“Fermarsi e sedersi” è la scelta rivoluzionaria di questo tempo. “Guardare” mettendo in discussione ciò che si guarda. “Lasciarsi guardare” anche quando questo ci frantuma e disperde. Fare alleanza tra “non sapere” e “ accogliere l’inaspettato”.
C’è un particolare nella narrazione dei Vangeli al momento
della sepoltura che mi hanno fatto compagnia in questi giorni, sono pochissime
parole, una pennellata veloce, quasi un passaggio che rischia di non essere
colto. Una nota di colore? Un tratto poetico? O semplicemente l’essenziale da
cogliere per scardinare e rileggere l’esperienza?
“C’era là Maria di Magdala e l’altra Maria, sedute di fronte al sepolcro”
Mt 27, 61.
“Le donne che avevano accompagnato Gesù dalla Galilea, contemplarono il
sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù” Lc 23, 55.
Quest’anno vorrei restare dentro a questo particolare,
inosservato e di passaggio narrativo, come un angolo nascosto, poco visibile
alla massa , ma riservato e conosciuto a chi desidera uno spazio di intimità
scomoda. Vorrei avere il coraggio in questo tempo così particolare e che
scardina, di non farmi prendere dalla frenesia del fare e della fuga in avanti, ma mollare tutto e
sedermi. Mettermi in ascolto con gli occhi, lasciando che le paure abbiano
spazio, le domande voce, l’incertezza e il non comprendere potessero essere
accolte come possibilità e non sempre classificate come confusione.
In quell’angolo riservato di osservazione, solo chi si
lascia sconvolgere e non fugge, può restare e attendere il dinamismo di Dio,
solo lo sguardo “contemplativo” ancorato alla realtà più scomoda, ci permette
di entrare e stare lì dove la vita sembra completamente perdere di senso. Non
si tratta di cercare certezze assolute, ma di saper vivere dentro l’incerto che
evolve e genera vita, dentro un fluire della vita che non possiamo pretendere
di comprendere fino in fondo, e che ciò che abbiamo visto, compreso e cercato, ha spesso la libertà di
meravigliarci e indicarci un altrove inaspettato.
A quelle donne vorrei chiedere come hanno avuto il coraggio di fermarsi e non fuggire, come hanno saputo abitare il dolore, lo sconcerto, la sconfitta e il crollo di un sogno, la delusione e la disillusione. Mi piacerebbe raggiungerle in quell’angolo protetto e strategico che si sono ricavate, al riparo dalla folla e dalla massa per proteggere la loro individualità e libertà. Raccontare loro che quel Gesù ha un po’ destabilizzato anche me, mi ha coinvolto e entusiasmato molte volte, mi ha fatto assaporare la passione per l’umano e consegnato un incontro con l’Assoluto, che potevo un po’ sintetizzare con il suono di Padre, ma mi ha anche lasciato perplesso, l’ho sentito illusione, errore, distante ed inesistente. Eppure oggi non posso fare a meno di raggiunge quelle donne e stare con loro di fronte al luogo dove l’hanno chiuso, perché ad essere sincero con me stesso, la Sua voce, la Sua parola, il Suo essere presente, mi abita inspiegabilmente, concretamente.
Ecco perché sono qui, perché prendo del coraggio da queste
donne, la cui identità è chiara, sappiamo i loro nomi, e la loro tenacia è
frutto di una relazione e di un saper abitare la vita in tutte le sue sfumature.
Sto un po’ con loro, anche se leggo nei loro occhi il dolore di vedere concretamente che il loro sogno è chiuso nel sepolcro. Aspettiamo, perché abbiamo sperimentato che Dio ci prenderà per mano e ci condurrà nell’inaspettato, l’ha fatto altre volte lo farà ancora.
Ora siamo rintanati, ma chissà, domani all’alba ci metteremo
a correre.