sabato 30 marzo 2024

Pasqua 2024


Appena sotto casa, trafilato e un po’ in affanno per aver camminato molto, incrocio lo sguardo di un vicino di casa, non lo conosco direttamente, ma ho preso l’abitudine di guardare negli occhi e salutare sempre e chiunque, è un semplice “incrocio” certo,  ma per un istante potrebbe essere anche un “incontro”, pur se fugace e superficiale. Non pretendo di cambiare il mondo con un saluto gentile, né esagerare con il romanticismo, vorrei semplicemente recuperare un minimo di umanità, di alzare lo sguardo da terra e sorridere, augurare di cuore una buona giornata. Le reazioni sono comunque le più diverse, vanno dallo stupore,

al :_“ma chi ti conosce!” stampato chiaramente sul volto, al totale disorientamento, perché ormai anche un saluto è una violazione della privacy e volendo, dietro quella gentilezza, potrebbe nascondersi l’ultima proposta conveniente di luce e gas, loro addirittura, quelli del call center, ti chiamano per nome e con tono sicuro ti definiscono “Signor Angelozzi”, a cui rispondi a mezza bocca e mai con “si, sono io”, perché hai paura che in automatico attivi un contratto. Anche dietro ad un saluto più gentile, ci siamo abituati a scorgere un inganno e la diffidenza ci rintana nelle nostre roccaforti egotiche.


Provate, per pura curiosità, a salutare chiunque incontrate, con gentilezza e apertura di sguardo, farete sperimentare un brivido, uno spavento, e li lascerete per un po’ in compagnia di una domanda: ma lo conosco? Mi conosce?.

Nel tempo di Quaresima che è tempo di silenzio e “ritorno”, di ascolto e” mani aperte”, ho cercato di essere raggiunto in profondità dalla carezza di Dio, o almeno ci ho provato; permettere che qualcuno ci accarezzi è necessario lasciarsi raggiungere, è necessario abbandonarsi al rischio della fiducia, alla vertigine dell’inconosciuto; per ricevere una carezza, credo sia essenziale anche aver accolto la propria precarietà, ecco, per tutto questo mi dico che ho provato a farmi raggiungere dalla carezza di Dio.  Allora la si attende, preparando un terreno fertile e dissodato.

In questo tempo ho riscoperto la preghiera del pellegrino russo, la preghiera del cuore; l’ho vissuta in particolare camminando, il movimento del corpo apre al movimento del cuore, perché non basti mai a sé stesso, non cerchi solo un nido caldo e solitario, custodito e protetto, ma sia fecondo all’incontro, alla relazione, sia terreno accogliente, zolla dissodata per la semina. La preghiera del cuore e ritrovarsi “abitato dal Suo incontrami”.


Ero dentro questa preghiera quando sotto casa ho incrociato il vicino di casa, anche lui sembrava ripetere qualcosa a bassa voce, poi mi sono accorto che stava utilizzando il misbahah, assomiglia ad un rosario per ripetere i nomi di Dio nell’Islam: ci siamo incrociati e incontrati nella stessa esperienza di fede, forse anche con prospettive e sensibilità differenti, non importa. L’ho guardato negli occhi e ho augurato buona giornata, in cambio ho ricevuto una parola precisa: PACE.

Gesù Risorto si faceva presente nella vita dei suoi discepoli prima di tutto con la parola PACE.




sabato 6 gennaio 2024

Siamo echi di chi ci ha sognato

     


E’ tempo di ri-mettersi in cammino, così il movimento necessario da compiere è quello di saper abitare il proprio cuore, non per contemplare se stessi, ma per essere disponibili e attenti a ricevere quella “parola che viene dall’altrove”. Quando lei arriva, quel dimorare stabile in sé stessi non è semplicemente una quiete, non è rifugio o nido caldo, diventa paradossalmente il luogo della partenza e l’inizio del rischio. La “parola che viene dall’altrove” è ciò che non puoi calcolare né ben definire, non corrisponde necessariamente alle tue attese o aspettative, è la parola di altri, per questo è meraviglia, è sconosciuta, imprevedibile, inaspettata, è destabilizzante e allo stesso tempo generativa, perché segna e indica un orizzonte non più manipolato da te: ti conduce in un altrove, dove potrai finalmente trovare casa e riconoscere il tuo volto.

Per mettermi in cammino sento estremante necessario ricevere questa “parola”, che non è mia, ma la ricevo.

                Posso guardare le mie mani, osservare i miei piedi, riuscire a guardare più o meno consapevolmente la forma del mio corpo, ciò che non posso assolutamente fare è mettermi di fronte al mio volto e conoscerlo; il volto è la parte di me che è quotidianamente assente dai miei occhi e quindi non è alla portata del mio controllo. Ho bisogno dell’altro per consapevolizzare il mio sguardo e l’identità del mio viso oppure devo ricorrere a mezzi specifici, come il riflesso in uno specchio.

Ciò che sento e percepisco di me non sempre corrisponde a ciò che gli altri mi rimandano “guardandomi in viso” e molte volte mi sembra che anche lo specchio inganni.


Dobbiamo allora correre il rischio, di lasciarci guardare e di “riceverci” attraverso gli sguardi, i gesti e le parole dell’altro; occorre ascoltarsi, certo; essere consapevoli di noi stessi, sicuramente; non lasciarci condizionare e ingabbiare dall’ambiente esterno e culturale, senza dubbio;  ma  se non assaporassimo l’impotenza e la vulnerabilità che è insita nella scelta di riceversi dall’altro, il rischio è quello di bastare a noi stessi e di definirci come il “senso” e il “perimetro” migliore del nostro esistere, e chiunque può comprende che questo è davvero poco, oltre ad essere semplicemente narcisistico.

È in questo orizzonte e in questa dinamica del “riceversi dall’altro”, che sento emergere, come da una sorgente profonda e già presente in me, il desiderio costante di abitarmi come luogo “già abitato”, lo spazio visitato da una Parola,  la quotidianità fecondata dall’essere ospite e ospitante nello stesso momento. In questa stanza silenziosa, intima e dai confini incerti, non cerco l’ eco alla mia voce, non riverbero me stesso, non ho l’obiettivo di bastarmi, al contrario, mi lascio raggiungere, interrogare, destabilizzare, mi lascio abitare non da un “me” pacificato, non saprei che farcene sinceramente,  ma da un “noi” in cammino.


La Sua presenza è costante, il Suo raggiungermi è molto spesso “l’avermi atteso e preceduto”, è una delicatezza smisurata la fedeltà con cui Lo ritrovo nella mia storia, Lui è una carezza e un abbraccio mai chiuso, mai sufficiente, non è il “fine ultimo”, è piuttosto un eterno inizio; è apertura, è domanda, è eco di altre voci, per questo Lui è quella “Parola venuta dall’altrove”: dall’umano che ha sognato e consegnato a noi perché ne completassimo il capolavoro.