lunedì 22 febbraio 2016
domenica 7 febbraio 2016
Tentativo di stonatura
La tentazione è sempre molto grande, quella cioè di perdere
l’entusiasmo e la motivazione che mi hanno spinto a vivere la scelta di
Nazareth; spesso il sentirmi decisamente
disperso in una realtà completamente ripiegata su se stessa, determinata da
piccoli spazi individuali e gelosamente protetti, impermeabili ad ogni tipo di
provocazione e questioni che non siano strettamente corrispondenti al proprio
interesse personale, generano nel mio giorno dopo giorno, un senso di asfissia,
di desensibilizzazione costante e lenta che rende poco vivace qualsiasi
pensiero o progetto, che intendo mettere in atto. In questo modo di avvertire e
percepire la realtà, certamente rintraccio alcuni aspetti e dinamiche che mi
fanno sentire veramente figlio di questo tempo di passaggio culturale e
sociale, sento addosso questo “pensiero non speranzoso e disilluso” che
dapprima mi scivola sopra come pioggerellina insistente e poi, senza nemmeno
accorgermi, mi penetra fin dentro le ossa, creando quella sorta di malessere
che rende faticoso qualsia gesto. “Crisi
nella crisi, che non è più l’eccezione alla regola, ma è essa stessa la regola
nella nostra società”1, sento che questa
logica è attuale e che guarda il futuro come un luogo già compromesso e quindi
privo di ogni qualsivoglia possibilità; questa logica non mi fa cogliere
nemmeno il presente come lo spazio dell’oggi creativo, come il luogo e il tempo
dove vale la pena spendersi, rischiare, compromettersi. Scrive Morin: _ “Krisis
è un termine della medicina ippocratica, designava il momento in cui la
malattia manifestava in modo certo i propri sintomi, cosa che permetteva la
giusta diagnosi, la medicina appropriata. Nel linguaggio contemporaneo ha
acquistato il significato di incertezza che rende difficile la diagnosi” 2; le
parole hanno una loro profonda ricchezza, ma se vanno alla deriva confondono il
nostro modo di dare significato all'esperienza. Non ci sto più, non voglio
sottostare a questa logica. Credo sia il momento di essere “fuori tempo”, e di
osare la posizione della “nota stonata”. Ma dove trovare il coraggio e la
motivazione per questa virata?
In molti momenti della mia presenza nel quartiere, sono
stato tentato di leggere la mia esperienza come inutile, inefficace, come
troppo fine a se stessa e alla compiacenza di sé, questi rischi ci sono tutti e
spesso li ho vissuti appieno, è quello che può accadere quando si decide di
vivere sulla linea di confine, quando si accoglie come forma stabile
l’incertezza e la precarietà, quando la propria sicurezza si fa risiedere non
nella rigidità di un’identità di forma, ma nell'ascolto profondo di sé in un contesto di relazioni, e può succedere quando per la propria storia personale
ci si ritrova a vivere da soli. Il rischio di cadere nell'isolamento c’è tutto,
nel compiacere se stessi, nel non compromettersi, e sento che le logiche
attuali mi spingono da questa parte, ma non è in queste secche che si genera la
vita; c’è altro che mi smuove dal profondo, una “Parola” che mi scuote e
scomoda, che arriva dalla parte inaspettata e mi fa girare di scatto per
condurre il mio sguardo altrove. Quando sono affievolito dal senso di
inutilità, dall'inefficacia del mio agire, nel silenzio della preghiera risuonano
come certezza, come se fossero un invito, queste parole: “ma tu stai con
me”. E’ nel cuore di un incontro
profondo, che può irrompere la vita. Faccio fatica, non lo nego, faccio
resistenza, eppure quando mi lascio andare a quest’invito, sperimento che
quello “stare con me” non è mai intimismo, al contrario, mi ritrovo inaspettatamente
ad ascoltare qualcuno: ecco perché nel cuore di un incontro profondo c’è sempre
l’esperienza dell’ascolto reciproco.
In questo piccolo appartamento, nel cuore del quartiere,
sono venuto a vivere come piccolo fratello, senza annunciarlo, senza
evidenziarlo, senza farlo riconoscere troppo, come mi ha insegnato l’esperienza
di Charles de Foucauld e le Fraternità che ho incontrato; sento di vivere la
“stabilità” del monaco, nella fedeltà ad un ambiente, eppure mi sento
costantemente in movimento, perché intorno a me cambiano continuamente i
vicini, e ogni volta è un riprendere da capo le relazioni; scendo in strada, mi
muovo tra gli impegni quotidiani e sempre inaspettatamente, questo essere tra
gli altri mi fa fermare con qualcuno che
mi racconta, mi condivide il vissuto, mi “incontra”. Tengo strette quelle
parole “ma tu stai con me”, le accolgo al mattino presto, quando spesso ancora
non è giorno e faccio in modo che il silenzio intenso faccia da cassa di
risonanza, oppure la sera appena rientrato stanco, affaticato, anche allora
posso farle risuonare…e mi ritrovo appassionato, comprendo che sono al mio
posto, nel cuore di Dio e degli uomini, chissà se questo non è il mio modo
personale di essere “fuori tempo”.
1. M.Benasayag, G. Schmit; "L'epoca delle passioni tristi"; Feltrinelli.
2. E. Morin; "Insegnare a vivere, manifesto per cambiare l'educazione"; ed Raffaello Cortina
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