mercoledì 30 ottobre 2013

Un anno tra virgolette

Non ricordo esattamente quando ho iniziato a tenere sempre a portata di mano un quaderno, su cui trascrivere quello che vivevo, sperimentavo, scoprivo, probabilmente intorno ai 16/17 anni, è stata comunque un’abitudine che non ho mai tralasciato  e che tra le altre cose quando ero con i piccoli fratelli del Vangelo ho apprezzato con maggior vigore, visto che all’interno della fraternità mensilmente giravano i diari dei vari fratelli che permettevano ad ognuno di condividere le esperienza anche se dispersi in tutti i continenti. Credo che il valore maggiore di un diario personale sia quello di poter rintracciare nel tempo il filo conduttore che lega la propria storia, permette di dare senso al proprio vissuto e scoprire costanti e novità che alla fin fine sono comunque inserite in un quadro esistenziale ben preciso. A me personalmente ha anche permesso di appassionarmi alle scelte, al mio cammino e ad avere cura nel non disperdere il bello che è stato seminato nel mio percorso e comprendere con la giusta distanza di tempo, anche le esperienze più difficili. Proprio oggi, intenzionalmente, e con una certa emozione apro la pagina del  30 ottobre 2012: un anno fa mettevo piede in questa nuova casa e iniziavo il mio inserimento a Lido Tre Archi. Un momento importante per me, un desiderio che si concretizzava dopo moltissimi anni, un tempo di novità che mi poneva di nuovo di fronte alla fatica del cambiamento e dell’inizio di ogni nuovo progetto. Sono fortunato perché ho avuto sempre la presenza costante e nutriente di alcune persone che hanno saputo accompagnare diverse tappe della mia vita e così anche in quest’occasione le stesse persone si sono rivelate fondamentali per affrontare questo cambiamento con uno sguardo e un atteggiamento che non tradisse il mio progetto di vita personale, ma ritrovasse una fedeltà e una coerenza che non sempre sono facili da incarnare. A notte fonda e nel silenzio dell’appartamentino che dovevo imparare a sentire mio, due sms arrivano quasi contemporaneamente: “buon inserimento e tanta pace”; mentre l’altro: “Notte buona…possa tu sentire il battito del cuore di Dio nella tua vita, in quella del quartiere in cui vivi e in tutta l’umanità”. Certamente mi hanno riscaldato il cuore, hanno dato colore alla solitudine di quel momento, mi hanno permesso di puntare lo sguardo sulla dimensione dell’abbandono. 

Si, penso che ci si possa abbandonare, lascare andare, mollare gli ormeggi e semplicemente smettere di camminare con il freno a mano tirato, e questo è possibile solo quando ci si fida profondamente; appena arrivato nella nuova abitazione, come ho sempre fatto, organizzo un piccolo angolo per la preghiera, il silenzio, il cuore a cuore con Dio nel quotidiano, è comunque la dimensione e l’esperienza più importante per me, è ciò che mi permette di entrare a fondo nella realtà che scelgo di vivere, mi aiuta a “disperdermi” non a perdermi, aprendo il Vangelo provo a fidarmi a lasciarmi prendere per mano dalle parole che trovo scritte: “Il Regno di Dio è un granello di senape…è come il lievito impastato nella massa” Lc 13,18-21. Anche oggi il Vangelo del giorno è esattamente lo stesso, mi sembra una strana coincidenza, oppure sono delle virgolette che racchiudono il senso e lo stile che ho cercato di vivere in quest’anno, ed a  queste parole mi abbandono volentieri, mi fido, mi appassionano, come anche mi spaventano un po’, ma non posso fare a meno di accogliere ancora l’invito a “impastarmi con la massa”, non perché mi senta seme, assolutamente, ma perché credo che  riconoscersi, mescolarsi, meticciarsi, compromettersi, con questa massa, sia il modo migliore per sentirsi dentro il cuore di Dio. Oggi a distanza di un anno è ancora importante che mi lasci consumare dal silenzio vissuto qui, dall’ascolto della realtà, dallo stare giorno dopo giorno negli incontri spontanei e informali, anche in questo caso si tratta di abbandonarmi, lasciarmi prendere per mano dagli altri per trasformare insieme questa realtà.


martedì 15 ottobre 2013

Spazi di fraternità

Quando si parla di spiritualità di Charles de Foucauld, si fa riferimento spesso al Nazareth, la vita nascosta, anonima e quotidiana di Gesù, un tempo lungo di vita completamente immersa nella storia del suo tempo e del suo clan famigliare. Su questa dimensione Charles de Foucauld ha fondato la sua scelta di stare sempre tra gli uomini come uno di loro, attraverso la relazione quotidiana, di vicinanza e amicizia, scegliendo di "gridare il Vangelo con la vita". Per chi segue questa spiritualità   nazareth vuol dire scegliere la vicinanza agli ultimi, l'abitare gli ambienti popolari, l'occuparsi con gli altri delle trasformazioni che la nostra società e il nostro tempo chiede, nell'ottica della giustizia, delle opportunità di vita dignitosa garantita a tutti e nella fraternità vissuta oltre ogni confine. "Nazareth non è comunque il luogo caldo e intimo, ma è sempre il luogo significativo per gli altri" diceva il benedettino Davide Semeraro, e quando si dice "significativo" si intende un luogo dove gli uomini e le donne cercano il loro riscatto. Quando si incontra la spiritualità di Nazareth non si trova solo la contemplazione intimistica e solitaria di Dio, ci si ritrova nel cuore di Dio per essere pienamente nel cuore degli uomini, per questo motivo e con questo atteggiamento proponiamo insieme alle piccole sorelle Jesus caritas di Fermo uno spazio di confronto, ascolto e sopratutto un luogo di fraternità che ci faccia appassionare non tanto a stare bene tra noi, quanto a vivere con passione il nostro tempo, le nostre relazioni e l'impegno verso la comunità allargata, non solo quella ecclesiale. Spazi di fraternità è quindi una serie di incontri sul tema dell'abitare, lo spazio il tempo e il silenzio. Aiutati da alcuni amici che si sono resi disponibili per arricchire la riflessione, ci ritroveremo secondo il calendario che troverete qui sotto pubblicato. Il primo incontro è per domenica 27 ott, dalle ore 16.00 alle 18.00 presso la parrocchia 
S. Cuore a Porto Sant'Elpidio
Per informazioni e potete contattarmi o contattare le piccole sorelle a Fermo. 

giovedì 10 ottobre 2013

Andare a fondo



donna Tapirapè
“Convertirla? Il proselitismo è una solenne sciocchezza. Bisogna conoscersi e ascoltarsi”. Mi è sembrata una frase diretta e senza possibilità di interpretazioni dietrologiche che poi rischiano di sminuire la portata e la forza del pensiero espresso, che in questo caso è quello di papa Francesco a colloquio con Eugenio Scafari.
Ho pensato a questa frase quando ho letto della notizia della morte di una piccola sorella di Gesù che da oltre 60 anni ha vissuto presso una comunità di Indios in Brasile precisamente i Tapirapé, notizia che vi invito a leggere nel link che ho posto sotto. Una vita intera senza vedere mai una conversione alla propria religione e un Battesimo, nella logica del proselitismo un vero e proprio fallimento, nella logica del Vangelo?

Immergere nella dimensione di Dio gli uomini e le donne che incontriamo,  questa è per me al momento attuale la domanda più scomoda e difficile, perché mi chiede di “conoscere e ascoltare” come dice papa Francesco, prima di tutto Dio e allo stesso tempo chi incontro. Noi cristiani siamo una minoranza e il rischio di ogni minoranza è quello di voler essere maggioranza trasformando tutti a propria immagine, anche Israele era un piccolo popolo sperduto che aveva il privilegio di diventare benedizione per tutti. 

ps Genoveva dal 1952 con i Tapirapè
Piccola sorella Geneveva ha ridato vita ad un piccolo popolo, ha scoperto insieme a loro nel ripetersi quotidiano del giorno dopo giorno, il valore pieno e assoluto di uomini e donne definite da un appartenenza culturale e religiosa per nulla inferiore a nessun altro popolo, questo suo stare, abitare, mescolarsi, contaminarsi, disperdersi ha creato vita e definito uno spazio sacro, la vita e l’esistenza di una popolazione, uomini e donne concrete: non li ha forse battezzati? Non si è immersa nella logica di Dio insieme a loro, sconfinando oltre ogni confine predefinito? Per me restano domande aperte, e mi spingono a rileggere e vivere la fede, la ricerca di Dio, la vita con altri in un orizzonte non ancora pienamente scoperto, eppure affascinante. Leggendo l’articolo ho sentito e percepito il cuore della spiritualità di nazareth; così  riprendo il largo, anzi no, il basso, verso il basso dei solchi delle nostre comunità dove senza nessuna pretesa, gettati come semi, cresciamo nella passione di sentirci reciprocamente appartenenti.












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