martedì 3 ottobre 2017

L'unica ricchezza...l'ascolto

Per mesi tutte le mattine appena alzato avevo preso l’abitudine di accendere whatsapp, non certo per sentirmi alla pari con gli adolescenti digitali, né tanto meno per riconnettermi con il mondo dopo essermi sprofondato nel cuscino per una lunga notte, nulla di tutto questo, accendevo whatsapp semplicemente per vedere le “cartoline” colorate e luccicanti in maniera eccessiva, che  mi arrivavano dall'India. Si, per più di tre mesi, puntuali e rigorosamente diverse mi sono state spedite delle immagini con la scritta “Good Morning” dal mio amico e vicino di casa indiano, che finalmente aveva potuto concretizzare il suo desiderio di ritorno a casa e conoscere suo figlio, nato da appena un anno. In molte occasione ho ascoltato e custodito la sua fatica di diventare padre e non poter materialmente abbracciare il proprio figlio, la fatica di un desiderio portato in totale solitudine, il peso di accettare una distanza fisica che si tingeva di rabbia quando la mancanza di soldi ostacolavano ogni possibilità di acquisto del biglietto di volo. Non posso minimamente immaginare quello che un uomo può provare nel suo intimo, quale dolore sordo lo abita e quanto crudele possa essere l’impotenza che si prova  in certe situazioni, ho sempre cercato di ascoltare il più possibile, di limitare le parole di conforto e vivere il mio silenzio come accoglienza profonda;  ho sempre provato, questo si, uno sconfinato rispetto per la dignità e la capacità di resistenza del mio amico, per quel suo essere comunque fedele alla sua storia, accogliendo il concreto della vita senza rassegnazione o disperazione, reagendo con un sguardo speranzoso che gli dava la certezza  che prima o poi sarebbe riuscito a mettere insieme i soldi necessari per rientra a casa e stare con suo figlio. Mi risuonava il suo dolore sordo, mai il suo lamento, la resistenza per non spezzarsi,  mai lo scoraggiamento, lo sguardo rivolto all'orizzonte mosso dalla certezza che prima o poi il desiderio trova accoglienza: “è Dio che mi darà una mano” mi ripeteva. Lui mi affidava questi suoi vissuti perché si sentiva sostenuto dal mio ascolto e dalla mia vicinanza, “so che ci sei tu nell'appartamento sotto e questo mi fa stare contento” mi diceva, ed io mi sentivo accompagnato, trasformato, provocato da quel suo gesto semplice di fiducia: aprirmi la porta e consegnarmi il suo quotidiano. Il Vangelo mi ha sempre ricordato che non si è maestri, ma fratelli, è in questa dimensione relazionale che si coglie la dinamicità della vita, si sperimenta la moltiplicazione del nutrimento reciproco, conservandone sempre ceste in avanzo, buone nei tempi di carestia relazionale.
Non so se è mai realmente possibile entrare nel vissuto di una persona, forse non è nemmeno  salutare farlo, il rischio potrebbe essere quello di occupare uno spazio e di invadere un vissuto; c’è una soglia che non si può mai varcare, si può per contro restare sull'uscio o meglio dietro una porta socchiusa ed ascoltare completamente muti e con il respiro trattenuto,  i suoni che il mistero dell’altro generano nella sua parte più nascosta ed inaccessibile.  Si vive l’impotenza di poter agire, si accoglie e si abita la realtà del limite, la chiarezza del confine e il mistero di una persona.
L’umanizzazione della nostra vita passa allora non tanto nell’essere utili agli altri, ma nel perdere giorno dopo giorno la pretesa di sentirsi  importanti per gli altri; nell’entrare in punta di piedi nel vissuto di chi incontriamo, ci si trova allora lentamente spogliati, semplificati, invitati a lasciare, piuttosto che “attrezzarsi” per saper stare nella relazione. C’è un vero mistero ed è l’insieme della storia e dell’esperienza  di chi ci permette di essere ospiti nel proprio vissuto e questo mistero si può sfiorare, guardare, ascoltare accogliere solo da “poveri”. 

Nel tempo della velocità, delle competenze multitasking, della ricerca spasmodica della continua novità, del tutto e subito, mettersi nell'ottica lenta e senza tempo del “perdere per incontrare” può risultare incomprensibile, eppure sento la necessità profonda di avventurarmi con decisione in quest’ottica dell’esistere e decidere con passione che vale la pena lasciarsi accompagnare dall'altro in un continuo decentramento da sé. 


lunedì 2 ottobre 2017

Quando scopri che la solitudine è abitata da Dio, la pienezza della vita che incontri ha le tonalità forti e ricche del noi.

Non incensi più il tuo IO, risuoni in armonia con il Noi.