Dio è come un muratore, con l’equilibrio e la maestria ha tirato su una struttura di tubi innocenti, per arrivare fino al mio balcone e anche oltre. Si è arrampicato, giorno e notte, ha tolto e “scrostato”, modificato e ristrutturato. Io mi soffermo spesso a guardare i pezzi rotti, la polvere e i calcinacci. Provo fastidio in questa confusione del cantiere, e questo disagio mi provoca, mi “ingabbia” in un “qui ed ora” troppo limitato a ciò che vedo, togliendo respiro e bellezza a ciò che invece potrebbe diventare questo “mio abitare”. Ormai è il “cantiere” la metafora che più mi accompagna, per una questione decisamente concreta: i lavori nel mio palazzo, eppure da ossessione si sta trasformando in opportunità, è una continua e costante metafora e un luogo concreto dove tutto si è capovolto.
E’ una casa precaria
e di fortuna quella che gli evangelisti descrivono quando narrano la Nascita,
un luogo abitato velocemente, anonimo e preso in prestito; la nostra fantasia l’ha
resa però capanna o grotta, l’ha voluta a tutti i costi addolcire e riscaldare,
forse perché ci resta continuamente uno sforzo sgradevole, pensare che nell’inutile
quotidiano e nell’anonimato banale, si possa trovare e scovare il senso del
nostro esistere o forse perché nella contraddizione che spesso viviamo e che ci
stride dentro e provoca dolore d’attrito, tra quello che immaginiamo di voler
essere e siamo, preferiamo spesso raccontarcela, piuttosto che vivercela in
profondità. Dove l’uomo fa fatica a restare nel suo vivere quotidiano, Dio ci abita
con profondo agio e ci si addormenta
come un bimbo inconsapevole, altro che poesia e stelline di Natale.
Francesco scese a Greccio e volle “vedere” cosa aveva provato Gesù la notte della sua nascita, volle vedere, sentire, toccare concretamente, volle lasciarsi destrutturare, smontare, raggiungere nella carne e si ritrovò tra la gente del posto. Charles de Foucauld si rese nomade tra i nomadi, si svuotò, lotto con le sue “macchinosità” mentali, si mise continuamente a rischio per raggiungere quel Gesù che lo aveva profondamente toccato…e si ritrovò tra i nomadi del deserto, che in altra maniera il Vangelo chiamava “pastori” e da loro ricevette l’annuncio della Buona Notizia. Entrambi trovarono “casa” tra la gente, e nelle pieghe profonde dell’umano esistere, trovarono faticoso e dolce allo stesso tempo, prendere dimora.
Allora mi dico
che la mia casa va bene che sia ancora in questo quartiere, precaria e in
manutenzione, con la sua impalcatura di tubi innocenti; quando la guardo a
distanza mi chiedo: “ne uscirà qualcosa di bello prima o poi? Mah!”. E’
fondamentale fidarmi ed affidarmi, lasciare che Qualcuno ci lavori e “ci metta
le mani”. Dio fa il muratore.
A proposito,
due giorni fa spunta ancora il mio amico muratore (quello di mestiere), e nello
scambio veloce ad un certo punto mi dice: “ io voglio essere sincero con Dio”…e
fissandomi negli occhi dopo una breve pausa mi chiede: “tu vuoi essere sincero
con Dio?”…avevamo concordato che si parla di Dio anche quando si parla
profondamente di umano.
Bella gente …vi
lascio non con l’augurio, ma con la domanda del muratore.