martedì 30 novembre 2021

Libero a sua insaputa.

 


Una sera qualsiasi, nel profondo deserto algerino. Nulla di speciale, le ore scorrevano senza far rumore, né lasciavano segni particolari, nemmeno il trambusto di chi prepotentemente e con inganno, entrava nella “fraternità fortino” che si era costruito, turbò il quotidiano di quel minuscolo e sconfinato angolo di deserto.

La narrazione di quel che è successo quella sera del 1 dicembre 1916 a Tamanrasset in Algeria, vuole a tutti i costi provare a dare senso ad una fine che in realtà è passata pressoché inosservata, fagocitata  da ben altre turbolenze che quella popolazione stava vivendo;  uno straniero che muore dopo il tentativo di rapina, che vuoi che importi, anche se quello straniero voleva a tutti i costi essere considerato come fratello, stranezze da occidentali.

Audace, caparbio, mai sottomesso alle regole, capace di grande vivacità intellettuale, senza misura nel vivere l’amicizia, attratto dalle sfide e dalle continue novità, abile nel muoversi tra le convenzioni culturali del proprio tempo e allo stesso momento, efficace e libero nel romperle, per andare dove indicava la curiosità e la sfida. Credo che Charles de Foucauld sia stato anche questo e lo è stato fino all’ultimo secondo della sua esistenza, è stato capace di essere dentro le sue contraddizioni con lo spirito di chi spinge la curiosità sempre oltre, tanto da rendere mai banale ogni sua scelta. Ha cercato la piccolezza, perchè affascinato da Gesù di Nazareth, ma la passione con cui ha vissuto, non è stata affatto piccola. Ci vuole audacia per entrare in profondità nella propria esistenza, ci vuole coraggio e profonda libertà per non cedere alla banalità del “già dato” e gettare il proprio sé oltre lo scontato. Occorre essere anche un po’ spregiudicati e folli, per saper lasciare ciò che nella vita ormai ha perso di senso e con decisione gettarlo via, perché si fa spazio al nuovo; ci vuole un’apertura di animo, di spirito e d’intelligenza per lasciarsi stravolgere da un incontro, per farsi cambiare dal volto dell’altro. Anche questo è stato Charles de Foucauld.


E’ andato nel deserto per generare relazioni.

Si è avventurato nel profondo della solitudine per costruire fraternità.

Si è riconosciuto e radicato nell’essere discepolo del Vangelo ed ha abitato con delicatezza e profondo rispetto la fede di altri.

Si è nutrito delle categorie culturali del suo secolo ma non ne è rimasto imbrigliato.

Charles de Foucauld per me è un uomo libero a sua insaputa; ha vissuto, ha vissuto molto, non ha avuto mezze misure in nulla, né negli slanci, né nelle sue contraddizioni e incongruenze; non era piegato in se stesso, ma era rivolto verso l’umano.


Non ha costruito per sé  un nido sicuro, un progetto stabile, una strada dritta, una regola perfetta, al contrario: ha coltivato l’incertezza per essere flessibile e capace di frequentare ogni “domanda”, da vero e profondo monaco quale aveva scelto di essere; giorno dopo giorno si è preoccupato di demolire pezzo pezzo la propria rigidità, la propria indifferenza, la propria pigrizia, la propria autosufficienza, per non perdere nulla dell’abbraccio ricevuto da Dio e quindi per essere come Lui completamente abbordabile dalle donne e dagli uomini che tenacemente incontrava. Lui profondo calcolatore e organizzatore, esploratore ben attrezzato e astuto, abile e preparato, ha scelto di vivere la vertigine dell’abbandono totale, della fiducia senza misura e del rischio dell’intimità con Dio e con gli uomini.

Fratel Charles è stato sicuramente un uomo oltre il suo tempo, anzi fuori tempo, come ogni vita inconsapevolmente e involontariamente profetica, non ci indica nessun modello, non definisce nessuna conquista,  ci grida con la sua vita che ne vale la pena appassionarsi al Vangelo e a quell’uomo di Nazareth.