giovedì 9 aprile 2020

Anche la tenerezza può far paura


Un gesto d’intimità profonda arriva sempre inaspettato e può succedere che prima dell’accoglienza dello stesso, istintivamente ci si blocchi o ci si ritiri come a difesa: la gratuità di un gesto di cura è una grande domanda ed una prova.

Se poi il gesto d’intimità passa attraverso il lasciarsi toccare, allora la difficoltà può aumentare, soprattutto se ci viene chiede di abbandonarci, non di controllare.

Ci sono parti del nostro corpo, come i piedi che hanno una loro intimità, difficilmente li lasciamo toccare da altri, o se avviene è per un enorme confidenza e una libertà di relazione che indica la fiducia e l’affidamento reciproco.

Proprio sui piedi Gesù si è chinato, sul camminare dell’uomo, sulle ferite provocate dalla strada, sulle parti più indurite.

Si è denudato prima di tutto, prima ancora di mettersi a lavare i piedi, si è spogliato.


Occorre essere liberi, trasparenti, segretamente se stessi di fronte agli altri, occorre anche essere in una situazione di vulnerabilità, per poter avvicinare i piedi dell’altro e lavarli: prendersene cura.

L’umanizzazione non credo che passa attraverso le conquiste e i successi, tanto meno nel raggiungere un livello di potere e riconoscimento, sono terreni viscidi e ambigui questi; l’umanizzazione al contrario, mi sembra di comprendere oggi, passa attraverso il gesto di tenerezza dell’altro, accolto in totale abbandono, in una fiducia condivisa.

Gesù si spoglia, dimentico di se stesso, del ruolo che gli viene riconosciuto all'interno del suo gruppo, e si prende cura di quei piedi che appartengono a persone concrete: i suoi  apostoli, gli stessi pieni con cui fuggiranno  lasciandolo solo, piedi che serviranno ad un altro per recarsi verso il luogo del tradimento: comunque li amò fino alla fine, non per merito ne per fedeltà di clan.

Dovrei lasciarmi lavare i piedi a Dio? Che strano rapporto con il trascendente. Dio si venera, Dio si teme, nel senso di paura, a Dio si donano sacrifici, Dio si rispetta e basta.

Mentre siamo ancora imbevuti di una mentalità religiosa del genere, Dio nel gesto di Gesù si spoglia, si china e si prende cura dell’umano.

Se solo fossi minimamente capace di lasciarmi toccare da questa tenerezza di Dio senza la necessità di controllarla, capirla e dargli per forza un significato.

Non prendere paura, va e follemente, fa lo stesso, non guadagnerai nulla, semplicemente diventerai.

Gv. 13, 1-15
Giovedì  Santo 2020






sabato 4 aprile 2020

Il tuo di fronte

L’isolamento forzato, la mancanza di contatto fisico che quando c’è rende l’umano una meraviglia e un prodigio.

Di fronte a tre settimane e più di totale solitudine la prima resistenza è stata quella di non iper-connettermi, alla ricerca spasmodica di video, azioni, attività, parole di tutti i generi, confuse e irrazionalmente messe insieme. Tutto mi è sembrato il tentativo di sfuggire la paura del nulla.
L’estrema solitudine mi ha disorientato, fatto perdere la cognizione del tempo, catapultato in un non luogo dove a fatica mi riconoscevo. Il bisogno fondamentale del volto dell’altro per ritrovarmi, sentire e umanizzarmi, non poteva trovare la soluzione in uno schermo  o video chiamata anzi li sentivo un’illusione ancora più dilaniante e perniciosa: sono perché sono in contatto con il “mio di fronte”.
Una debolezza estrema, una vulnerabilità pericolosa, il rischio di perdersi e non più ritrovarsi.
Eppure…

Non ho voluto sottrarmi a questo, non mi sono limitato alla superficie del mio sentire o percepire, probabilmente con la testardaggine di sempre ho voluto assaporare fino in fondo quello che sentivo, la fatica della mancanza, l’essere nudo di fronte a me stesso….e perdermi.
Una presenza discreta e decisa, un attendermi in fondo e un abitarmi passo passo, hanno con decisione chiuso i rumori di una società che per forza e prepotentemente ti impone di riempire il vuoto, ho voluto lasciarli fuori.
Ma il vuoto c’è, lo si incontra prima o poi, il vuoto va custodito, amato anche contestato, nel vuoto va fatto risuonare l’urlo e poi accolto il silenzio.

Il Signore Dio disse: non è cosa buona che il terrestre sia solo. Farò per lui un aiuto contro di lui” Gen 2,18

Non so se esagero ma è questo quello che percepisco di questo tempo,  una sorta di esperienza di ritorno alle origini, nella fatica sperimentata dalla mancanza di contatto il ritorno ai momenti più importanti delle relazioni vissute e da lì abitarle di nuovo, senza barriere, sconti e giustificazioni. Accompagnato dalla Tenerezza infinita, fare verità.
E rimettersi in cammino, con il silenzio che come grembo plasma di nuovo  il terrestre che è in me.

Entro così, a piedi scalzi, in questo tempo particolarissimo della Pasqua, che mi libera, mi denuda, mi chiede di andare a fondo e all’essenziale…verso dove? Non so, provo solo a tendere la mano.