Anche oggi sul pianerottolo di casa, nella fugacità dei
movimenti, tra i saluti di cortesia e le piccole domande di buona educazione, fatte
di “buon giorno, come va?” e “tornato adesso dal lavoro?”, trova sempre spazio una
domanda molto precisa: “ ma tu come mai vivi qui?”.
La domanda chiaramente cela una visione della realtà, un giudizio
ben preciso su quest’ambiente, una fatica rispetto ad un contesto sociale non
facile da abitare, non si sceglie di venire qui, come mi disse una signora
africana, qui si sta per necessità, per mancanza di alternative, allora è lecito domandare: "perché vivi qui?". Sinceramente quasi
mai rispondo a questa domanda, lascio che il mio interlocutore esprima di più
la sua curiosità, ed in genere si apre un dialogo che mi porta nel mondo dell’altro,
alla fine è chi mi sta di fronte, a raccontarmi la sua storia e il motivo per
cui è finito qui, è successo così anche questo pomeriggio. Spesso il rimanere
in silenzio per ascoltare in profondità, crea fiducia reciproca, evita che ci
si fermi alla superficie della domanda e lascia spazio ad uno scambio molto più
profondo. Mi costa fatica, eppure lentamente, nel giorno dopo giorno, scopro veramente
dove può condurmi l’ascolto: dritto nel cuore della fiducia reciproca. Man mano
che conosco l’ambiente, che prendo consapevolezza delle situazioni, delle
dinamiche, della realtà sociale in cui vivo, prendo consapevolezza di quello
che vuol dire trovarsi a parlare con qualcuno ed aprirsi, raccontarsi, è
veramente qualcosa di straordinario e prezioso quando avviene: dove il sospetto
è norma, la fiducia diventa trasgressione. Perché vivo qui allora? Forse per
imparare certi tipi di trasgressione e si trasgredisce insieme, almeno per i
miei gusti.
La mia vita nel quartiere è molto discreta, per certi aspetti
anche riservata, non faccio nulla di speciale, cerco semplicemente di non porre
barriere negli incontri possibili, mi lascio accompagnare dalla realtà e la
realtà è fatta principalmente di persone, con le loro storie più o meno
complicate e più o meno nascoste, questo è il terreno fecondo dove giorno dopo
giorno provo a radicarmi, provo a dare concretezza a quell'essere "piccolo fratello"; comprendo che esternamente ciò che emerge è una sorta
di inerzia, di passività, di isolamento, in realtà scopro che è esattamente il
contrario. Il “non fare” è la scelta del “non fare per primo”, “non fare al
posto di”, per “muoversi con” ed essere presenti nel momento in cui una piccola
o grande speranza nella vita di qualcuno si manifesta palesemente.
Mi ero trattenuto con il mio vicino sul pianerottolo solo perché
quella domanda consueta mi aveva invitato di nuovo a fermarmi un po’ di più, ma
in realtà stavo andando al piano di sopra da un altro vicino indiano, il motivo
era semplice: un piccolo aiuto per comprendere i test della scuola guida. Non
so come si possa passare dai test per la patente B, al racconto della propria
vita in Italia, alle fatiche vissute, fino alle ferite che ci si porta dietro
per esperienze difficili, probabilmente non è nemmeno così importante saperlo,
ciò che conta veramente è che si possa sperimentare la trasgressione della
fiducia reciproca, di cui sopra. Tra me ripenso alla domanda sul pianerottolo e sorrido sotto i baffi: ecco perché sono qui.
cfr. Luciano Manicardi; "Il Vangelo della fiducia"; ed. Qiqajon