Zumpapà non è certamente la nuova disciplina estiva che utilizza il ritmo musicale per tonificare
il corpo , no, è il zum-pa-pa e za-za della musica mandata a tutto volume al
centro sociale, immancabile tutte le sere in una cornice impreziosita dalle
lucette di natale, è semplicemente fantastico, …se non devi scrivere la tesi e
studiare. Ancora più caratteristico è il fruttivendolo ambulante napoletano,
che mentre gira per le vie del quartiere, con il microfono praticamente
incollato alle sue corde vocali, improvvisa melodie improponibili stile Mario
Merola, una sorta di lamenti e ululati non meglio specificati e gracchiati dall’altoparlante,
che in effetti possono anche essere la
colonna sonora di una splendida giornata di sole, ma se poi metti che il tipo, tutti
i giorni percorre ogni centimetro del quartiere, beh! Speri che prima o poi l’impianto di
amplificazione gli faccia semplicemente cortocircuito e con una piccola e
innocua fiammata, gli metta fuori uso il giocattolo, in fondo deve vendere la
frutta non certo partecipare ad “amici di Maria de Filippi”. Ma del resto anche
queste sono note di colore in questo spazio in cui la gente si mescola, si
incontra, si ignora, si cerca, si scontra, si nasconde. Con l’estate il
quartiere ha cambiato immagine, sembra quasi un centro vacanze dove la
quotidianità è caratterizzata dall’andirivieni casa/ spiaggia, che i vacanzieri
ripetono come se fosse l’ingresso e l’uscita da una fabbrica, sempre con gli
stessi orari, eppure anche se siamo in
numero maggiore, le distanze restano e non ci si incontra, è uno stare gli uni
accanto agli altri senza mai intersecarsi veramente, chi era qui anche durante
l’inverno è quasi indifferente all’arrivo di così tante persone, sanno che sono
di passaggio, continuiamo a vivere parallelamente . Mi sembra lo stesso paradosso
delle grandi città, più si è in tanti più si rischia l’isolamento e le
distanze. Riscopro allora la forza delle piccole attenzioni che si possono
avere nei confronti delle persone, nulla di speciale o di straordinario, si
tratta di sperimentare il semplice “essere presente all’altro”, e così è stato
con alcuni vicini, anche nei giorni di fine Ramadan.
Nella mia vita mi sono trovato in alcune
occasioni completamente spiazzato e disarmato di fronte ad esperienze non
sempre facili da affrontare, per abitudine o per cultura, direi anche molto
cattolica, ho provato imbarazzo a non saper fare o dire qualcosa per sostenere,
per essere d’aiuto, quel senso del
dovere che porta a rispondere alla logica dell’essere utili per gli altri, poi
lentamente ho incominciato ad accogliere “la mia incapacità”, il silenzio per
l’assenza di ogni parola, ho lasciato l’ansia del dover essere utile e
significativo per gli altri e mi sono attardato nell’unica posizione che era
possibile: essere presente. Pensandoci non
è così immediato il passaggio e non è poi così scontato trovarsi bene anche in
questa posizione, essere presente all’altro è prima di tutto un mettersi in
povertà, un mettersi a nudo, un mettersi “con” l’altro e quindi non è “per me,
per te, per questo, per quello”, no…è un restare “con”, in totale apertura e
liberi dalle aspettative e da qualsiasi tornaconto personale. Mentre scrivo
questi pensieri, mi tonano in mente delle persone ben precise che mi hanno
fatto sperimentare questo “essermi accanto”, qualcosa di non tangibile ma allo stesso tempo
profondamente nutriente. Credo che sono state proprio quest’esperienze, e delle
persone ben precise, che nel tempo si sono manifestate nel dono prezioso e
totalmente gratuito dell’amicizia, a determinare oggi il fulcro della mia scelta di vita, “l’essere
presente”. Non è un punto d’arrivo, una meta da raggiungere, un grado della
perfezione, un idolo da conquistare a
tutti i costi o un immagine di sé che si vuole assumere, è piuttosto un camminare
lento, un appassionato ascolto di sé,
uno spazio creato per l’ascolto dell’altro, un interiorizzazione dei propri
limiti e una consapevolezza della propria storia. Charles de Foucauld scoprì il
senso profondo della sua scelta di Nazareth quando abbandonando la frenesia del
fare per gli altri, dello scrivere e riflettere per abbozzare piani di
evangelizzazione o pianificazione degli incontri, completamente disarmato e
vulnerabile, lasciò a sé stesso e agli altri la possibilità d’incontrarsi in
quello che erano semplicemente: lui uno strano francese, cristiano, monaco nel
deserto e con la mentalità borghese e militare, e loro dei nomadi del deserto,
poveri materialmente, orgogliosi e ben radicati nella propria cultura, nella
propria fede e nella concretezza di come si sopravvive nel deserto. “L’essere
presenti all’altro” è sempre nella reciprocità, non è mai sbilanciato e non è
mai un equilibrio di potere e di volere…è una sorta di danza armonica, ma di
quelle tradizionali dove al centro c’è il gruppo e l’appartenersi, dove mai
nessuno emerge…quasi quasi un zum- pa-pa
amedeo.angelozzi@tiscali.it |