venerdì 12 giugno 2015

I gusti di Dio

Restare nel tempo “dei piccoli traguardi raggiunti” e scoprire che alla fin fine gli obiettivi e i sogni così tanto desiderati, hanno un sapore e una forma inaspettata, perché frutto d’incontri e collaborazioni, perché si è creduto fortemente all'appartenenza reciproca più che ad un triste “fai da te”; restare nel tempo dell’attesa, dove si impara che la frustrazione del non immediato, permette di andare in profondità nella propria storia e nel proprio bisogno, lasciando che il tempo rafforzi il coraggio per saper abbandonare ciò che non è strettamente necessario o semplicemente frutto di “capricci” e falsi obiettivi, inoltre non fuggire il tempo dell’attesa ho scoperto, mi permette di ridimensionare le aspettative, ridefinendo il mio quotidiano nella cornice del possibile e del reale; infine  restare poi nel tempo della crisi, il luogo in assoluto più faticoso da frequentare, spesso anche molto insidioso, perché evitato, misconosciuto e frainteso, eppure se non fuggito, il più fecondo.

In questi giorni di calma, dopo la grande abbuffata d’impegni lavorativi ed altro, scopro che queste dimensioni dell’esistere hanno ritmato l’esperienza di questi ultimi mesi. Sovente la frenesia, le responsabilità e gli impegni che non possiamo disattendere, rischiano di travolgerci e ci tolgono quella lucidità che solo potrebbe farci cogliere il bello di quello che avviene nella nostra vita; mi sono aggrappato con tenacia a quei momenti della giornata in cui in assoluta intimità con Dio, ho “staccato la presa” e “mollato il freno a mano”, non mi ha interessato la quantità, piuttosto la qualità del tempo trascorso in piena reciprocità, nell'ascolto senza pretesa e senza un obiettivo specifico, nell'assoluta gratuità e nella libertà di dire: “sono qui e mi basta”. Una relazione è reciprocità, è vita quando genere movimento, quando non anestetizza, ferma, chiude o crea semplicemente un nido ovattato, allora quel “sono qui e mi basta” rivolto all’Altro, non è il paradiso raggiunto, non è il luogo della fuga dalla tempesta e dai rischi, né l’utilizzo dell’altro per il proprio benessere, è l’esperienza di una profonda fiducia, di uno sguardo schietto su chi è presente in te e davanti a te, di un riconoscersi reciproco e continuo che genera vita e vita in abbondanza.


E’ il Vangelo che dà sapore e concretezza a questi momenti di intimità, che se ascoltato non è mai un formulario, o un codice, ma una continua apertura all'ascolto della vita, un invito ad avere “uno sguardo altro”, a crescere nella passione per un cammino di umanizzazione, il proprio e quello degli altri, come ripete spesso Enzo Bianchi, per cogliere la “soddisfazione” profonda di Dio nell'aver consegnato all'eterno quelle parole dell’origine: “ed era cosa molto buona”, pronunciate quando ritirandosi fece spazio davanti a sé all'umano, l’Adam.


Gesù ha continuato a pronunciare queste stesse parole, spingendo il piede sull'acceleratore: siamo disposti anche noi a dire e rendere visibile, tangibile, sperimentabile la nostra umanità e quella degli altri come “cosa molto buona”?