lunedì 12 novembre 2018

Affondare le mani nella terra


In questi giorni mi ritrovo con il pensiero a correre in dietro nel tempo, non con un atteggiamento di rimpianto, semplicemente mosso dal desiderio di cogliere nel mio percorso personale ciò che più ha caratterizzato la mia vita. Sono impastato di relazioni, di situazioni e di esperienze, sono veramente fatto di fango ed acqua, sono parte di quell’Adam,  sogno nascosto e passionale di Dio che con le mani ha dato forma al Suo desiderio. Mi piace quest’immagine che la Parola ha creato per accompagnarci, avvicinarci un po’ alla radice, della nostra esistenza, che nostalgicamente cerchiamo. L’interesse non è posto sul concetto della creazione dal nulla, o di come siamo stati originati, l’attenzione è focalizzata e narra,  di cosa siamo fatti: di un sogno, di un desiderio, di una relazione;  questo è Adam, che significa il terreste, fatto di terra. Sento il desiderio di ricontattare la mia “terra”, la creta che mescolandosi negli anni con persone, situazioni e con le mia stessa evoluzione, ha generato quello che oggi sto vivendo. Quando cerco di comprendere il perché mi trovo a vivere questa vita di Nazareth, come mai sento ancora importante e imprescindibile abitare il quotidiano in questo quartiere, devo necessariamente ripercorrere la mia storia, tornare pellegrino  nel fare memoria. In un tempo, come il nostro, dove conta “l’adesso”, quello immediato, efficiente, strepitoso, appagante, essere pellegrino di memoria è sicuramente “fuori luogo”. Essere pellegrino e nomade allora è la grande occasione, il processo di umanizzazione di cui sento profondamente il bisogno, il desiderio e la nostalgia di appropriarmi di nuovo di quella nostra radice comune, che la Parola chiama: Adam, il terrestre.


Con l’arrivo dell’autunno, nel mio palazzo tornano le migrazioni, persone o famiglie che in pochi giorni si spostano, decidono di cambiare appartamento, così tutto si rimodella. Molti se ne vanno, stanchi di un certo clima sociale o per necessità economiche, altri arrivano: è il mondo, che si muove intorno al mio minuscolo appartamento ed è un riprendere di nuovo come i primi tempi  i contatti. Qui giorno dopo giorni, l’umano ha una caratteristica comune ben chiara e definita: la diversità. Devo essere costantemente preso per mano e accompagnato, devo saper attendere l’occasione dell’incontro e coltivare l’attesa, devo procedere a passi lenti e rendermi avvicinabile, una vera provocazione in un ambiente dove il “sospetto” e la “distanza di sicurezza” sono virtù da coltivare.

Il mio amico indiano ha lasciato il suo appartamento e andando via ha tenuto a dirmi chiaramente: “per tutta la mia vita tu sei mio amico”, ha ripetutamente chiesto che andassi a trovarlo nella sua nuova casa, più grande, più comoda, più sicura e soprattutto pronta per accogliere sua moglie e il figlio dall’India.

Nelle relazioni inaspettate e gratuite, lasciarmi annunciare il Vangelo”…è la promessa che ho fatto nella mia alleanza con Dio e in questo Lui mi mostra una certa coerenza nel mantenere questa sua promessa e la sua coerenza ha dei nomi e cognomi, ha dei volti e delle storie, ha la forma dei vissuti che incrocio e del silenzio che custodisce tutto questo.