lunedì 27 novembre 2017

Dammi oggi l'insalata quotidiana


Svegliarsi il mattino presto quando ancora il sole non ha fatto capolino all'orizzonte, il buio della notte è ormai agli sgoccioli e trattiene, con una particolare delicatezza, quell'abbandono dell’uomo ancora al suo riposo; sento qualche rumore nel palazzo, quelle delle tapparelle che lentamente si alzano, come a dar voce a quel sonno che stenta a cedere il passo all'obbligo di mettersi in moto per affrontare la giornata di lavoro, riconosco i passi e dalla direzione del rumore individuo che sono alcuni vicini indiani che all'alba, prima ancora del sole si mettono in moto per raggiungere il loro posto di lavoro: la raccolta delle insalate. Ore di lavoro al freddo e in ogni condizione, escono presto la mattina e rientrano a fine giornata, li incontro spesso al loro ritorno, quando con un italiano stentato e peggiorato dalla stanchezza, non rifiutano né un sorriso, né un dialogo di cortesia: “come stai? E la tua famiglia? Stanco?.

Ci si può accogliere semplicemente, guardarsi negli occhi e liberare il desiderio di avvicinarsi con rispetto, una stretta di mano che diventa il superamento di confini, abbassa le diffidenze e così sperimentare nella stretta una sorta  d’abbraccio profondo, l’espressione di un fidarsi reciproco. Ciò che più mi colpisce è quell’essere sempre anticipato nel chiedere “come stai?”, chi torna sfinito da lunghe ore di lavoro, che conosce poco riposo settimanale, logorato lentamente dal freddo e dall’umidità, piegato da gesti ripetuti all’infinito ma soprattutto svuotati da un ambiente che ti considera “forza lavoro” prima che uomo, chi vive questa fatica, ha il diritto che qualcuno gli chieda almeno: “come stai?”. Invece nel mio quotidiano è esattamente l’opposto: sono sempre loro ad anticiparmi. Mi immergo in questo potere delle relazioni, lasciandomi modellare da ciò che avviene, intensificato, concretizzato da gesti semplici, che trovano significato nell’ambiente in cui avvengono, perché il contesto ambientale  è una cassa di risonanza, lo spazio dei significati. La diffidenza, il distinguersi e il separarsi per appartenenze,  non mancano certo nel mio quartiere, in completo attrito con chi invece prova a guardare negli occhi, ad avvicinare, salutare ed incontrare. C’è di tutto e il contrario di tutto qui. Per me c’è principalmente la possibilità di addentrarmi nelle zolle più aride di questa terra che appare incolta, secca e incapace di generare. Il primo sentimento che mi abita e che spesso prevale in me è quello dell’impotenza, che nell’epoca dei super eroi non è sempre facile da accogliere, eppure è quel processo di spogliazione che ti libera; lentamente giorno dopo giorno sento che questa realtà mi spoglia: mentre procedo nel camminare, una mano o uno sguardo, una parola come un incontro inaspettato, mi tolgono lentamente un abito di troppo, ci si alleggerisce, o meglio si viene alleggeriti. Solo con la leggerezza si può camminare in punta di piedi nel quotidiano ferito che incontro, sono necessarie mani vuote per “toccare”. Mai come in questo momento ho necessità e desiderio del silenzio di Dio, come se fosse una mano estremamente delicata e decisa che si avvicina alla mia e mi accompagna in profondità nel solchi aridi di esistenze spezzate. Non tutto si riesce a narrare, molto va custodito. Dio mi ha preso per mano e guardandomi negli occhi mi ha fatto  innamorare della bellezza del “passo indietro”…è un passo di danza che mi ha aperto lo sguardo in avanti verso le relazioni.


Il mio amico indiano rientra quasi contemporaneamente a me dal suo lavoro, con la piccola differenza che lui esce alle 5:00, la prima cosa che fa è telefonarmi per accertarsi che sono a casa, ha preso per me al suo lavoro una confezione d’insalata già pronta, sa che mi piace e che mangio soprattutto verdura, è il suo gesto di attenzione, la praticità con cui narra la nostra amicizia e quando mi dice che non gli piace l’ambiente del nostro palazzo ci tiene a dirmi che però ci sono io. Io ho scelto di stare qui, lui no.


Il sole è appena spuntato e nel silenzio della mia cappellina, nel cuore del palazzo faccio risuonare dentro parole oranti antiche e nuove, così sorridendo nel cuore di Dio gli chiedo: dacci oggi la nostra insalata quotidiana.