giovedì 22 dicembre 2016

Tieni le tue mani vuote


Per i ricchi che abitano nei ghetti delle classi agiate, gli altri ghetti sono luoghi in cui non vogliono entrare, per i poveri sono i luoghi da cui non possono uscire 
                                                                  
                                               Z. Bauman

Libera le mani se vuoi avvicinarti e avventurarti nell’incontro con l’altro, “fai spazio”  a ciò che di inaspettato l’altro ti condivide, liberati dal rischio di mercificare le relazioni, disintossica la tua parte più intima da quella domanda ingannevole: “a che mi serve” e accogli la libertà del “non pretendere”; non preoccuparti se ti senti a volte inadeguato di fronte alla storia e alla vita di chi incontri, la rivoluzione oggi è nascosta nel saper stare accanto senza  fuggire, essere fedele nel tempo senza diventare eroi, la rivoluzione avviene quando ti lasci prendere per mano da qualcuno che lentamente, a suo tempo e nelle sue modalità, ti accompagna nelle pieghe più nascoste della sua esistenza e la sua fiducia ti chiede di essere fratello silenziosamente presente.

Arrivo  a Natale con le mani vuote in cui alcune persone hanno posto queste piccole certezze, sono stati altri ad annunciarmi il Vangelo, quando nel mio quotidiano a tratti un po’ stanco e affaticato, ho potuto vivere un incontro, lasciarmi andare ad un ascolto, mettermi seduto alla tavola di qualcuno e  lasciando l’assillo del tempo che scorre, abbandonarmi al piacere del raccontarsi reciprocamente. Il Vangelo mi è stato annunciato, discretamente, silenziosamente, nelle ore più improbabili e nelle giornate troppo distratte e soffocate da impegni, è arrivato all’improvviso senza programmi né calcoli, non ha mai usato mezzi potenti, né preparato luoghi artificiali, è risuonato forte con tutta la sua rivoluzione profonda, la sua vitalità, nei posti e nei luoghi inaspettati perché, ne sono sempre più convinto, “Dio è là dove meno lo aspetti: nel quotidiano”.


Il Vangelo è arrivato con il volto, la voce, la parola del mio vicino indiano, che mi condivide le sue scelte, mi fa ascoltare la durezza dell’essere immigrato sulla linea di confine che lo rende distante da questo mondo e il suo mondo culturale, è ormai straniero ed estraneo per tutti. Il Vangelo arriva come pugno nello stomaco, come grido che non si vuole ascoltare, quando la sua voce è quella di donne che, ridotte al nulla sono state vendute ed utilizzate come merce per guadagni avidi e insaziabili, quando ascolto le loro storie e con incertezza cerco di entrare nel loro vissuto, allora il Vangelo non ha nulla di dolciastro, è grido che scuote, che destabilizza, che domanda, che fa ancora più male quando scopri che in tutto questo la società è volutamente sorda. Il Vangelo arriva poi come “soffio di vento leggero” tra le parole della mia amica in strada sotto casa, che tra un saluto e l’altro ogni tanto quando è sola, mi confida quello che sente e vive, e mi ripete “io ho una dignità”, e quando mi vede di corsa da lontano mi dice “fratello ricordati di me se vai in chiesa”, che strano anche la strada in un attimo possiamo trasformarla come luogo sacro, perché gli incontri sono il sacrario di Dio.

Questa mi sembra davvero una Buona Notizia, Dio ci ha svuotato le mani, ha tirato in aria i banchetti dei cambiavalute e dei venditori dei Templi moderni, dove il culto di un io fai da te e autoreferenziale svuota di senso la vita, incensandola di nichilismo; la Buona Notizia è ancora presente, è in movimento, trasforma nel silenzio, fiorisce nel deserto, non si impone né fa rumore.

Nella notte solo i pastori si accorsero e si misero in movimento, solo loro ascoltarono e per questo furono capaci di lasciare il luogo dove da tempo stazionavano, portarono qualcosa con loro…si, perché quello che incontrarono fu un Dio che ebbe finalmente il coraggio di avere lui stesso
“le mani vuote”.         






mercoledì 30 novembre 2016

A piedi nudi...

L’esperienza di vita di Charles de Foucauld, il suo modo tutto originale di incarnare l’incontro con Dio e con il Gesù del Vangelo attraverso una condivisione di vita piena delle popolazioni più emarginate, il desiderio di essere là, dove l’incontro sembra difficile e improbabile, questa sua storia è “fuori tempo” per il nostro oggi, o è ancora nel solco della profezia?  Nel tempo dell’individualismo, della perdita del senso di comunità e  del bene comune, ci piacerebbe accogliere una provocazione e una visione della vita e della fede decisamente contro tendente, che non ama “urlare” il proprio pensiero, non assolutizza i propri valori, non chiede all’altro, diverso da se, di eclissarsi, e che fa della passione e della consapevolezza piena della propria storia umana e cristiana, il luogo per poter incontrare e annunciare il Vangelo proposto ma non imposto. A cento anni dalla morte di Charles de Foucauld vorremmo cogliere e accogliere ancora oggi le sue più interessanti intuizioni, per questo invitiamo all’incontro domenica 4 dicembre 2016 presso la parrocchia San Marco alle Paludi (Fermo); a partire dalle ore 16.00 fino alle ore 18.00 avremo uno scambio con i piccoli fratelli del Vangelo che sono a Spello. L’incontro è aperto e chiunque desidera approfondire, conoscere la spiritualità di Nazareth.



venerdì 23 settembre 2016

Chi fa da se...fa tristezza

 In un angolo della mia casa, sosta silenziosa e quasi inerme, la mia chitarra, non ricordo nemmeno il suono che è capace di produrre tanto è il tempo che non la utilizzo, sono una quelle attività che si fanno da giovani e si consumano come abbuffate che poi diventano indigeste e non ti va nemmeno più di avvicinarle, così è stato per la mia povera chitarra: suonata alla meno peggio, con un particolare accento sul “peggio”, sottoposta a vibrazioni esagerate per il metodo “fai da te”, trasportata ovunque e lasciata a destra e sinistra, nelle mani di chiunque. La mia chitarra è un regalo di un gruppetto di giovani che negli anni dell’attività parrocchiale, pensarono bene di munirmi di qualcosa di più decente rispetto a quella che possedevo in  precedenza, che almeno avesse la dignità di essere classificata come chitarra. Questa mattina il suo essere ferma nel suo angolo mi ispira, la tiro fuori dalla sua custodia di jeans (rigorosamente fatta a mano) e guardo la sua “cicatrice”. In un angolo della cassa di risonanza è ben visibile la rottura subita e la successiva riparazione da parte di un liutaio. Non è la “rottura” che attira la mia attenzione, né la metafora della ferita, ma la perdita della capacità di essere “cassa di risonanza” che quel pezzo mancante provocherebbe se non fosse stato riparato.
Sono anni che cerco nel mio quotidiano di curare, accogliere, rendere attivo il “silenzio” come cassa di risonanza della vita e degli incontri; per me, nel tempo, è diventato come lo spazio fecondo che accoglie e genera, una dimensione radicata lentamente e divenuta parte naturale della mio essere, riconosciuta come presente sin dall'inizio del mio esistere e non come luogo ricevuto dall'esterno o creato artificialmente; il silenzio è diventato sempre di più un talamo nuziale, dove la carnalità, il contatto, si nutre, si lascia trasformare, rigenerare, superare dalla dimensione dall'esperienza di intimità, che non è fame vorace, ma esperienza sempre possibile quando il “voler possedere” cede definitivamente il posto al “lasciarsi ricevere” e “saper ricevere”.  Il silenzio è questo luogo in me, con la sua fragilità, la sua delicatezza, la sua necessità di cura, la sua attrazione e la sua passione.
Il silenzio è anche il custode e la forma della mia scelta di celibato, a condizione che in esso si realizzi, sperimenti un “essere coniugato”. La mia chitarra se non fosse passata di mano in mano, se fosse restata gelosamente protetta e custodita al riparo da tutto e tutti, se non fosse stata toccata da mani differenti che l’hanno fatta “vibrare”, beh! Sicuramente oggi non aveva quella vistosa riparazione e il suo suono sarebbe stato differente: pulito, chiaro, affinato e voce di un solo io, quello del suo unico e geloso proprietario. E’ l’illusione subdola e convincente dell’essere “perfetto”, in cui i risultati sono sempre splendidi, ma è quella perfezione che a lungo risulta “innaturale”. A me sembra che questo sia oggi, lo spartito che va per la maggiore, che è capace di fare tutte le melodie, con una sola nota: l’IO. A dirla tutta, a me questo tipo di musica che va per la maggiore…non mi piace.
Meglio stonare, avere un suono poco limpido, affaticarsi nell'armonizzarsi con altri, ed affinare l’orecchio nel cercare quell'accordatura che non arriva mai, ma è sempre possibile; meglio il NOI faticosamente raggiunto da un' orchestra, in cui la mia chitarra ammaccata, zitta zitta potrebbe anche suonare, che l’IO solista che a forza di distinguersi non sa più godersi una barretta tra pari a fine concerto .


E grazie soprattutto a quel discreto Liutaio, artigiano rigoroso, paziente, delicato, che non vede i pezzi rotti e inutili, ma genera nuove possibilità…le sue mani hanno reso, la mia chitarra ferita, ancora capace di suonare un NOI.







martedì 13 settembre 2016

Prepara la valigia e ...mettiti in cammino

...E’ tempo di prendere di nuovo la valigia e prepararla, è il tempo della decisione appassionata, dell’abbandonarsi senza misura alla reciprocità con Dio e gli altri, è il tempo in cui il “fidarsi” ha il sapore fresco, gustoso e irrinunciabile dell’essere stato accolto; è il tempo in cui matura il desiderio profondo che ciò che si è vissuto, scoperto, sperimentato non abbia scadenze, ma diventi il grembo che genera novità nel ripetersi del giorno dopo giorno, in un sempre che non spaventa. Apro la valigia e non è da riempire, c’è di tutto: volti, situazioni, incertezze, vulnerabilità e incoerenze, poi ci sono “parole” consegnate, sguardi amplificati dal silenzio, storie che hanno chiesto ascolto; ci sono anche vecchi appunti di progetti mai realizzati. Li guardo, non li tocco, mi do il tempo per sentirli ancora vivi in questo oggi; poi mi accorgo che la valigia ha ancora dello spazio “vuoto”. Non voglio riempirlo, preferisco custodirlo…è la parte più importante del viaggio fin qui vissuto, è il posto che Dio si è ritagliato nella valigia consumata da questi anni, è lì che sento risuonare il mio desiderio più profondo, è lì che non percepisco il tempo, ma colgo lo spazio per un incontro senza tempo. 

Non sempre comprendo il contenuto di questa valigia, anche di quest’incertezza non posso ormai fare a meno. Se guardo la valigia mi dico con passione che il biglietto ha una direzione ben precisa: nel cuore di Dio e nel cuore degli uomini.
Andiamo si parte.







mercoledì 29 giugno 2016

Le parole del silenzio e gli sguardi creativi



Le mattinate più libere sono una vera rarità, dopo l’abbuffata d’impegni lavorativi, tra i progetti nelle scuole e il lavoro in comunità d’accoglienza, mi rendo conto che avere ora del tempo per riprendere le energie e interiorizzare anche quanto ho vissuto, è una grande opportunità oltre che una vera e propria necessità umana e professionale. Immerso costantemente in differenti situazioni, in ascolto del quotidiano e delle fatiche che i ragazzi vivono, scopro come sia utile  e necessaria  avere una buona dose di energia e perché no, anche di passione; è una bella sfida il lavoro che ho scelto di portare avanti, me ne accorgo quando di fronte all'altro mi ritrovo a contatto stretto con quello che l’esistenza umana può significare: più avvicino, accompagno e incontro la fatica dell’altro, più sento dentro risuonare quei “tasti dolenti” come li chiama Daniele Novara, che mi ricollegano alla mia storia, alla mia realtà personale, fatta anch'essa di fatiche, ferite, conquiste, possibilità e vulnerabilità.
La sfida più grande che sento di dover accogliere è quella di assumere la mia “responsabilità d’adulto”; nel momento in cui esprimo questa convinzione e la formulo con quest’espressione “responsabilità d’adulto”, mi rendo conto di essere fuori tempo, di usare un linguaggio “passato”, di far riferimento a ciò che non è più considerato assolutamente “al passo con i tempi”, anzi nel momento in cui la faccio risuonare  nella mia testa, emerge, non so per quale motivo e spinta da chi, un’altra convinzione: “ti sei proprio invecchiato!”. L’adulto nel nostro immaginario ormai è quasi sempre sinonimo di “fine corsa”, di arrivato, inamovibile, l’adulto è visto e percepito anche come colui che ha trovato “il posto fisso”, che ha fatto scelte, questa condizione e status dell’adulto non rispecchia assolutamente il vivere di oggi, direi meglio non risponde più al bisogno degli “adulti” di questo tempo.  Sono costantemente posto di fronte a situazioni personali caratterizzate da un continuo fluttuare, un’instabilità, un incertezza, un assenza di punti fermi, una situazione esistenziale che vedo riflessa nei ragazzi quanto negli adulti (anagraficamente parlando); mi colpisce come le incertezze e quella sana confusione per il futuro che vivono gli adolescenti, risuona ancora in molti adulti, ma in loro stona, quella si che è “fuori tempo”. 
Scrive Francesco Stoppa: “ Si è parlato molto dell’incapacità della generazione adulta d’oggi di assumersi quella che si chiama funzione paterna. Amici, fratelli o sorelle dei propri figli si!, ma per favore, non genitori1 e aggiunge la citazione di Senzolo: “ E’ proprio la differenza ad essere esorcizzata, sembra che tutto si debba assomigliare, i genitori ai figli, gli adolescenti  agli adulti, tutti coinvolti in uno stile all'insegna del giovanilismo, al cui cuore sta l’idea che occorre mantenere aperte tutte le possibilità, procrastinando indefinitamente il tempo delle scelte.”2 Questa sento che è la grande illusione e l’inganno che goccia dopo goccia trasforma, modella ed entra in profondità trasformando il senso che diamo all'essere uomo. A quest’illusione voglio ribellarmi, fare resistenza e scegliere, proprio nella responsabilità d’adulto, di non accogliere questa sorta di “legge naturale” di cui non conosciamo la fonte ispiratrice, anche se basta spegnere le informazioni di massa e mettersi in buona compagnia dei libri e si può ben scoprire chi è il creatore di questo nuovo verbo incarnato. La fatica di noi adulti toglie speranza e creatività ai giovani, con chi si misurano, con chi possono sperimentare quella sana contrapposizione, a chi si ribellano per affermare che non vogliono rinunciare ad essere protagonisti e fautori del cambiamento, non hanno più voglia di farlo, o peggio non ne sentono la necessità, nessuno gli ha detto che tocca a loro sporcarsi le mani, faticare, battersi, nessuno li pone davanti ad un affermazione molto scomoda e vitale: ora tocca a te perché a me tocca fare un passo a lato. Afferma ancora  F. Stoppa, gli adulti non voglio cedere il posto di contestatori e ribelli ai loro figli, sono ancora convinti di essere il centro del cambiamento, quando invece sono in un tempo diverso dell’esistere; se non facciamo spazio, che non è retrocedere, dimettersi, rinunciare alla creatività, ma saper cogliere e vivere un altro tempo del nostro esistere, lasciando che siano altri a raccogliere la sfida del camminare, del trasformare, allora diventeremo solo degli ostacoli, degli intralci. Mi piace scoprire in questo mio tempo della maturità, che essenzialmente mi viene proposto di essere credibile quando affermo: ne vale la pena spendersi, costi quel che costi.


La scelta contemplativa che cerco di vivere nel contesto del quartiere vuole avere proprio questa dimensione, questo sguardo gettato in avanti senza mai perdere di vista il presente, assumendolo a partire dalla realtà concreta, cioè dal basso, da quella realtà umana della maggior parte della gente che non viene mai raccontata dalla comunicazione di massa. In questo contesto, dove ci si perde, disperde e ci si ritrova grazie alla forza  delle parole non buttate a caso quando nascono da incontri profondi, o dagli sguardi di attenzione di alcuni vicini che narrano un modo differente di essere in relazione, è da questo giorno dopo giorno anonimo e disperso, che mi arriva una spinta vitale, mi fa sentire concretamente che la vita ancora può gorgogliare tra le mani, che non passa sola da me e grazie a me, ma oltre me. E’ una grande sfida questa epoca che stiamo vivendo, forse siamo troppo imprigionati dall'idea di crisi, e l’uomo che si sta costruendo è di sabbia, perché sempre più irrigidito e ingabbiato dall'illusione dell’individualismo e della perdita di sé, come dice Catherine Ternynck 3, questo si è il nuovo idolo, che ti fa sentire libero se ti sottometti al suo pensiero; ma dal basso la realtà risuona diversamente, anche qui la “contaminazione”, non risparmia nessuno, eppure silenziosamente si può scorgere altro. E’ il tempo delle parole del silenzio e degli sguardi creativi.




1 F. Stoppa; "La restituzione; perchè si è rotto il patto tra generazioni"; ed Feltrinelli; cit. p. 159
2 G. Senzolo; "Ritrovare il futuro"; cit. p. 119.
3 K. Ternynck; " L'uomo di sabbia; individualismo e perdita di sé" ed. Vita e Pensiero.

lunedì 16 maggio 2016

" In certi momenti sentiamo, nella fede, 
che esiste in noi un luogo segreto, 
nel quale la preghiera non si interrompe mai.

Dio in esso ci interpella continuamente,
 e noi in quel luogo sperimentiamo di essere legati a lui."

André Louf

"L'uomo interiore"; André Louf; ed Qiqajon

mercoledì 11 maggio 2016

Trasgressioni pericolose

Anche oggi sul pianerottolo di casa, nella fugacità dei movimenti, tra i saluti di cortesia e le piccole domande di buona educazione, fatte di “buon giorno, come va?” e “tornato adesso dal lavoro?”, trova sempre spazio una domanda molto precisa:   “ ma tu come mai vivi qui?”.

La domanda chiaramente cela una visione della realtà, un giudizio ben preciso su quest’ambiente, una fatica rispetto ad un contesto sociale non facile da abitare, non si sceglie di venire qui, come mi disse una signora africana, qui si sta per necessità, per mancanza di alternative, allora è lecito domandare: "perché vivi qui?". Sinceramente quasi mai rispondo a questa domanda, lascio che il mio interlocutore esprima di più la sua curiosità, ed in genere si apre un dialogo che mi porta nel mondo dell’altro, alla fine è chi mi sta di fronte, a raccontarmi la sua storia e il motivo per cui è finito qui, è successo così anche questo pomeriggio. Spesso il rimanere in silenzio per ascoltare in profondità, crea fiducia reciproca, evita che ci si fermi alla superficie della domanda e lascia spazio ad uno scambio molto più profondo. Mi costa fatica, eppure lentamente, nel giorno dopo giorno, scopro veramente dove può condurmi l’ascolto: dritto nel cuore della fiducia reciproca. Man mano che conosco l’ambiente, che prendo consapevolezza delle situazioni, delle dinamiche, della realtà sociale in cui vivo, prendo consapevolezza di quello che vuol dire trovarsi a parlare con qualcuno ed aprirsi, raccontarsi, è veramente qualcosa di straordinario e prezioso quando avviene: dove il sospetto è norma, la fiducia diventa trasgressione. Perché vivo qui allora? Forse per imparare certi tipi di trasgressione e si trasgredisce insieme, almeno per i miei gusti.


La mia vita nel quartiere è molto discreta, per certi aspetti anche riservata, non faccio nulla di speciale, cerco semplicemente di non porre barriere negli incontri possibili, mi lascio accompagnare dalla realtà e la realtà è fatta principalmente di persone, con le loro storie più o meno complicate e più o meno nascoste, questo è il terreno fecondo dove giorno dopo giorno provo a radicarmi, provo a dare concretezza a quell'essere "piccolo fratello"; comprendo che esternamente  ciò che emerge è una sorta di inerzia, di passività, di isolamento, in realtà scopro che è esattamente il contrario. Il “non fare” è la scelta del “non fare per primo”, “non fare al posto di”, per “muoversi con” ed essere presenti nel momento in cui una piccola o grande speranza nella vita di qualcuno si manifesta palesemente.


Mi ero trattenuto  con il mio vicino sul pianerottolo solo perché quella domanda consueta mi aveva invitato di nuovo a fermarmi un po’ di più, ma in realtà stavo andando al piano di sopra da un altro vicino indiano, il motivo era semplice: un piccolo aiuto per comprendere i test della scuola guida. Non so come si possa passare dai test per la patente B, al racconto della propria vita in Italia, alle fatiche vissute, fino alle ferite che ci si porta dietro per esperienze difficili, probabilmente non è nemmeno così importante saperlo, ciò che conta veramente è che si possa sperimentare la trasgressione della fiducia reciproca, di cui sopra. Tra me ripenso alla domanda sul pianerottolo e sorrido sotto i baffi: ecco perché sono qui.


cfr. Luciano Manicardi; "Il Vangelo della fiducia"; ed. Qiqajon

sabato 26 marzo 2016

Il giorno che irrompe

Mi piace entrare in chiesa in questa giornata;  la trovi vuota, spogliata completamente di tutto, deserta, sembra che sia stata smantellata, che siano fuggiti tutti; non puoi appoggiare né lo sguardo, né il cuore, su nulla: un segno, un immagine, nulla di nulla…il Dio che forse cerchi, ha lasciato un vuoto. Non ci sono riti, nemmeno preghiere, non c’è musica, ne preparativi: non c’è nulla. Mai come in questo momento ho sentito forte questo vuoto. Da esso si può fuggire, in esso ci si può perdere e disorientare, o con esso si può apprendere l’attesa, dipende solo dalla scelta che si compie: tagliare a corto ed evitarlo, oppure fermarsi e abitarlo. Nel vuoto del sabato santo non c’è nessuna certezza che qualcosa avverrà, c’è la concretezza della realtà che si dona senza mezzi termini, grazie a quel vuoto; nel silenzio del sabato di  Pasqua, ogni parola urlata, manipolata, scagliata, abusata, si frantuma perché è svelata nella sua inconsistenza e nella sua incapacità di cogliere il reale, queste parole perdono  senso nell’incontro del grande silenzio di Dio.  Nel vuoto che questa giornata mette in evidenza, non c’è un sepolcro che viene rappresentato, ma un sepolcro che viene svelato. Dio si è svuotato, questo ci potrà salvare, nel senso che questo gesto di Dio potrà rivelare dove siamo e cosa stiamo scegliendo oggi nella storia che stiamo vivendo e costruendo. In un tempo come il nostro e mi riferisco in particolare al nostro contesto culturale e sociale occidentale, in cui tutto va riempito oltre misura, non sono  mai contemplati momenti di vuoto, né di silenzio, si è presenti  per contro, nello stesso istante, in situazioni e spazi diversi grazie a un solo click, per il nostro contesto culturale, questo giorno di vuoto è temuto o se non altro,  ignorato, è vuoto perché non da nulla, perché richiede il tempo dell’incontro, la pausa dell’accoglienza, il gusto del fermarsi e la pazienza del cogliere in profondità, esperienze e modalità esistenziali che stiamo perdendo. Ma è esattamente questo di cui sento oggi, sempre più forte, la nostalgia. Allora il vuoto di Dio è una grande opportunità, è il suo disarmarsi che diventa il primo passo per lasciarsi incontrare, perché solo nell’incontro posso ritrovarmi parte integrante della Fonte e se Lui fa questo primo passo, trovo il coraggio e la follia di farlo anch’io, verso di Lui e verso gli altri.

Si tratta di accorgersi di Dio e non c’è altro luogo per farlo se non le correnti di amore vero che possiamo trovare in e introno a noi. Come i pesci non dubitano del mare. Così è possibile trovarsi nel suo abbraccio cominciando a condividere questo amore con naturalezza, senza insigne o pretese religiose. L’importante, il primo vero passo, è sentire l’appello rivolto a noi[1], e il silenzio del sabato di Pasqua, nella sua dirompente provocazione, nel suo vuoto disorientante, nel rompere le certezze e cogliere la realtà, mi prepara ad accogliere parole non facili, che possono cambiare completamente la mia esistenza e la mia relazione con gli altri: Gesù è risorto.

Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite.” Mc 16, 8.







[1] Roberto Mancini; “Orientarsi nella vita”; tracce giovani ed. Qiqajon

domenica 7 febbraio 2016

Tentativo di stonatura

La tentazione è sempre molto grande, quella cioè di perdere l’entusiasmo e la motivazione che mi hanno spinto a vivere la scelta di Nazareth;  spesso il sentirmi decisamente disperso in una realtà completamente ripiegata su se stessa, determinata da piccoli spazi individuali e gelosamente protetti, impermeabili ad ogni tipo di provocazione e questioni che non siano strettamente corrispondenti al proprio interesse personale, generano nel mio giorno dopo giorno, un senso di asfissia, di desensibilizzazione costante e lenta che rende poco vivace qualsiasi pensiero o progetto, che intendo mettere in atto. In questo modo di avvertire e percepire la realtà, certamente rintraccio alcuni aspetti e dinamiche che mi fanno sentire veramente figlio di questo tempo di passaggio culturale e sociale, sento addosso questo “pensiero non speranzoso e disilluso” che dapprima mi scivola sopra come pioggerellina insistente e poi, senza nemmeno accorgermi, mi penetra fin dentro le ossa, creando quella sorta di malessere che  rende faticoso qualsia gesto. “Crisi nella crisi, che non è più l’eccezione alla regola, ma è essa stessa la regola nella nostra società1, sento che  questa logica è attuale e che guarda il futuro come un luogo già compromesso e quindi privo di ogni qualsivoglia possibilità; questa logica non mi fa cogliere nemmeno il presente come lo spazio dell’oggi creativo, come il luogo e il tempo dove vale la pena spendersi, rischiare, compromettersi. Scrive Morin: _ “Krisis è un termine della medicina ippocratica, designava il momento in cui la malattia manifestava in modo certo i propri sintomi, cosa che permetteva la giusta diagnosi, la medicina appropriata. Nel linguaggio contemporaneo ha acquistato il significato di incertezza che rende difficile la diagnosi2; le parole hanno una loro profonda ricchezza, ma se vanno alla deriva confondono il nostro modo di dare significato all'esperienza. Non ci sto più, non voglio sottostare a questa logica. Credo sia il momento di essere “fuori tempo”, e di osare la posizione della “nota stonata”. Ma dove trovare il coraggio e la motivazione per questa virata?

In molti momenti della mia presenza nel quartiere, sono stato tentato di leggere la mia esperienza come inutile, inefficace, come troppo fine a se stessa e alla compiacenza di sé, questi rischi ci sono tutti e spesso li ho vissuti appieno, è quello che può accadere quando si decide di vivere sulla linea di confine, quando si accoglie come forma stabile l’incertezza e la precarietà, quando la propria sicurezza si fa risiedere non nella rigidità di un’identità di forma, ma nell'ascolto profondo di sé in un contesto di relazioni, e può succedere quando per la propria storia personale ci si ritrova a vivere da soli. Il rischio di cadere nell'isolamento c’è tutto, nel compiacere se stessi, nel non compromettersi, e sento che le logiche attuali mi spingono da questa parte, ma non è in queste secche che si genera la vita; c’è altro che mi smuove dal profondo, una “Parola” che mi scuote e scomoda, che arriva dalla parte inaspettata e mi fa girare di scatto per condurre il mio sguardo altrove. Quando sono affievolito dal senso di inutilità, dall'inefficacia del mio agire, nel silenzio della preghiera risuonano come certezza, come se fossero un invito, queste parole: “ma tu stai con me”.  E’ nel cuore di un incontro profondo, che può irrompere la vita. Faccio fatica, non lo nego, faccio resistenza, eppure quando mi lascio andare a quest’invito, sperimento che quello “stare con me” non è mai intimismo, al contrario, mi ritrovo inaspettatamente ad ascoltare qualcuno: ecco perché nel cuore di un incontro profondo c’è sempre l’esperienza dell’ascolto reciproco.


In questo piccolo appartamento, nel cuore del quartiere, sono venuto a vivere come piccolo fratello, senza annunciarlo, senza evidenziarlo, senza farlo riconoscere troppo, come mi ha insegnato l’esperienza di Charles de Foucauld e le Fraternità che ho incontrato; sento di vivere la “stabilità” del monaco, nella fedeltà ad un ambiente, eppure mi sento costantemente in movimento, perché intorno a me cambiano continuamente i vicini, e ogni volta è un riprendere da capo le relazioni; scendo in strada, mi muovo tra gli impegni quotidiani e sempre inaspettatamente, questo essere tra gli altri mi fa fermare con  qualcuno che mi racconta, mi condivide il vissuto, mi “incontra”. Tengo strette quelle parole “ma tu stai con me”, le accolgo al mattino presto, quando spesso ancora non è giorno e faccio in modo che il silenzio intenso faccia da cassa di risonanza, oppure la sera appena rientrato stanco, affaticato, anche allora posso farle risuonare…e mi ritrovo appassionato, comprendo che sono al mio posto, nel cuore di Dio e degli uomini, chissà se questo non è il mio modo personale di essere “fuori tempo”.

1. M.Benasayag, G. Schmit; "L'epoca delle passioni tristi"; Feltrinelli.
2. E. Morin; "Insegnare a vivere, manifesto per cambiare l'educazione"; ed Raffaello Cortina



mercoledì 6 gennaio 2016

Spazi di Fraternità 2016- NUTRIRE LE RADICI

Anche quest'anno vengono riproposti gli incontri di Spazi di Fraternità, un tempo e un luogo concreto dove è possibile conoscere, approfondire e nutrirsi della spiritualità di Nazareth. Spazi di Fraternità tenta di essere un' occasione per chiunque desidera approfondire il proprio percorso spirituale, confrontandosi con altre persone e con il contributo della riflessione e delle parole di alcuni amici, che grazie alla loro esperienza o scelte di vita, possono sicuramente stimolare domande, aprire orizzonti di senso, e favorire la crescita personale. 
Quattro sono gli incontri previsti tutti di domenica dalle ore 16.00 alle 18.00, presso i locali della parrocchia San Marco alle Paludi di Fermo
Il primo incontro è previsto per domenica 17 gennaio e ad animare il confronto sarà  Daniele Moretto, monaco di Bose attualmente nella fraternità di San Masseo ad Assisi. 
"UOMO- TERRENO FECONDO DI DIO"  questo il tema scelto per questo primo incontro, con Daniele cercheremo di mettere in luce la provocazione che i Vangeli hanno annunciato nell'affermare che Dio si è incarnato in Gesù di Nazareth, come questa scelta di Dio possa dire qualcosa di profondo per l'uomo contemporaneo; è ancora una provocazione?.
Fratel Daniele grazie alla sua preparazione biblica e sopratutto grazie alla sua esperienza comunitaria di Bose sicuramente ci offrirà spunti di confronto non scontati.
Vi aspettiamo ( non virtualmente ma in carne ed ossa) domenica 17 gennaio.
Di seguito tutto il calendario 2016