domenica 6 settembre 2020

Un passo indietro all'in-principio

 


La solitudine non è mai stata per me un peso insormontabile, è stata compagna ed amica discreta lungo tutto il mio esistere. Accarezzata e coccolata, cercata ed amata, temuta in alcuni momenti, curata e sposata in altri. La solitudine è il tratto più esplicito della scelta celibataria, non è il centro né lo scopo, è piuttosto il luogo, lo spazio o se volete il talamo nuziale, l’espressione più intima di un esistere che si immerge nelle dinamiche di una relazione. La solitudine per me è e resta abitata. Se getto in dietro e il più lontano possibile nei ricordi il mio sguardo, trovo le sue tracce e la sua compagnia in molti istanti della mia vita, essa non è mai mancata;  la consapevolezza legata a questa constatazione di fatto non mi rattrista, né mi fa sorgere rammarico, è piuttosto una carezza delicata, un soffio leggero. È la stessa sensazione che si prova quando chiudi delicatamente gli occhi e ti abbandoni a un sussurro che ti arriva all’orecchio, senti la pronuncia magari di una sola parola, dirompente e carica di vita, forte e decisa, che ti destabilizza e genera.

La solitudine è femminile, perché grembo, relazione, spazio, fuori dalla logica del possesso, spinge in avanti, lascia andare senza trattenere. Nel tempo della maturità si coglie e accoglie anche questa parte di sé.

C’è poi anche una solitudine tiranna, tutt’altro che piacevole e auspicabile nella propria vita. È vuoto assoluto, voragine ingorda, assenza di vita, priva dell’ eco della voce dell’altro, sorda e incapace di generare. Consuma e impoverisce, riduce lo sguardo o lo imprigiona nel poco. E’ una solitudine dis-abitata. È l’assenza dell’altro, l’inospitalità che si regge sulla diffidenza. Anche questa potrebbe essere presente nella vita di un celibe, è nelle sue mani tanto quanto l’altra, più essere nutrita e curata quanto giustificata e radicata.


Nell’in-principio” posto a fondamento della narrazione del libro della Genesi, Dio è capace di un pensiero generativo fatto di contrasti e opposti, è ponendo in essere il “di fronte” o il “suo contro”, che genera vita, che fa spazio all’inatteso, all’impossibile, che mette al mondo non un “già fatto per sempre” ma un “per sempre di generatività”: notte e giorno, sole e luna, mare e terra, maschio e femmina.

Nella “solitudine abitata” il processo, la spinta e il movimento è ciò che ti radica nell’essere “di fronte”.

Si è soli di fronte all’altro, eppure nel guardarsi si può vedere e conoscere se stessi e questo è un processo che genera.

In questo trovo il motivo fondante di quello che ho voluto chiamare “voto di relazione”, la mia Alleanza con Dio si nutre e radica in questa ricerca costante di essere “di fronte”, di non fuggire mai questa dimensione della vita umana, di curarla e cercarla come tratto umanizzante, come il luogo della presenza di Dio e la possibilità unica di creare fraternità, anche quando si presenta nei tratti del conflitto e della fatica. Non lo si apprende da soli questo passaggio, non ci si arriva per un eroismo personale, tantomeno attraverso semplici esercizi di volontarismo (l’esercizio della volontà è altra cosa), ci si arriva anche qui “accompagnati” e attraverso il dono di amicizie e incontri inaspettati, liberi e freschi, gratuiti e coltivati delicatamente. Questo genere di amicizie, quanto meno te lo aspetti, ti fanno dono di parole e sguardi che appartengono certamente a loro, ma non sono di loro proprietà, parole e sguardi che hanno il sapore di una originalità da marchio “DOC” riconoscibilissimo, ma nel gusto che ti trasmettono nutrendoti, scopri il retrogusto dei loro tanti incontri e dell’avventura che hanno vissuto nell’inatteso della loro vita.

Le pagine che ho letto e leggo in questi giorni, sono scritte proprio da due di questi amici, le loro parole nate prima nell’inatteso della vita e dei sentimenti, hanno trovato man forte nella loro sensibilità e nella passione e capacità, di leggerle e rileggere le esperienze con il desiderio di comprenderle, poi si sono trasformate in narrazioni e quindi hanno trovato un senso e ancora più senso, se si vuole, quando sono state consegnate e travasate negli orecchi di altri.


Come una bambina” e “Zero tre, prefisso di paternità”, narrazione di due uomini che si lasciano umanizzare dalla scelta di essere mariti e poi padri, sono oggi per questo mio tempo, ciò che più ha provocato  uno squarcio di ulteriore passione nella mia scelta di celibe e piccolo fratello, in una dinamica d'integrazione delle parti.

In un tempo culturale così impoverito, trovarsi in compagnia di esperienze che non si pongono ad esempio, che non sono dettate da protagonismi o narcisismi, ma hanno semplicemente  il gusto di entrare nella vita a piene mani, ecco tutto questo mi rende speranzoso, mi ridona sorriso, mi commuove e mi getta nella vita.

E’ così che Dio continua ad accarezzarmi.  



Le prime due foto sono di Andrea Iualè