sabato 31 ottobre 2015

Il Calendario

Si può accogliere la propria storia non come un flusso incontrollato di eventi, che arrivano magari casualmente, ma leggere in maniera appassionata e libera il susseguirsi dei desideri che ci abitano, che determinano i nostri incontri, orientano i nostri sguardi, muovono la forza delle nostre motivazioni. Quando rileggo la mia storia personale mi accorgo che è profondamente caratterizzata da tante sfumature, che hanno coniugato fatiche e conquiste, in cui non è riconoscibile solo la mai volontà, tutt’altro,  rintraccio piacevolmente anche il tocco leggero di altre mani, gli sguardi accoglienti di persone che hanno avuto e hanno ancora un posto importante nel mio quotidiano, che rendono credibile, profonda e palpabile la parola fedeltà, il valore dell’amicizia e la rivoluzione “del prendersi a cuore l’altro”. Quando mi fermo per volgere anche con tenerezza lo sguardo su quello che ho fin qui vissuto, non mi dispiace notare che alcuni segni che si sono impressi nel ricordo sono anche ferite, vanno per questo chiamate con il loro nome, riconosciute nella loro origine e accolte nel loro senso. Quando senza nostalgia , né rimpianti di nessun genere rileggo la mia storia, mi accorgo che posso dire con profonda serenità e gratitudine, che “non nasco da solo”, al contrario riconoscere le impronte lasciate da tanti incontri e relazioni, farle risuonare nella parte più profonda della mia intimità, rende rivoluzionaria e dinamica, la mia dimensione spirituale. E’ indispensabile per me oggi, non perdere questa capacità di saper guardare e rintracciare la forza dell’esistere e del divenire, attraverso un profondo senso di appartenenza:
appartenenza ad una comunità di uomini e donne che provano a vivere il Vangelo, anche se spesso contraddittoria, incoerente, impaurita o irrigidita, come è anche la Chiesa cristiana a cui ho scelto di appartenere;
appartenenza ad una comunità di uomini e donne come quella del mio quartiere, affaticata, complessa, etichettata, determinata da logiche che spesso non producono vita, cambiamento e crescita, ma segue le logiche del mercato, guadagnare tanto, subito e a discapito di altri. Una comunità in cui altre sfumature positive faticano ad emergere, ma non per questo sono assenti;
appartenenza non in astratto ad un generico concetto di umanità, che generalizza, appiattisce, idealizza e anche anestetizza, ma appartenenza ad un umanità  che ritrovo nella concretezza di volti, nomi e storie che posso rintracciare direttamente nel contatto quotidiano.
Questi i pensieri che ieri mi hanno fatto compagnia;  sono particolarmente affezionato alla data del 30 ottobre, sono arrivato in questo quartiere esattamente tre anni fa, un passaggio e un nuovo inizio che ha in un certo senso reso possibile il mio progetto di vita come piccolo fratello in maniera ancora più incisiva; alla luce di questa realtà, la vita quotidiana che vivo in questo contesto, mi permettono di rileggere alcuni passaggi del mio “progetto di vita”, per ritrovare ancora la passione e il senso della mia scelta, e mi fanno dire “ne vale la pena”. Mi piace condividere un passaggio di questo progetto di vita con chi ha la pazienza di accogliere queste mia pagine di diario:

"Come piccolo fratello dell’abbandono, mi sento chiamato ad una particolare consacrazione che racchiude lo specifico della mia sequela al Vangelo: consacrare a Dio tutta la mia vita di relazione e di amicizia.
L’incontro aperto e quotidiano, con tutti quelli che in Dio incontrerò lungo il mio cammino, sarà per me l’unico mezzo per annunciare il Vangelo. Sull’esempio di Charles de Foucauld, cercherò di essere un fratello universale, senza escludere nessuno; attraverso l’amicizia, che sarò capace di vivere in maniera piena e autentica, cercherò di annunciare agli uomini la forza e la bellezza della fede in Dio. Per questo motivo, oltre a pronunciare un voto di povertà, d’obbedienza e di vita celibe, come piccolo fratello dell’abbandono, consacrerò la mia vita alla relazione d’amicizia con i più poveri, riconoscendo così che  una sana relazionalità diventa il luogo della contemplazione di Dio e dell’annuncio del Vangelo, allo stesso tempo nella misura in cui condividerò questo con la mia comunità d’appartenenza, sarò testimone visibile di una comunità ecclesiale che si mette in cammino, che ascolta, riconcilia e invita ogni uomo a riconoscere e ad incontrare nel suo quotidiano la presenza di Dio. Cfr 1 Cor 9,22; Gv 15
Dio, donando il suo unico Figlio, ci ha annunciato che la salvezza e la riconciliazione passano attraverso l’incontro, la condivisione, l’amicizia e l’ascolto. Charles de Foucauld scoprì tutto questo quando, messosi di fronte al mistero dell’Incarnazione, si sentì chiamato a vivere la vita di Nazaret, il tempo in cui Gesù non ammaestrò, non insegnò, ma condivise e ascoltò, nel silenzio e nel nascondimento della vita quotidiana.
Per questo desidero vivere nella gioia un’esistenza povera ed essenziale, una vita celibe per il Signore, vivere nella letizia l’abbandono alla Sua volontà e non tenere mai tutto questo nascosto o “protetto”, ma inserito nel quotidiano della gente più comune e povera: niente privilegi, niente separazioni, ma in tutto uguale agli altri, in particolare nella realtà di vita dei più emarginati.
Infine, consacrare la mia vita alla relazione  e all’amicizia e in essa annunciare i valori del Vangelo, significa credere che la riconciliazione, attesa tra i popoli, tra le religioni, tra le stesse comunità cristiane, passa inevitabilmente attraverso L’INCONTRO GRATUITO DELL’ALTRO.

Come  piccolo fratello dell’abbandono scelgo una vita contemplativa: è quindi caratterizzata da una ricerca costante d’intimità con Dio, che necessariamente rimanda alla relazione con tutti gli uomini. Le storie delle persone saranno il luogo privilegiato per la preghiera. Scelgo di essere quindi il vicino di casa, il compagno di lavoro, l’amico incontrato per strada, scelgo la dimensione dell’incontro gratuito e spontaneo, per contemplare e riconoscere il volto di Dio.

Per questo motivo sarò poco riconoscibile nella mia scelta di laico consacrato, apparirò inutile nel mio agire, ma il mio obbiettivo è quello di esser accolto dai poveri e da ogni persona, come amico e fratello; la povertà di vita e di mezzi, mi aiuteranno ad entrare in situazioni difficili per lasciarmi accogliere come quando, nel silenzio della preghiera, mi lascio accogliere da Dio.”



lunedì 19 ottobre 2015

I conti non tornano

Salgo le scale del mio palazzo dopo una giornata intensa, certo si comprende a prima vista che non abbiamo proprie le idee chiare su cosa voglia dire “cura degli spazi comuni”, la signora delle pulizie ogni volta che mi incontra, con tre sole parole d’italiano, le uniche che conosce, mi fa cenno che è sempre molto sporco e che lei può fare ben poco; suo figlio un giorno mi disse chiaramente che aveva accettato che la mamma lavorasse nel nostro condominio solo perché c’ero io, cosa intendesse dire non mi è chiaro, ma ho compreso che tutto quest’anonimato che spesso mi sembra di vivere, non è sempre vero e alla fin fine il nostro stile di vita, la modalità di stare in un ambiente, o la maniera di curare le relazioni, non passano assolutamente inosservate, sono convinto che non serva molto per raggiungere l’altro dove esso si trova, anzi occorre semplicemente “disarmare” i nostri sguardi, incominciando a fare a meno delle tante certezze con cui giudichiamo gli altri o leggiamo le realtà umane e sociali, riappropriandoci al contrario di un po’ di meraviglia e forse prima ancora, di fiducia.

Parola molto strana questa, “fiducia”, in un tempo culturale profondamente centrato sulla contemplazione dei propri ombelichi, misurata dal “mi piace” e dal “se ne ho voglia”, fidarsi è veramente non solo una grande sfida, è di più: è conoscere ed accogliere qualcosa di sconosciuto. La misura con cui accogliamo le relazioni o valutiamo l’importanza di un incontro, la decisione che ci spinge ad approfondire un legame e ci permette di andare più a fondo nella compromissione con l’altro, è spesso contaminata dal                             “valore di mercato” che la persona di fronte a me assume nel mio immaginario o meglio ancora, nel mio “piano finanziario” delle relazioni. In quest’ottica, che spesso sfugge completamente alla nostra presunta e orgogliosa certezza di essere liberi e consapevoli, è ben evidenziata nel libro “L’epoca delle passioni tristi” che trovo  quanto mai profetica: “ Nessuna forma di solidarietà viene percepita positivamente perché, in questa visone utilitarista del mondo ( nei passaggi precedenti si parla del primato del neoliberismo), l’umanità appare costituita da una serie di individui isolati che intrattengono tra loro innanzitutto delle relazioni contrattuali e competitive, facendo passare in secondo piano le affinità elettive, le solidarietà famigliari o di altro tipo”. E’ cosi che consapevoli o meno, ormai le nostre relazioni sono invischiate dalle dinamiche commerciali, rischiando di strutturarsi su un criterio di “utilità”, “produzione” e “profitto”. Come può risuonare la parola “fiducia” e ciò che essa promette come senso della nostra umanizzazione, in un orizzonte di valori ormai cambiato strutturalmente? E’ una vera e propria con-versione, un cambio di prospettiva e visione che non può essere assunta se non ponendo l’accento su quel “con”, ossia a partire dalla comune appartenenza, dal riprendere in considerazione che non si nasce da soli, ma si riceve l’esistenza e ci si avventura alla ricerca del suo senso, non come avventurieri solitari. La fiducia non prevede “moneta” e non assicura “guadagni”, richiede una libertà interiore che va continuamente curata e accompagnata.
Il degrado che spesso incontro in quest’ambiente, le storie difficili e disastrate che incrocio, non mi fanno assolutamente pensare che questo quartiere è “senza Dio”, è piuttosto senza fiducia, lo affermava bene e con semplicità un amico senegalese della parrocchia: ognuno diffida dell’altro e quindi ognuno cerca di stare ben protetto nelle proprie appartenenze e nelle proprie case. Il degrado, la violenza e i soprusi che spesso si vedono hanno tra le altre matrici, la ricerca del guadagno facile, smisurato ed avido, che nella nostra cultura trova terreno fertile di sviluppo. Poi d'improvviso c’è qualcuno che mi annuncia che Dio abita qui, e mi indica che ancora oggi il Nazareno ha una provocazione da mettere in atto: il mio amico albanese, vicino di casa mi intrattiene, vuole parlare, ha voglia di raccontarsi, come fa spesso quando mi invita a casa sua, mi racconta con un certo pudore e prudenza che la sua conversione non l’ha cercata, che Dio non gli interessava, era altro che voleva, “gli si è presentato”, sentirlo presente nella vita è stato un’esperienza totalmente gratuita, “gli ha fatto fiducia mentre si trovava nelle situazioni peggiori”, né catechismo né dogmi, ma solo una relazione gratuita,  non mercanteggiata.


Questo è il Vangelo che sono venuto a ricevere, l’annuncio dagli “inaspettati” che mi indicano il volto di un Dio imprevisto e sempre altrove, un Dio che ci immerge nel senso profondo dell’esistere  e ad esso ci appassiona. Questo il Vangelo che ha senso dire con la vita e le scelte non eclatanti, ma che ci gettano nel cuore della realtà concreta degli uomini di questo tempo.