Restare nel tempo “dei piccoli traguardi raggiunti” e
scoprire che alla fin fine gli obiettivi e i sogni così tanto desiderati, hanno
un sapore e una forma inaspettata, perché frutto d’incontri e collaborazioni, perché
si è creduto fortemente all'appartenenza reciproca più che ad un triste “fai da
te”; restare nel tempo dell’attesa, dove si impara che la frustrazione del non
immediato, permette di andare in profondità nella propria storia e nel proprio
bisogno, lasciando che il tempo rafforzi il coraggio per saper abbandonare ciò
che non è strettamente necessario o semplicemente frutto di “capricci” e falsi
obiettivi, inoltre non fuggire il tempo dell’attesa ho scoperto, mi permette di
ridimensionare le aspettative, ridefinendo il mio quotidiano nella cornice del
possibile e del reale; infine restare
poi nel tempo della crisi, il luogo in assoluto più faticoso da frequentare,
spesso anche molto insidioso, perché evitato, misconosciuto e frainteso, eppure
se non fuggito, il più fecondo.
In questi giorni di calma, dopo la grande abbuffata d’impegni
lavorativi ed altro, scopro che queste dimensioni dell’esistere hanno ritmato l’esperienza
di questi ultimi mesi. Sovente la frenesia, le responsabilità e gli impegni che
non possiamo disattendere, rischiano di travolgerci e ci tolgono quella
lucidità che solo potrebbe farci cogliere il bello di quello che avviene nella
nostra vita; mi sono aggrappato con tenacia a quei momenti della giornata in
cui in assoluta intimità con Dio, ho “staccato la presa” e “mollato il freno a
mano”, non mi ha interessato la quantità, piuttosto la qualità del tempo
trascorso in piena reciprocità, nell'ascolto senza pretesa e senza un obiettivo
specifico, nell'assoluta gratuità e nella libertà di dire: “sono qui e mi basta”.
Una relazione è reciprocità, è vita quando genere movimento, quando non
anestetizza, ferma, chiude o crea semplicemente un nido ovattato, allora quel “sono
qui e mi basta” rivolto all’Altro, non è il paradiso raggiunto, non è il luogo
della fuga dalla tempesta e dai rischi, né l’utilizzo dell’altro per il proprio
benessere, è l’esperienza di una profonda fiducia, di uno sguardo schietto su
chi è presente in te e davanti a te, di un riconoscersi reciproco e continuo
che genera vita e vita in abbondanza.
E’ il Vangelo che dà sapore e concretezza a questi momenti
di intimità, che se ascoltato non è mai un formulario, o un codice, ma una
continua apertura all'ascolto della vita, un invito ad avere “uno sguardo altro”,
a crescere nella passione per un cammino di umanizzazione, il proprio e quello
degli altri, come ripete spesso Enzo Bianchi, per cogliere la “soddisfazione”
profonda di Dio nell'aver consegnato all'eterno quelle parole dell’origine: “ed
era cosa molto buona”, pronunciate quando ritirandosi fece spazio davanti a sé all'umano, l’Adam.
Gesù ha continuato a pronunciare queste stesse parole,
spingendo il piede sull'acceleratore: siamo disposti anche noi a dire e rendere
visibile, tangibile, sperimentabile la nostra umanità e quella degli altri come
“cosa molto buona”?