domenica 22 dicembre 2019

Natale 2019


Il silenzio profondo dell’alba sembra avere una riserva inesauribile di spazio e di attesa, genera e traccia i contorni dei incontri possibili, stuzzica e risveglia il desiderio, solletica il “sogno” incoraggiandolo a prendere la sua forma nelle ore del giorno, annunciato come nuovo quotidiano.

Il primo gesto che amo compiere in queste prime ore della giornata gravide di silenzio, è accendere un piccolo lume. La delicatezza della fiammella che si genera, è la prima “parola” che ricevo, così come la fragilità che la contraddistingue è come un sorriso, uno sguardo e un modo tra i tanti che posso scegliere per abitare le prime ore della giornata. Il calore della sua luce è rispettoso e non invadente, non si contrappone ma incontra le altri luci dell’alba, le incontra ma prima ancora sembra voler preparare il loro arrivo. Attende si, soprattutto attende, attende il momento in cui non ci sarà più bisogno della sua tenue luce è così fa posto  ad un'altra fonte di luce.

L’alba è un attesa  non una pretesa, è la certezza profonda che l’incontro avverrà. Nulla di straordinario all'orizzonte viene atteso, ma nel grembo dell’ordinario ti colloca nel cuore del sentirti ancora desiderato. 

Il desiderio che a piene mani ti consegna l’alba, genera ascolto e l’ascolto silenzioso apre all'incontro e l’incontro alla Parola: e la Parola è sempre generativa.

All'alba attendi il ritorno di chi desideri, prepari lo spazio della condivisione, approfitti delle mani ancora vuote per  assaporare il dono, le lasci ancora aperte perché siano feconde di gesti fraterni, le lasci libere, perché è l’unico modo con cui potrai scegliere responsabilmente dove immergerle, perché toccando incontrino, avvicinando non facciano del male e stringendo non soffochino.

Se dicessi che i lineamenti dell’alba sono gli stessi del volto di Dio? Se quel gesto semplice di accendere un fragile lumino è il modo per accendere nel silenzio l’attesa appassionata di Lui? E se le mani aperte e libere non sono un approdo, ma l’apertura ad una domanda? Ad una nuova ricerca? Ad un “mai abbastanza” che la relazione con Dio mi fa vivere?

Allora l’alba è una genesi
Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza

all’alba della vita Dio non agisce in solitaria e non è preso dal delirio narcisistico, chiede relazione e nella relazione genera l’uomo, “facciamo l’uomo a immagine e somiglianza della nostra relazione”.

Chissà se non fu all’alba che Maria incrociando lo sguardo di Giuseppe lo incoraggiò ad abbandonarsi con lei alla follia di credere che Dio aveva veramente mantenuto la promessa:
ecco l’immagine e la somiglianza di Noi, per questo lo chiameremo Gesù.               



domenica 1 settembre 2019

Ne è valsa la pena


“Ne vale la pena, ne vale ancora la pena”
Ho aperto la giornata, un po’ stanco per lo studio e le preoccupazioni di questo tempo, dove tutto sembra rincorrersi e nulla è afferrabile, eppure oggi volevo prendermi un tempo per me, lo desideravo e così ho fatto.
Gli anniversari non sono memorie sterile o stucchevoli, sono memoriali, almeno nell’ottica della relazione con Dio, ciò che abbiamo sperimentato è talmente forte e radicato nella vita , che l’esistenza continua a rendere quell’esperienza ancora forte e concreta, non è “lettera morta”. Il memoriale ci fa entrare in una dimensione diversa, ci pone nella vita dalla parte della passione, dell’innamoramento, della promessa e della fedeltà: se ciò che è avvenuto e hai vissuto ha generato vita, ogni volta che lo ricorderai avrai il “potere” di renderlo ancora vivo oggi. Il memoriale immette nel “per sempre” una novità. Quando tre anni fa decisi di fare la mia Alleanza con Dio in modo definitivo attraverso la scelta della vita celibe nello stile che avevo scelto, cioè quello della spiritualità di Chalers de Foucauld, sentivo un forte radicamento nella relazione con Dio, non una sicurezza, non una stabilità e quindi non era assolutamente né un arrivo, né un mettersi al sicuro, del resto a guardar bene la mia vita quotidiana, tutto è tranne che sicura la mia scelta di vita a dire il vero, mi sentivo piuttosto radicato, cioè profondamente abitato da uno sguardo. Uno sguardo che apre orizzonti, che non ha spavento di andare a fondo, che non si fa irretire dalle apparenze, che non si lascia racchiudere da parole. Uno sguardo che è anzitutto esperienza concreta del “di fronte”. 
Quello che ho vissuto fin qui, nella mia vita, devo dire che ne è valsa la pena, rifarei tutto senza perdere nulla, mi appassionerei di nuovo a Dio e alle mille domande che mi ha suscitato; ho dovuto  e voluto negarlo nella mia vita e nella sua esistenza, anche questo è stato necessario e ha avuto un suo motivo, un monaco, diceva André Louf, è un esperto di ateismo, (alla faccia di chi dice che gli uomini di fede sono rigidi). La relazione con Lui è stata ed è ancora, una continua navigazione, tra tempesta e bonaccia, tra certezze
conquistate a fatica e terremoti destabilizzanti, perché  Dio è inafferrabile, elusivo, è libertà da vertigine, è intimità profonda, vento di una voce leggera e certezza di una presenza delicata. “Dio è mai abbastanza” diceva Carlo Carretto.
Svegliandomi questa mattina mi percepivo contento per questo anniversario e quando  mi sentivo abitato da questo pensiero non facevo che ripetermi: ne è valsa la pena. Non so cosa ci sarà nel mio futuro, se guardo l’orizzonte non è con lo sguardo possessivo e impaurito di chi pretende di aver svelato il futuro prima che avvenga, sinceramente non mi interessa, pongo lo sguardo verso la fedeltà che ho cercato di vivere rispetto alla mia storia, per questo sento l’orizzonte davanti a me ancora una bella avventura, e ne ho desiderio. So di poter affondare il mio stesso desiderio nella fedeltà di Dio e nella compagnia di tanti amici che ho incontrato.

Io ti ho detto "per sempre Signore"...e Tu mi hai fatto ascoltare la freschezza della vita che può scorrere nell'umano, quando attinge alla sorgente della relazione.





sabato 29 giugno 2019

Il de-condizionatore



Immergersi, ecco credo che sia questa la parola giusta per provare a dire cosa significa prendersi un tempo di eremitaggio. Non mi piacciono le parole come: isolarsi, staccarsi, prendere le distanze, è certo che andando in eremo ci sia anche questo, ma in realtà poi si sperimenta l’esatto contrario: non si è soli, ci si riconnette e si acquista la giusta vicinanza, con la propria vita e con quella degli altri, ecco allora che preferisco l’espressione “ immergersi”.  Non si può assolutamente crescere in umanità se non si rintraccia profondamente in sé quella dimensione della relazione, che è essa stessa un dato di umanità.

So bene che in eremo non si va nemmeno per prendere decisioni o sciogliere chissà quale nodo esistenziale, sicuramente non si va per avere rivelazioni, tutto questo sarebbe semplicemente un carico di pretese e aspettative, in tal caso la cosa più sana che possiamo augurarci  è che vengano puntualmente disattese. In eremo si giunge per “stare”, per avventurarsi nell’intimità,  ed essere segretamente se stessi di fronte all’Altro. L’eremo è uno stile di relazione, perché è una solitudine abitata e coabitata.
eremo Angela-Paola

L’intimità che si sperimenta non è mai intimismo, che al contrario è sempre pericoloso e pernicioso, essa è frutto di un tempo rallentato e di un ascolto profondo, è la possibilità d’incontro con la pienezza del proprio esistere che avviene solo nel momento in cui la propria libertà, non più spaventata dalla fragilità e dal limite che sperimenta, si permette di essere “di fronte” ad un Altro possibile. L’intimità arriva quando meno te l’ aspetti, perché ti liberi dalla pretesa di avere, è un ritrovarsi  sconfinati e allo stesso tempo contenuti in un abbraccio che genera, è un silenzio profondo, è una comunicazione compiuta eppure “non ancora abbastanza”, proprio come l’esperienza di Dio.

L’eremo è anche lotta, è flusso di domande scomode e per certi aspetti l’eremitaggio è un tempo spietato e poco diplomatico; non devi rendere conto a nessuno, non devi continuare ad interpretare il tuo copione, non ti è richiesta nessuna performance, sei "solo davanti al Solo", sintetizzava bene Eckhart . Il Suo sguardo così immediato e profondo, accogliente e non giudicante, privo di pretese e aspettative, ti mette semplicemente in contatto con ciò che sei: e qui inizia la lotta.

Il silenzio del primissimo mattino che ho cercato in questa settimana d’eremo, diventava il cuore stesso dell’attesa, generava la sete e il desiderio di cogliere in profondità la Parola: l’ascolto è la cifra profonda e profetica del credente oggi. L’ascolto diventa un vero e proprio “de-condizionatore” perché nella sua azione costante permette di decifrare le parole inquinanti da quelle nutrienti e d’inquinamento verbale oggi ne abbiamo in abbondanza, tanto da farmi pensare che questa potrebbe essere la nuova azione ecologica. Pulire il verbale che predomina la nostra comunicazione potrebbe significare rendere ecologiche le nostre relazioni. E’ innegabile la violenza che respiriamo quotidianamente, non solo fisica, violenza che passa attraverso le aggressioni verbali, la rabbia scaricata verso chi esprime un pensiero, la prepotenza di chi risponde attaccando prima ancora che l’altro concluda il proprio ragionamento, per non dire delle tante persone che pontificano sui diritti e sulle tolleranze facendosi paladini delle libertà per poi dimostrare che non hanno fatto bene i conti con i propri pregiudizi e così di discriminazioni ed esclusioni sono altrettanto capaci loro.

Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente” Rm 12

…sono le 4.30 del mattino, fuori albeggia, tengo aperta la porta della cappellina dell’eremo ed attendo che la luce del giorno cresca. Nel profondo sento come una sorta di invito semplice e deciso, che non mi chiede nulla: _ma tu stai con me.
Non mi è chiaro come arrivo a sentire che la risposta giusta che voglio portare a compimento è molto semplice:  _desidero avere ancora desiderio di Te.

E quel breve momento d’intimità, che sa raccogliere tutta la mia fragilità e le mie contraddizioni,  mi prende per mano e mi riconduce nel cuore della mia vita quotidiana:
nel cuore di Dio e nel cuore degli uomini.



domenica 14 aprile 2019

Disorientarsi


Vorrei davvero tanto che le parole ritrovassero una loro umiltà profonda, quella capacità di comprendere che si è parte di un insieme e non il centro dell’insieme, umiltà è quel viaggio profondo, lento e a tratti resistente, che ci porta lì al punto d’incontro tra ciò che siamo realmente e ciò che sentiamo di essere, l’umiltà è un bacio e un abbraccio che si produce in noi, è un “far luce”, uno svelare e quindi un gesto leggero, rispettoso, libero e meravigliato di chi sfila via un velo che ha coperto per troppo tempo il vivere;  l’umiltà è una riconciliazione profonda che ci apre gli occhi sul reale e ci fa cogliere in profondità la vita e soprattutto la vita di relazione.  Le nostre parole hanno allora bisogno di baciare e abbracciare il silenzio, in un gesto sensuale e generativo che porta inevitabilmente altrove, nei terreni inesplorati dell’umano. Il silenzio quando non è voragine che ingoia, quando non è assenza disperata o negazione di contatto, diventa grembo e spazio donato, diventa acqua fresca  di sorgente, calore che non inaridisce e fuoco che non consuma, ma plasma e modella. Al suo contatto la parola torna a generare, apre e spalanca l’orizzonte, coglie in un suono l’inaspettato, nel senso racchiude un indicazione,  ma non soffoca nessuna sfumatura; la parola pronunciata nel cuore del silenzio è un suono preciso che sa includere in se la pluralità dei significati, per questo la parola si nutre del desiderio di essere accolta.

Sento il bisogno profondo che l’abbraccio tra silenzio e parola, avvenga coraggiosamente in questo oggi, irrompa inaspettatamente in questo tempo, spezzi schemi e certezze, provochi e penetri come inciampo nella corsa folle della nostra comunità umana chi rischia di chiamare nichilismo libertà.
Percepisco una sorta di tensione interiore, che mi seduce e allo stesso tempo genera resistenza, mi affascina e mi chiama l’attenzione;  il pensiero e il cuore che esplorano e danno spazio agli input di questa settimana che da sempre indichiamo come santa, si sentono attratti principalmente dal silenzio del sabato santo, da quella quiete, da quella sosta improvvisa. Il prima e il dopo quel giorno trovano il loro punto d’incontro in quella dimensione d’intimità del sabato santo, dove Silenzio e Parola in un gesto di creazione di “dopo diluvio”, di tenacia un po’ ostinata e testarda, si abbandonano al DISORIENTAMENTO.

In quel sabato Dio e l’Uomo si fanno compagnia nell'essere privi di orientamento e nel punto più alto d’intimità ritrovata, il sepolcro non può che essere vuoto.