domenica 24 luglio 2022

Il riposo delle parole

    


Le parole quelle scritte le ho messe un po’ a riposo da mesi, anche loro a volte hanno bisogno di silenzio e inattività, di calma e di un tempo di solitudine, non sempre ciò che si vive chiede necessariamente  di essere espresso e decodificato perché raggiunga altri. Si tace per cogliere l’essenziale e ritrovare ciò che nutre.  L’accoglienza e l’ascolto che qualcuno può farci sperimentare è vitale per andare in profondità in questo nostro esistere ed evolvere; senza il volto di chi si pone di fronte a noi, non potremmo che affogare nella nostra immagine e nella compiacenza di noi stessi, il “mio di fronte”  è ciò che mi permette di esistere, sentire, comprendere ed amare ciò che sento divenire in me ed in questo divenire ritrovo la mia essenza, la traccia leggera e sempre più chiara del “chi sono” e desidero essere, che passo passo si libera. E’ una danza tra il “prendere la parola”, “lasciare la parola”, “tacere la parola”. La meta non è perdersi  o impaludarsi nell’immagine di sé, ma il ritrovarsi pienamente accolto e riconosciuto nel volto dell’altro, così diverso, così a volte distante a tratti detestabile e ruvido, eppure in questo profondo e inafferrabile universo che è il “mio di fronte” posso abitare, dimorare sereno e sentirmi finalmente a casa, approdato, realizzato, portato a compimento. La sento come una “pienezza” a cui anelo, che non è perfezione, ancor meno quiete inanimata, non è meta da conquistare o premio per le buone pratiche; è piuttosto un divenire continuo che si genera solo nell’istante in cui ci si abbandona al rischio della relazione, nel momento stesso in cui l’azione rivoluzionaria è paradossalmente la “passività”, coniugata e vissuta profondamente nella posizione del ricevente.

    Ecco che le parole devono tacere, perché si generi uno spazio ricevente, la narrazione di sé agli altri e a sé stessi, deve per un certo tempo cedere lo spazio al silenzio più assoluto, in un movimento di


radicale spogliazione; ci si spoglia senza pensare o avere già in mente quale abito nuovo ci rivestirà,  si resta dentro l’azione di spogliazione, per restare nudi e vulnerabili, nulla di più: nel cuore profondo della povertà.

Il mio cuore mi ridice il tuo invito  “Cercate il mio volto!”

Il tuo volto io cerco Signore, non nascondermi il tuo volto. Salmo 27,8-9.

    Quando faccio tacere le parole, mi accorgo che i volti si illuminano, mi accorgo di distinguere le diversità, di cogliere i non detti, di saper stare negli sguardi degli altri. Quando non invado con le mie parole, allora custodisco una sorta di povertà che sa ricevere la saggezza della vita quotidiana, che si manifesta negli incontri inaspettati, nelle visite inattese, nei gesti accoglienti riservati e pensati per me.     Ed è ciò che sto sperimentando in questi mesi, ho ricevuto tantissimo da alcuni vicini, dai loro gesti, dalla loro capacità a volte sgangherata, di essere diretti nei miei confronti; mi ha meravigliato e un po’ anche destabilizzato, un’osservazione ricevuta in maniera diretta sul mio modo di fare e di stare nella vita quotidiana e in questo contesto.


    “Cercate il mio volto”; quando sono nel cuore di Dio abitato solo dal desiderio di essere toccato ancora una volta dal suo donarsi senza misura, nulla diventa intimistico; il respiro è ampio e lo sguardo si nutre di nuovi e ampi orizzonti.