Ore 5:00 del mattino, un suono di sveglia accuratamente scelto perché sia una carezza leggera e non un urlo improvviso, mi invita a mettermi in piedi, senza la fretta di chi deve rincorrere l’impossibile, ma con il gusto di chi, gettando lo sguardo fuori la finestra, cerca di scorgere l’arrivo dell’inatteso e dell’imprevedibile. Disturbo la quiete del buio spezzando la sua monotonia e la sua staticità, con una piccola luce, circoscritta e decisa nella sua determinazione, che illumina uno spazio ristretto del mio tavolo, la sua decisione contrasta con la pesantezza del buio, entrambi si stuzzicano e si provocano, si parlano e si accolgono, lo stesso gioco che avviene tra la pigra abitudine di adattarsi e la passione dirompente di un desiderio e di un sogno che chiede alleanza, perché anche un desiderio da solo sa di non avere energia sufficiente per camminare e andare lontano. Poi si attiva lentamente un piccolo rituale, quasi sempre lo stesso, una sorta di liturgia che fa spazio a ciò che deve avvenire: un piccolo quaderno di appunti, alcuni libri, e soprattutto il Libro: la Parola. So che nel silenzio più assoluto, la Parola spezza l’attesa, scomoda il già stabilito, si mette a braccetto con il desiderio di gustare il senso di questo esistere; sveglia e stuzzica la domanda, ti provoca e poi ti aspetta altrove, in quell’altrove che la luce del giorno, che man mano cresce, ti invita ad incrociarlo nello srotolarsi del nuovo quotidiano.
La
tradizione monastica questa liturgia da sempre la chiama: lectio divina, un
ascolto che si fa carezza, un dialogo che si imbastisce di domande, una
relazione, che nutrita della freschezza del mattino, si fa presto di nuovo silenzio
e intimità profonda, da non confondere con intimismo. Si il primo gesto che
apre il mio risveglio è il dialogo, l’attesa dell’Amico, come amava dire Arturo
Paoli. Se per un certo aspetto la lectio è nutrimento profondo e intenso, alla
stessa maniera e con la stessa intensità, è provocazione e invito a
decentrarsi, a farsi ospite nell’ospitare. E’ una prima colazione ipercalorica
per certi versi, una sana alimentazione lontana dall’ingozzamento, è scegliere
ciò che rende umani: la relazione, perché l’ascolto della Parola è relazione. Mi
meraviglia come questa frequentazione mattutina lentamente, toglie, pota,
semplifica, scomoda, mette in luce resistenze e vecchi schemi, spesso è un
sorriso ironico e una presa in giro benevola come un invito all’auto-ironia, ma
è alla stessa maniera, abbraccio e spinta decisa ad osare, apre questioni,
smonta strutture mentali e soprattutto è un invito deciso a fare scelte, ad assumersi
la propria responsabilità in questo tempo e in questo vivere comune. La luce
del giorno si è fatta più decisa, il sole spennella il palazzo di fronte al mio
di arancio e con la stessa decisione anche la Parola mi regala una pennellata
di colore decisa, che pone la sua forza in una domanda: ora guarda il tuo
di-fronte. Mai e poi mai l’incontro con l’Amico è uno sterile intimismo, mai un
nido caldo e protetto, la sua delicatezza è tutta in quella mano che ti sfiora,
ti raggiunge e ti mette in cammino verso gli altri e con gli altri, con l’invito
chiaro a generare vita e riconsegnare ad ognuno la dignità, il rispetto e la
giustizia a partire da chi fa più fatica, da chi è stato impoverito dall’egoismo
di altri.
La mia casa al mattino così presto è veramente un eremo, il silenzio e la solitudine sono in abbondanza, ma dopo l’ascolto della Parola di colpo tutto il dato di realtà irrompe e sai, vedi e senti che 36 metri quadrati sono nel cuore di un quartiere, di un umanità; qui stai, qui abiti, qui sei ospite ed ospiti, qui le donne e gli uomini che lentamente ho imparato a conoscere, sono la possibilità per dire e costruire insieme chi siamo e per costruire altro, in questo tempo di parole ostili, di banalità urlate come saggezza e di nichilismo spacciato per libertà.
Domani mattina mi alzerò ancora presto…e appena ti sentirò
presente Signore ti dirò: grazie perché anche oggi sei venuto a scomodarmi.