domenica 7 febbraio 2016

Tentativo di stonatura

La tentazione è sempre molto grande, quella cioè di perdere l’entusiasmo e la motivazione che mi hanno spinto a vivere la scelta di Nazareth;  spesso il sentirmi decisamente disperso in una realtà completamente ripiegata su se stessa, determinata da piccoli spazi individuali e gelosamente protetti, impermeabili ad ogni tipo di provocazione e questioni che non siano strettamente corrispondenti al proprio interesse personale, generano nel mio giorno dopo giorno, un senso di asfissia, di desensibilizzazione costante e lenta che rende poco vivace qualsiasi pensiero o progetto, che intendo mettere in atto. In questo modo di avvertire e percepire la realtà, certamente rintraccio alcuni aspetti e dinamiche che mi fanno sentire veramente figlio di questo tempo di passaggio culturale e sociale, sento addosso questo “pensiero non speranzoso e disilluso” che dapprima mi scivola sopra come pioggerellina insistente e poi, senza nemmeno accorgermi, mi penetra fin dentro le ossa, creando quella sorta di malessere che  rende faticoso qualsia gesto. “Crisi nella crisi, che non è più l’eccezione alla regola, ma è essa stessa la regola nella nostra società1, sento che  questa logica è attuale e che guarda il futuro come un luogo già compromesso e quindi privo di ogni qualsivoglia possibilità; questa logica non mi fa cogliere nemmeno il presente come lo spazio dell’oggi creativo, come il luogo e il tempo dove vale la pena spendersi, rischiare, compromettersi. Scrive Morin: _ “Krisis è un termine della medicina ippocratica, designava il momento in cui la malattia manifestava in modo certo i propri sintomi, cosa che permetteva la giusta diagnosi, la medicina appropriata. Nel linguaggio contemporaneo ha acquistato il significato di incertezza che rende difficile la diagnosi2; le parole hanno una loro profonda ricchezza, ma se vanno alla deriva confondono il nostro modo di dare significato all'esperienza. Non ci sto più, non voglio sottostare a questa logica. Credo sia il momento di essere “fuori tempo”, e di osare la posizione della “nota stonata”. Ma dove trovare il coraggio e la motivazione per questa virata?

In molti momenti della mia presenza nel quartiere, sono stato tentato di leggere la mia esperienza come inutile, inefficace, come troppo fine a se stessa e alla compiacenza di sé, questi rischi ci sono tutti e spesso li ho vissuti appieno, è quello che può accadere quando si decide di vivere sulla linea di confine, quando si accoglie come forma stabile l’incertezza e la precarietà, quando la propria sicurezza si fa risiedere non nella rigidità di un’identità di forma, ma nell'ascolto profondo di sé in un contesto di relazioni, e può succedere quando per la propria storia personale ci si ritrova a vivere da soli. Il rischio di cadere nell'isolamento c’è tutto, nel compiacere se stessi, nel non compromettersi, e sento che le logiche attuali mi spingono da questa parte, ma non è in queste secche che si genera la vita; c’è altro che mi smuove dal profondo, una “Parola” che mi scuote e scomoda, che arriva dalla parte inaspettata e mi fa girare di scatto per condurre il mio sguardo altrove. Quando sono affievolito dal senso di inutilità, dall'inefficacia del mio agire, nel silenzio della preghiera risuonano come certezza, come se fossero un invito, queste parole: “ma tu stai con me”.  E’ nel cuore di un incontro profondo, che può irrompere la vita. Faccio fatica, non lo nego, faccio resistenza, eppure quando mi lascio andare a quest’invito, sperimento che quello “stare con me” non è mai intimismo, al contrario, mi ritrovo inaspettatamente ad ascoltare qualcuno: ecco perché nel cuore di un incontro profondo c’è sempre l’esperienza dell’ascolto reciproco.


In questo piccolo appartamento, nel cuore del quartiere, sono venuto a vivere come piccolo fratello, senza annunciarlo, senza evidenziarlo, senza farlo riconoscere troppo, come mi ha insegnato l’esperienza di Charles de Foucauld e le Fraternità che ho incontrato; sento di vivere la “stabilità” del monaco, nella fedeltà ad un ambiente, eppure mi sento costantemente in movimento, perché intorno a me cambiano continuamente i vicini, e ogni volta è un riprendere da capo le relazioni; scendo in strada, mi muovo tra gli impegni quotidiani e sempre inaspettatamente, questo essere tra gli altri mi fa fermare con  qualcuno che mi racconta, mi condivide il vissuto, mi “incontra”. Tengo strette quelle parole “ma tu stai con me”, le accolgo al mattino presto, quando spesso ancora non è giorno e faccio in modo che il silenzio intenso faccia da cassa di risonanza, oppure la sera appena rientrato stanco, affaticato, anche allora posso farle risuonare…e mi ritrovo appassionato, comprendo che sono al mio posto, nel cuore di Dio e degli uomini, chissà se questo non è il mio modo personale di essere “fuori tempo”.

1. M.Benasayag, G. Schmit; "L'epoca delle passioni tristi"; Feltrinelli.
2. E. Morin; "Insegnare a vivere, manifesto per cambiare l'educazione"; ed Raffaello Cortina