In questi giorni mi ritrovo con il pensiero a correre in
dietro nel tempo, non con un atteggiamento di rimpianto, semplicemente mosso
dal desiderio di cogliere nel mio percorso personale ciò che più ha
caratterizzato la mia vita. Sono impastato di relazioni, di situazioni e di
esperienze, sono veramente fatto di fango ed acqua, sono parte di
quell’Adam, sogno nascosto e passionale
di Dio che con le mani ha dato forma al Suo desiderio. Mi piace quest’immagine
che la Parola ha creato per accompagnarci, avvicinarci un po’ alla radice, della
nostra esistenza, che nostalgicamente cerchiamo. L’interesse non è posto sul
concetto della creazione dal nulla, o di come siamo stati originati, l’attenzione
è focalizzata e narra, di cosa siamo
fatti: di un sogno, di un desiderio, di una relazione; questo è Adam, che significa il terreste,
fatto di terra. Sento il desiderio di ricontattare la mia “terra”, la creta che
mescolandosi negli anni con persone, situazioni e con le mia stessa evoluzione,
ha generato quello che oggi sto vivendo. Quando cerco di comprendere il perché
mi trovo a vivere questa vita di Nazareth, come mai sento ancora importante e
imprescindibile abitare il quotidiano in questo quartiere, devo necessariamente
ripercorrere la mia storia, tornare pellegrino
nel fare memoria. In un tempo, come il nostro, dove conta “l’adesso”, quello immediato,
efficiente, strepitoso, appagante, essere pellegrino di memoria è sicuramente
“fuori luogo”. Essere pellegrino e nomade allora è la grande occasione, il
processo di umanizzazione di cui sento profondamente il bisogno, il desiderio e
la nostalgia di appropriarmi di nuovo di quella nostra radice comune, che la
Parola chiama: Adam, il terrestre.
Con l’arrivo dell’autunno, nel mio palazzo tornano le
migrazioni, persone o famiglie che in pochi giorni si spostano, decidono di
cambiare appartamento, così tutto si rimodella. Molti se ne vanno, stanchi di
un certo clima sociale o per necessità economiche, altri arrivano: è il mondo, che si muove intorno al mio minuscolo appartamento ed è un riprendere di nuovo
come i primi tempi i contatti. Qui giorno dopo giorni, l’umano ha una
caratteristica comune ben chiara e definita: la diversità. Devo essere
costantemente preso per mano e accompagnato, devo saper attendere l’occasione
dell’incontro e coltivare l’attesa, devo procedere a passi lenti e rendermi
avvicinabile, una vera provocazione in un ambiente dove il “sospetto” e la “distanza
di sicurezza” sono virtù da coltivare.
Il mio amico indiano ha lasciato il suo appartamento e
andando via ha tenuto a dirmi chiaramente: “per tutta la mia vita tu sei mio
amico”, ha ripetutamente chiesto che andassi a trovarlo nella sua nuova casa,
più grande, più comoda, più sicura e soprattutto pronta per accogliere sua
moglie e il figlio dall’India.
“Nelle relazioni inaspettate e gratuite, lasciarmi annunciare
il Vangelo”…è la promessa che ho fatto nella mia alleanza con Dio e in questo
Lui mi mostra una certa coerenza nel mantenere questa sua promessa e la sua coerenza ha dei nomi e cognomi, ha dei volti e delle storie, ha la forma dei vissuti che incrocio e del silenzio che custodisce tutto questo.