Rientro a casa e sul cancello d’ingresso incontro A. con le
sue amiche, come d’ abitudine ha un bel fermaglio sui capelli molto vistoso,
fatto di fiocchi e piume, non necessariamente abbinato al resto dell’abbigliamento,
non importa tanto i suoi occhi accesi e
il sorriso sempre pronto per salutarmi,
sono lo specchio della sua serenità e questo è sempre un bel dono che si riceve.
Tutto il gruppetto di bambini che è insieme a lei è ben vestito, come si
conviene nei giorni di festa, del resto anche l’abito più essere un modo per
manifestare che quello è davvero un giorno speciale. Mi viene spontaneo fare
gli auguri, è molto evidente il loro stato di allegria e la libertà di giocare,
noto che la più grande del gruppo ha una
certa soddisfazione per questa mia attenzione: è la festa che celebra la chiusura del mese
sacro del Ramadan, per le loro famiglie è una delle feste più importanti. Anche
la mia vicina di casa è contenta degli auguri, anche se è sempre molto timorosa
e prima di aprire bene la porta di casa, accuratamente recupera il suo velo
colorato e lo pone con un gesto immediato sul suo capo, mi ringrazia
ripetutamente nella sua lingua, ho portato delle caramelle per S. suo figlio più piccolo, ma si sa i gusti
sono uno degli elementi più difficili da decodificare e soprattutto sono uno
degli elementi che più caratterizzano l’appartenenza culturale, le mie
liquirizie con ripieno dentro risultano troppo dolci, così al primo assaggio
prudente, mi guarda come per dirmi: _ ma che schifezza è? Beh ci ho provato.
Nel quartiere, non ci sono segni particolari che dicono che
questa è una giornata di festa per quelli di religione Musulmana, del resto è un lunedì, un giorno lavorativo
per la maggior parte di quelli che vivono qui, le tradizioni sono le più
diverse e spesso tutto viene celebrato negli ambiti ristretti delle
appartenenze etniche e questo si mi sembra ben definito e separato. C’è una
profonda esigenza, una priorità per il nostro tempo, afferma Franco Cambi, ed è
quella di creare “lo spazio dell’incontro”, “
è per noi oggi un compito e un compito urgente e prioritario” ( F. Cambi; “Incontro e dialogo; prospettive della
pedagogia interculturale”; Ed Carocci); l’errore è quello di far convivere
in maniera parallela e indipendente le culture, mentre questo mescolarsi
continuo di storie, vissuti, sensibilità, spiritualità differenti ci obbligano
a modificare il nostro vissuto, il nostro sentire, i nostri riferimenti
culturali. Non è un passaggio semplice, riguarda tutti indistintamente, e non
consiste certamente in una perdita d’identità, in un appiattimento dei valori e
dei riferimenti culturali, né in una sciocca omologazione. E’ una sfida,
sicuramente, un disorientamento, un accogliere e integrare. Credo e ne sono
sempre più certo, che si tratta di un vero e proprio viaggio migratorio nella
nostra realtà personale, richiede “un
superamento dell’assolutezza/esclusività/difesa delle proprie culture
d’appartenenza, per entrare in contatto con le altre culture” (Ibidem F.
Cambi). L’umanità, che è una parola al singolare, va letta e percepita al
plurale.