sabato 24 dicembre 2022

Natale 2022 ; in principio fu disarmante


    Il rumore di parole inutili, che non si nutrono di attesa e silenzio prima di essere pronunciate, non sono altro che muri e torrioni che tracciano il confine “dell’io mi basto”. L’assenza di spazi e tempi di silenzio, producono  l’illusione di sentirci pieni e ricchi e nutrono  il bisogno di essere continuamente stimolati, gettandoci nell’abbaglio che possiamo tutto, basta volerlo. Il non esprimere la propria opinione sempre e comunque, viene percepito come il segno di poca partecipazione e di rinuncia alla libertà di pensiero e di espressione, mentre molto spesso è semplicemente la manifestazione sgraziata e gracchiante di un narcisismo imperante. La libertà di pensiero ed espressione è il frutto maturo e paziente di un lungo silenzio e del provare gratitudine piena per quanto abbiamo ricevuto da altri: è da una  parola consegnata, che possiamo generare le nostre parole liberate e liberanti.

    Non so voi, mai oggi ho un bisogno viscerale di parole non ancora pronunciate; mi piace l’attesa che  producono e di cui hanno bisogno, mi solletica, stuzzica, provoca e mi elettrizza il non poter esercitare su di esse nessun tipo di controllo: posso solo riceverle. Le “parole non ancora pronunciate” sono intrise di silenzio condiviso, si affacciano solo dopo aver trovato il terreno fecondo del dialogo e si liberano quando hanno sperimentato la vertigine della consegna reciproca. In questo tempo così invaso di parole pronunciate da tutti e su tutto, è tempo di attendere quelle non ancora pronunciate.

Mentre tutti dicono, tu scegli di tacere, come postura  dell’essere presente alla realtà, perché sia essa a parlarti e non tu a parlargli addosso. Mentre tutti hanno certezze inconfutabili, tu fermati e cura bene la domanda che vuoi metterti davanti, quella che ti possa davvero porre in sintonia e dialogo con la vita e il suo mistero profondo e affascinante. L’attesa delle “parole non ancora pronunciate” ci porta finalmente a guardare l’altro negli occhi, ci riconcilia con il fatto che saremo sempre all’esterno della sua intimità e potremmo cogliere tratti e sfumature del suo essere presente alla vita, solo a piccoli passi rinunciando a ogni tipo di potere e controllo sull’altro. Mentre tutti curano e truccano se stessi con linee sinuose e seduttive di felicità ricercata a buon mercato, tu prova ad incamminarti verso l’altro con quello che sei realmente, avventurati nel rischio dell’incontro tra vulnerabili e imperfetti, non trattenere il respiro quando a toccarti nel profondo è la ferita dell’altro, la paura che spesso si prova in queste situazioni porta a pronunciare ogni tipo di parola…ma tu attendi quelle non ancora pronunciate, perché queste apriranno lo sguardo verso un oltre di pienezza, mentre le altre saranno solo di difesa.

    

Anche Dio si è intrecciato e mescolato tra le “parole non ancora pronunciate”, ed ha scelto, almeno così mi sembra, un modo particolare per comunicarcelo: una piccola mano aperta, vulnerabile, totalmente disposta ad essere plasmata dall’incontro, una piccola mano che si pone di fronte alle mani potenti di oggi.

Nulla di romantico, nulla di sdolcinato, nulla di anestetico. E’ semplicemente “DISARMANTE”…forse è questa  la parola che apre all’accoglienza delle “parole non ancora pronunciate”.


                                                     BUON NATALE








giovedì 1 dicembre 2022

Divinamente felici

 


Ti svegli presto al mattino, non accendi nessuna luce per trattenere ancora il buio e insieme a lui l’ultimo scampolo di silenzio. Un filo di luce disegna lo spazio minuscolo che intercorre tra la porta ed il pavimento, lo illumina come se cercasse spazio, anche il più piccolo pertugio non può fermare la delicatezza e la forza della luce che sa arrivare in un istante non calcolabile, ovunque. È un permesso garbato il suo,  un bussare senza far fracasso, è un raggiungerti per una carezza gratuita. Per contro quello che si genera nell'intimo è un respiro profondo di gratitudine e “ben tornato”, quando si scorge la luce del sole che sorge e entrare nella parte bassa tra la porta e il pavimento. Sei sveglio da tempo, “l’attesa” ti ha scosso un po’ le spalle per svegliarti presto, mentre ancor prima, il desiderio ti sorrideva e ti assicurava ancora una volta che ciò che un giorno hai percepito in maniera chiara e come infinito, a cui hai dato il nome di Bien aimé, anche in quest’alba torna ad incontrarti, là dove il nulla della sabbia sembra togliere speranza a qualsiasi possibilità di vita e quindi di relazione. Immerso e perduto  tra le dune  del Sahara, nel ripetersi del ritmo monotono del quotidiano, la luce e il calore del tuo Bien aimé, torna a dirti che la tua vita e solo la tua vita, sarà ancora il Suo terreno fecondo, dove a piene mani semina il suo sogno di fraternità.

Non è stato facile, né così immediato, accogliere questa strana idea  che si palesava con una certa insistenza nel tuo intimo, le parole che prima avevi ignorato e liquidate come inconsistenti, poco credibili e fantasiose, ora le assaporavi come frutti maturi di una stagione piena e feconda;  quel Vangelo che poco o nulla aveva parlato alla tua vita così avida d’intelligenza e razionalità pura, ti era arrivato come vento leggero che solleva la polvere che non avevi osato togliere, era come Davide di fronte a Golia,  l’Infinitamente piccolo che guarda con tenerezza l’infinitamente e rigidamente orgoglioso. Eppure, anche se spesso te lo sei rimproverato, non sei stato  così profondamente egoista ed avido, così chiuso al Bene e a Lui indifferente;  i tuoi occhi abituati ad esplorare, hanno saputo cogliere quella nostalgia di Assoluto; non hai ceduto all’invidia verso chi, quell’Assoluto lo chiamava per nome con una certa famigliarità e confidenza.  Vorrei , ma purtroppo non ho la fede”, non mi sembra che hai mai ceduto a questa espressione, sei stato piuttosto curioso, hai cercato, hai chiesto, hai posto domande e non risparmiato critiche.


La porta sgangherata del tuo eremo non è mai stata sicura, del resto sarebbe stato folle arrivare in fondo al deserto per proteggersi dagli altri, non era per questo che ti sei messo in cammino. Piuttosto era stata sicura per te, la Parola ritrovata, chiara e decisa come quella che ti può dire un amico fidato; forte, perché capace di sradicare le resistente più profonde; vitale , perché ti riposiziona nel flusso della vita che è fatta di relazioni e non di contemplazione di sé .

Era ancora notte e tu eri sicuro dell’alba che sarebbe arrivata, l’attendevi; accendi una piccolissima candela, ti metti in ginocchio poi ti siedi sui tuoi talloni, come hai imparato a fare guardando i tuoi amici Tuaregh quando si rivolgono al Misericordioso. Prendi i tuoi quaderni, che custodiscono i tuoi pensieri più intimi e con essi un po’ d’inchiostro.  Ti lasci afferrare dal silenzio che tanto ami, mentre le mani consegnano alla scrittura il sentire di quell’istante:  “ le due del mattino. Come sei buono, mio Dio, per avermi svegliato! Ancora più di sei ore a non fare altro che contemplarti, a starmene ai tuoi piedi e a non dire altro se non che ti amo. Come sono felice!…Ma…non è solamente in queste sei ore che io non ho niente altro da fare che starmene ai tuoi piedi ad adorarti…è in tutte le ore e tutti i giorni della mia vita; è in tutti gli istanti della mia vita che sono felice, che sono così divinamente felice:”


Il sole si infila sotto la porta sgangherata, è tempo di aprila perché tu torni felicemente a stare con gli ultimi e metterti in marcia con loro, il tuo Bien aimé ti ha portato fin nel cuore del deserto perché tu incontri e diventi  tu stesso “fraternità”.

Ti ho incontrato e ricevuto così nella mia vita, come un fratello appassionato di Dio e degli ultimi, mi hai trasmesso la passione per quel raggio di sole sotto la porta, che è sempre da attendere; mi hai insegnato la cura del silenzio e dei tempi di solitudine, per abitare meglio le città e le relazioni, indicandomi a modo tuo come si può essere divinamente felici.






domenica 24 luglio 2022

Il riposo delle parole

    


Le parole quelle scritte le ho messe un po’ a riposo da mesi, anche loro a volte hanno bisogno di silenzio e inattività, di calma e di un tempo di solitudine, non sempre ciò che si vive chiede necessariamente  di essere espresso e decodificato perché raggiunga altri. Si tace per cogliere l’essenziale e ritrovare ciò che nutre.  L’accoglienza e l’ascolto che qualcuno può farci sperimentare è vitale per andare in profondità in questo nostro esistere ed evolvere; senza il volto di chi si pone di fronte a noi, non potremmo che affogare nella nostra immagine e nella compiacenza di noi stessi, il “mio di fronte”  è ciò che mi permette di esistere, sentire, comprendere ed amare ciò che sento divenire in me ed in questo divenire ritrovo la mia essenza, la traccia leggera e sempre più chiara del “chi sono” e desidero essere, che passo passo si libera. E’ una danza tra il “prendere la parola”, “lasciare la parola”, “tacere la parola”. La meta non è perdersi  o impaludarsi nell’immagine di sé, ma il ritrovarsi pienamente accolto e riconosciuto nel volto dell’altro, così diverso, così a volte distante a tratti detestabile e ruvido, eppure in questo profondo e inafferrabile universo che è il “mio di fronte” posso abitare, dimorare sereno e sentirmi finalmente a casa, approdato, realizzato, portato a compimento. La sento come una “pienezza” a cui anelo, che non è perfezione, ancor meno quiete inanimata, non è meta da conquistare o premio per le buone pratiche; è piuttosto un divenire continuo che si genera solo nell’istante in cui ci si abbandona al rischio della relazione, nel momento stesso in cui l’azione rivoluzionaria è paradossalmente la “passività”, coniugata e vissuta profondamente nella posizione del ricevente.

    Ecco che le parole devono tacere, perché si generi uno spazio ricevente, la narrazione di sé agli altri e a sé stessi, deve per un certo tempo cedere lo spazio al silenzio più assoluto, in un movimento di


radicale spogliazione; ci si spoglia senza pensare o avere già in mente quale abito nuovo ci rivestirà,  si resta dentro l’azione di spogliazione, per restare nudi e vulnerabili, nulla di più: nel cuore profondo della povertà.

Il mio cuore mi ridice il tuo invito  “Cercate il mio volto!”

Il tuo volto io cerco Signore, non nascondermi il tuo volto. Salmo 27,8-9.

    Quando faccio tacere le parole, mi accorgo che i volti si illuminano, mi accorgo di distinguere le diversità, di cogliere i non detti, di saper stare negli sguardi degli altri. Quando non invado con le mie parole, allora custodisco una sorta di povertà che sa ricevere la saggezza della vita quotidiana, che si manifesta negli incontri inaspettati, nelle visite inattese, nei gesti accoglienti riservati e pensati per me.     Ed è ciò che sto sperimentando in questi mesi, ho ricevuto tantissimo da alcuni vicini, dai loro gesti, dalla loro capacità a volte sgangherata, di essere diretti nei miei confronti; mi ha meravigliato e un po’ anche destabilizzato, un’osservazione ricevuta in maniera diretta sul mio modo di fare e di stare nella vita quotidiana e in questo contesto.


    “Cercate il mio volto”; quando sono nel cuore di Dio abitato solo dal desiderio di essere toccato ancora una volta dal suo donarsi senza misura, nulla diventa intimistico; il respiro è ampio e lo sguardo si nutre di nuovi e ampi orizzonti.






sabato 16 aprile 2022

Senza prove a carico


Nella fede non ho mai cercato prove “schiaccianti”, ho sempre preferito il soffio leggero della Sua vicinanza che mi lascia libero di cercare e di  avere i piedi sporchi di terra come quelli di instancabili e caparbi cercatori, che mi fa preferire il fascino del deserto dove la nostalgia e il desiderio di un oasi, danno vigore ai passi lenti e decisi, i piedi affondano nella sabbia ma gli occhi sono puntati su una stella, è così che non ci si perde nel vuoto, ma del vuoto si fa un inizio.

Le prove schiaccianti hanno motivato le guerre in questi anni, hanno liberato e giustificato il potere di sottomettere, hanno nutrito le bugie e hanno dato forza alla voracità di alcuni a discapito dei molti.

Le prove schiaccianti sono state sfacciate e hanno avuto la faccia tosta di non arrossire quando si sono rivelate menzogne; le prove schiaccianti non hanno il coraggio di chiedere scusa.

Le prove schiaccianti hanno tolto il respiro alla creatività, hanno riconfermato gli steccati e hanno cacciato di casa il “dubbio”; chi si pone domande non è più gradito, è un corpo estraneo e chi si attarda sulle sfumature della vita, sui chiaroscuri dell’esistere o chi prova a far risuonare le contraddizioni o non disdegna di ascoltare le stonature è un irresponsabile, uno poco concreto, un debole: oggi si preferisco prove schiaccianti, non le domande aperte.

Provo anch’io in questi giorni la fatica di tenere lo sguardo libero, il cuore non oppresso e il cervello ossigenato; percepisco chiaro lo sforzo che devo fare per  trovare l’anticorpo che non mi faccia intossicare, che  mantenga lucido il desiderio  e allunghi lo sguardo altrove. Non mi interessa essere né un eroe, né un originale ad ogni costo, ancor meno mi attrae l’idea di distinguermi per identificarmi, ciò che mi interessa davvero, è custodire quella possibilità di essere ancora capace di guardare il volto dell’altro, abitandolo nel silenzio. Lentamente ho provato a non spaventarmi del vuoto che scorgevo negli occhi, delle ferite che incrociavo e del dolore sordo custodito e protetto, nel tempo ho preso coraggio nell'affondare i piedi in questi terreni sabbiosi e passo passo ho alzato gli occhi e ho provato a non fuggire, restando nello sguardo dell’altro.

E’ possibile questo abitare, solo se siamo stati a nostra volta abitati nella stessa maniera.

E’ leggera la certezza che colgo nel mio intimo, non è prepotente, si palesa come un sorriso, un abbraccio non forzato, è la delicatezza di una presenza; mi permette di non fuggire quando c’è tempesta, mi fa stare in piedi anche quando il vento soffia contrario e all'orizzonte si palesa un uragano;  

La tomba è vuota, ma anche questa non è una  “prova schiacciate”, non è nello stile di Dio, è certamente una provocazione.





Pasqua 2022