Le giornate
sono davvero piene, gli impegni di lavoro richiedono maggiore controllo del
tempo e la capacità di non farsi travolgere dalla percezione di non farcela o
dall'idea malsana di poter far tutto, non amo né l’una né altra dimensione; preferisco cogliere questo tempo come un
tempo opportuno e favorevole anche perché tutto quello che vivo, sia nel lavoro
che nel quotidiano, l’ho veramente desiderato e sento di aver la fortuna di
poter coniugare la scelta di vita con le possibilità lavorative; guardare con gratitudine ciò che si ha e non ruminare
continuamente la lamentosità per quel che manca o non si è ottenuto, è porsi
nella dimensione del dono e non della pretesa. E’ vero, molto spesso rientro in
casa stanco, aprendo la porta del mio appartamento trovo il silenzio e la
solitudine che fanno da grembo per ciò che ho vissuto, per gli incontri fatti e
per le tante situazioni che ho incrociato, mi accorgo che man mano che lascio
andare “la pretesa” e mi innamoro “dell’abbandono accogliente”, le due dimensioni
del silenzio e della solitudine diventano le sfumature delicate, i tratti
caratteristici, i gesti d’attenzione, lo stile o lo sguardo che mi pongono nel
cuore della vita: della mia come quella degli altri. Il silenzio mi invita a
sospendere le parole, che sono sempre mediazioni, comunque parziali, che
limitano l’espressione del sentito, il silenzio è grembo che attende, è uno
spazio delicatamente preparato all'arrivo dell’inatteso e non ancora
incontrato,il silenzio è invitare se stessi a tacere, il silenzio è scegliere
di “non prendere la parola”, ma riceverla, per questo quando la parola arriva
essa è un seme che genera, la propria storia e le relazioni. Poi c’è la
solitudine, che nella mia scelta di vita come celibi ho imparato a frequentare,
essa è l’espressione dissonante, il tratto caratteristico dell’aver posto la
relazione con Dio come tratto essenziale della mia vita. La solitudine che in
sé indica l’assenza di relazione, in realtà per me è diventata paradossalmente
il luogo della relazione in pienezza: quando sono solo o ricerco la solitudine,
mi accorgo che scelgo di non essere invadente o onnipresente nelle relazioni,
ma di raggiungerle passando attraverso un ascolto profondo e quest’ascolto si è
nutrito dell’essere “solo con Dio” e “nell’essere solo in Dio”. Non esiste “non
relazione”, esistono modi diversi di essere in relazione, solo una cultura
profondamente individualista come l’attuale in Occidente, ci convince del
contrario. Ad ogni modo sento profondamente mia
il concetto che la Bibbia ci consegna e che Ignazio Punzi ha così
sintetizzato “ In principio, potremmo dire, non c’era l’Uno ma il Due”1. Silenzio e solitudine, vanno di pari passo con incontro e ascolto degli
altri; sé le prime due parole hanno tratti negativi e si coniugano nell'ottica
della “mancanza”, le altre due si vestono di fatica, scontro, pretesa e
invadenza.
“Dio
mi ha presa per mano, ed io ciecamente l’ho seguito”, diceva piccola sorella
Magdeleine ( fondatrice delle piccole sorelle di Gesù), in queste parole non
c’è nulla di fatalistico, né d’incosciente, ancor meno di visione naif della
fede e della vita, c’è invece un lungo cammino fatto di passione, di dubbi,
domande scomode, di ascolto profondo nel silenzio e nella solitudine abitata da
Dio, che genera una profonda fiducia…e se è Dio a prenderti per mano non può
che condurti nel cuore delle relazioni. Quest’espressione di Magdeleine mi ha
accompagnato in questi giorni dove ritrovo la delicata compagnia e e il
richiamo dolce del silenzio e della solitudine, che come due mani di Dio mi
prendono, sollevano e mi pongono nel cuore del quotidiano, il più ripetitivo e
banale se vogliamo, sicuramente il luogo degli incontri, lo spazio della mia
umanizzazione. Solitudine e silenzio, sono l’espressione della vita contemplativa, una
contemplazione che passa attraverso l’ospitalità che alcuni incontri mi hanno
fatto sperimentare.
1 I.Punzi; "I quattro codici della vita umana"; Ed San Paolo; Roma 2018; pag.34