E’ il giorno dopo giorno che qualifica la mia vita, non nel
senso di una piatta rassegnazione, o nell’attesa di un evento speciale, ma
nella consapevolezza che il quotidiano vissuto in pienezza e liberato dalla “pretesa”,
mi permette di assaporare la vita in tutte le sue sfumature; ho scoperto nel
tempo il valore del “deserto nella città”, quella ricerca costante non dello
straordinario, ma del saper stare in pienezza in quello che avviene, che
accade. Lentamente, nella fedeltà alla
propria scelta, nell’ascolto dei propri desideri, nel coraggio di non fuggire
quando l’aridità diventa un po’ lacerante e ti porta all’essenziale, o ti
disillude, nel sentire che è nel cuore del vivere umano che si può cogliere la
scintilla della Sua presenza, allora solo allora si scopre che il deserto è un
grembo che genera, è una dimensione feconda, è uno spazio infinito capace di
contenere e che spinge verso altri significati, il “deserto” diventa il luogo
delle relazioni. Mi ha sempre colpito in Charles de Foucauld questo suo
desiderio di spingersi continuamente in profondità nel deserto del Sahara, non
per allontanarsi, non per la risposta a dei bisogni del tutto personali, né per
la conquista di una perfezione o eroicità che altro non produce se non un vuoto
narcisismo, fratel Charles si è spinto nel deserto per incontrare, per
mescolarsi, per essere nel cuore della reciprocità, per andare oltre il confine
di sé e della propria appartenenza; man mano che avanzava, nel cuore del
deserto ha abbandonato il “parlare inutile”, ha mollato tutto quello che lo
separava, ha accolto in sé le parole dell’altro, ha smesso di “dare”,
liberandosi del ruolo del benefattore per sperimentare in sé, l’efficacia del
donare reciproco.
Il mio amico pachistano non ha mai accettato che pagassi un
affitto troppo alto rispetto al mio appartamento, dice che anche il luogo dove
abito è troppo popolare, nel senso non positivo del termine, come dire: “non
vivi ai Parioli!”; in queste settimane ha fatto di tutto per farmi ottenere uno
sconto, ha mediato, ci ha messo la sua parola e così ho ottenuto una riduzione
del canone d’affitto. “Tu non guadagni molto e molti qui fanno fatica a pagare
tutte le spese del quotidiano” con queste e
altre osservazioni ha giustificato il suo interesse per me. E’ lui che
mi ha trovato casa all’inizio e in qualche maniera si prende ancora cura di me,
in maniera del tutto disinteressata; mi ripete costantemente che lui ha
sperimentato la mancanza di tutto, sa cosa vuol dire non avere nulla ed essere
aiutato, altri lo hanno fatto con lui, ora che può cerca di darsi da fare, ma
io so bene che non da del superfluo, da del suo. Percepisco che tra noi due c’è una
stima reciproca, che non è mai troppo esternalizzata, sono i gesti che la
esprimono. Mi accorgo che questa relazione mi permette di andare a fondo e di
dare forma e stile a questa mia presenza nel quartiere, per vivere da piccolo
fratello il primo passo da fare è cogliere la fiducia nell’altro e lasciarsi
condurre dalle persone nel cuore delle propria realtà, vivere in profondità il
silenzio per divenire giorno dopo giorno “abbordabili”, per non invadere come
eroe in cerca di gloria e riconoscimento il vissuto delle persone, ma essere
ospite discreto e rispettoso, lasciandosi accompagnare passo dopo passo lì dove
abita l’altro.
Mi trovo pienamente nelle parole di Dominique Barthélemy
quando parla della scelta dei poveri alle piccole sorelle di Gesù: ”La presenza di solidarietà si dilaterà nel
tentativo di testimonianza, non rinuncerà alla testimonianza, non si sottrarrà
all’aiuto. Ma non si centrerà su un progetto di testimonianza, né su un
progetto d’aiuto. La presenza di solidarietà si centrerà su un progetto “d’essere”,
che non può venire superato” .