sabato 17 agosto 2013

1 , 2, 3, Za -za


Zumpapà non è certamente la nuova disciplina estiva  che utilizza il ritmo musicale per tonificare il corpo , no, è il zum-pa-pa e za-za della musica mandata a tutto volume al centro sociale, immancabile tutte le sere in una cornice impreziosita dalle lucette di natale, è semplicemente fantastico, …se non devi scrivere la tesi e studiare. Ancora più caratteristico è il fruttivendolo ambulante napoletano, che mentre gira per le vie del quartiere, con il microfono praticamente incollato alle sue corde vocali, improvvisa melodie improponibili stile Mario Merola, una sorta di lamenti e ululati non meglio specificati e gracchiati dall’altoparlante, che in effetti possono anche  essere la colonna sonora di una splendida giornata di sole, ma se poi metti che il tipo, tutti i giorni percorre ogni centimetro del quartiere, beh!  Speri che prima o poi l’impianto di amplificazione gli faccia semplicemente cortocircuito e con una piccola e innocua fiammata, gli metta fuori uso il giocattolo, in fondo deve vendere la frutta non certo partecipare ad “amici di Maria de Filippi”. Ma del resto anche queste sono note di colore in questo spazio in cui la gente si mescola, si incontra, si ignora, si cerca, si scontra, si nasconde. Con l’estate il quartiere ha cambiato immagine, sembra quasi un centro vacanze dove la quotidianità è caratterizzata dall’andirivieni casa/ spiaggia, che i vacanzieri ripetono come se fosse l’ingresso e l’uscita da una fabbrica, sempre con gli stessi orari,  eppure anche se siamo in numero maggiore, le distanze restano e non ci si incontra, è uno stare gli uni accanto agli altri senza mai intersecarsi veramente, chi era qui anche durante l’inverno è quasi indifferente all’arrivo di così tante persone, sanno che sono di passaggio, continuiamo a vivere parallelamente . Mi sembra lo stesso paradosso delle grandi città, più si è in tanti più si rischia l’isolamento e le distanze. Riscopro allora la forza delle piccole attenzioni che si possono avere nei confronti delle persone, nulla di speciale o di straordinario, si tratta di sperimentare il semplice “essere presente all’altro”, e così è stato con alcuni vicini, anche nei giorni di fine Ramadan.  

Nella mia vita mi sono trovato in alcune occasioni completamente spiazzato e disarmato di fronte ad esperienze non sempre facili da affrontare, per abitudine o per cultura, direi anche molto cattolica, ho provato imbarazzo a non saper fare o dire qualcosa per sostenere, per  essere d’aiuto, quel senso del dovere che porta a rispondere alla logica dell’essere utili per gli altri, poi lentamente ho incominciato ad accogliere “la mia incapacità”, il silenzio per l’assenza di ogni parola, ho lasciato l’ansia del dover essere utile e significativo per gli altri e mi sono attardato nell’unica posizione che era possibile: essere presente.  Pensandoci non è così immediato il passaggio e non è poi così scontato trovarsi bene anche in questa posizione, essere presente all’altro è prima di tutto un mettersi in povertà, un mettersi a nudo, un mettersi “con” l’altro e quindi non è “per me, per te, per questo, per quello”, no…è un restare “con”, in totale apertura e liberi dalle aspettative e da qualsiasi tornaconto personale. Mentre scrivo questi pensieri, mi tonano in mente delle persone ben precise che mi hanno fatto sperimentare questo “essermi accanto”,  qualcosa di non tangibile ma allo stesso tempo profondamente nutriente. Credo che sono state proprio quest’esperienze, e delle persone ben precise, che nel tempo si sono manifestate nel dono prezioso e totalmente gratuito dell’amicizia, a determinare oggi  il fulcro della mia scelta di vita, “l’essere presente”. Non è un punto d’arrivo, una meta da raggiungere, un grado della perfezione, un idolo  da conquistare a tutti i costi o un immagine di sé che si vuole assumere, è piuttosto un camminare lento,  un appassionato ascolto di sé, uno spazio creato per l’ascolto dell’altro, un interiorizzazione dei propri limiti e una consapevolezza della propria storia. Charles de Foucauld scoprì il senso profondo della sua scelta di Nazareth quando abbandonando la frenesia del fare per gli altri, dello scrivere e riflettere per abbozzare piani di evangelizzazione o pianificazione degli incontri, completamente disarmato e vulnerabile, lasciò a sé stesso e agli altri la possibilità d’incontrarsi in quello che erano semplicemente: lui uno strano francese, cristiano, monaco nel deserto e con la mentalità borghese e militare, e loro dei nomadi del deserto, poveri materialmente, orgogliosi e ben radicati nella propria cultura, nella propria fede e nella concretezza di come si sopravvive nel deserto. “L’essere presenti all’altro” è sempre nella reciprocità, non è mai sbilanciato e non è mai un equilibrio di potere e di volere…è una sorta di danza armonica, ma di quelle tradizionali dove al centro c’è il gruppo e l’appartenersi, dove mai nessuno emerge…quasi quasi un zum- pa-pa 
amedeo.angelozzi@tiscali.it