera
allontanarsi, prendere le distanze, in cui è forte il bisogno della solitudine,
del rallentare e di dare un ritmo non nevrotico allo scorrere dei giorni. Nulla
di triste, né tanto meno è l’insoddisfazione a spingermi a ricercare questa
solitudine, nemmeno la stanchezza delle relazioni o l’insofferenza per questo
tempo culturale che tanto urla e muove passi scomposti verso l’affannosa
ricerca della continuo novità, no non è da qui che nasce l’esigenza e il
desiderio di un tempo di eremitaggio . Il mio cercare giorni stracolmi di
silenzio, o quel tempo lento che cerca di trattenere l’intimità, ha un’altra
motivazione, è un altro il desiderio che mi muove: l’incontrare e il ritrovarmi
in un Tu, che non ha limiti, che non ha misure, che non chiede e non stravolge,
ma nella voce di un vento leggero si rivela come l’inizio della vita e il
grembo di tutti gli inizi. Non scappo mai quando salgo in eremo, sarebbe il
passo peggiore che potessi compiere, in questo caso lascerei spazio alle mie
paure, a ciò che non voglio riconoscere in me come fragilità o incompiuto,
quanto più fuggo da me tanto più la solitudine diventa cassa di risonanza di
ombre non accolte e riconosciute, a cosa servirebbe? Semplicemente aumenterebbe
il vuoto dell’isolamento.
Preparo lo zaino quasi sempre all'ultimo istante, lo
faccio alzandomi presto la mattina, ci metto dentro poche cose, l’essenziale
per pochi giorni, per contro pongo molta più attenzione nel prendere i libri che mi accompagneranno, scelgo parole
pensate e scritte da altri che arricchiranno la sete di ascolto, apriranno gli
orizzonti a partire dallo stare fermo in adorazione e nello spazio essenziale
di una piccola casa che è eremo, spazio essenziale che unifica e raffina l’ascolto.
Scelgo sempre le parole che mi accompagneranno, so che risuoneranno in maniera
particolare e quindi curarne la scelta vuol dire prendermi cura di me, di ciò
che sarà nutriente; non lascio da parte la Parola né i piccoli libri dove da
anni raccolgo le preghiere che mi raccontano e dicono del mio cuore a cuore con
Lui.
Ogni volta che salgo all'eremo Angela Paola ad Amandola, vengo
sempre accolto e accompagnato da
sguardi, voci e incontri che mi tengono i piedi ben piantati per terra: le
persone del posto riconoscono la mia auto e non mancano di fermarsi il primo
giorno e darmi il ben venuto e spesso, anche se pur brevemente, mi consegnano
il loro quotidiano sapendo che lo porterò nella preghiera, non è un atto magico
o una sorta di superstizione, credo al contrario che quando la vita degli altri
la fai risuonare nel cuore di Dio in totale abbandono, senza nulla chiedere né forzare,
la ricolleghi in un flusso di vita piena e buona e nel momento che fai questo
ti riconosci parte della vita degli altri, muovendoti in nuove relazioni. Il
volto, le parole e i saluti delle persone mi indicano il modo sano di entrare
in un tempo di solitudine.
In questo silenzio mi ritrovo nella certezza di stare costantemente
con Te e non c’è nulla che interrompa per un attimo questo sentire tangibile e
fragile allo stesso tempo, perché non è un esercizio del pensiero, tra me e te
Signore c’è un abitarci reciproco e costante, che si vive, non si pensa.
Accidenti se risuonano le parole che ho ascoltato nei mesi,
se irrompono le relazioni conflittuali come ospiti indesiderati, insieme alle
fratture della mia storia, le ferite degli altri con cui sono entrato in
contatto; come si amplificano nel silenzio dell’eremo le negligenze di questo
tempo e come appaiono false le parole urlate che sono fumo negli occhi e che
costantemente bombardano le nostre orecchie, inquinando l’ascolto, mentre
veniamo ubriacati di immagini, per convincerci che ciò che si vede è verità,
mentre è solo ciò che si ascolta nel profondo e in uno spazio di disponibilità
e nell'esercizio di un pensiero critico e costantemente confrontato con altri
pensieri, che possiamo avvicinarci un po’ alla realtà e
alla verità di questo mondo.
Questi giorni sono abitati anche dai fatti, lascio entrare
anche le parole che vengono usate per dare notizia, la mia preghiera è anche
con il giornale. Nel ripetersi ormai vuoto e monotono di liturgie laiche, che
scimmiottano sacralità volutamente accantonate, parole di circostanza che
tendono a ritirare su l’umore dei popoli dopo l’ennesimo attentato, mi
innervosisco, mi irritano, provo ribellione, e sento che il Vangelo mi spinge
ad avere coraggio come lo ebbe Gesù in un giorno qualsiasi quando entrato nel
Tempio gettò i banchetti dei
cambiavalute al vento. Cosa vuol dire “non cambieremo il nostro stile di vita”,
se dietro a tanta retorica non si chiarisce a quale “stile” ci si riferisce,
perché si sbandiera la libertà e i diritti, le uguaglianze e le opportunità per
tutti, nascondendo altro, molto altro, come gli interessi, le violenze, le armi
vendute, gli sfruttamenti selvaggi di popolazioni intere, lo sradicamento di
convivenze sagge e mature tra culture e religioni, per impiantare guerre e
contrapposizioni fomentate in nome di interessi economici di altre nazioni, le
nostre nello specifico. Il silenzio dell’eremo , ho scoperto, non è
anestetizzante, non ti acquieta l’animo, non ti inebetisce, non ti disincarna
lo sguardo puntandolo sull'attesa di un paradiso oltre il tempo della vita
carnale, il silenzio dell’eremo, ma soprattutto il sentirsi abitati da Dio, mi
pongono in maniera disarmante di fronte ad una scelta: quale stile di vita
intendi assumere? Quello che ingozza il tuo IO o nutre gli orizzonti del NOI?
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