martedì 29 luglio 2014

io plurale

Rientro a casa e sul cancello d’ingresso incontro A. con le sue amiche, come d’ abitudine ha un bel fermaglio sui capelli molto vistoso, fatto di fiocchi e piume, non necessariamente abbinato al resto dell’abbigliamento, non importa tanto  i suoi occhi accesi e il sorriso sempre  pronto per salutarmi, sono lo specchio della sua serenità e questo è sempre un bel dono che si riceve. Tutto il gruppetto di bambini che è insieme a lei è ben vestito, come si conviene nei giorni di festa, del resto anche l’abito più essere un modo per manifestare che quello è davvero un giorno speciale. Mi viene spontaneo fare gli auguri, è molto evidente il loro stato di allegria e la libertà di giocare, noto che la più grande del gruppo ha  una certa soddisfazione per questa mia attenzione:  è la festa che celebra la chiusura del mese sacro del Ramadan, per le loro famiglie è una delle feste più importanti. Anche la mia vicina di casa è contenta degli auguri, anche se è sempre molto timorosa e prima di aprire bene la porta di casa, accuratamente recupera il suo velo colorato e lo pone con un gesto immediato sul suo capo, mi ringrazia ripetutamente nella sua lingua, ho portato delle caramelle per  S. suo figlio più piccolo, ma si sa i gusti sono uno degli elementi più difficili da decodificare e soprattutto sono uno degli elementi che più caratterizzano l’appartenenza culturale, le mie liquirizie con ripieno dentro risultano troppo dolci, così al primo assaggio prudente, mi guarda come per dirmi: _ ma che schifezza è? Beh ci ho provato.


Nel quartiere, non ci sono segni particolari che dicono che questa è una giornata di festa per quelli di religione Musulmana,  del resto è un lunedì, un giorno lavorativo per la maggior parte di quelli che vivono qui, le tradizioni sono le più diverse e spesso tutto viene celebrato negli ambiti ristretti delle appartenenze etniche e questo si mi sembra ben definito e separato. C’è una profonda esigenza, una priorità per il nostro tempo, afferma Franco Cambi, ed è quella di creare “lo spazio dell’incontro”, “ è per noi oggi un compito e un compito urgente e prioritario” ( F. Cambi; “Incontro e dialogo; prospettive della pedagogia interculturale”; Ed Carocci); l’errore è quello di far convivere in maniera parallela e indipendente le culture, mentre questo mescolarsi continuo di storie, vissuti, sensibilità, spiritualità differenti ci obbligano a modificare il nostro vissuto, il nostro sentire, i nostri riferimenti culturali. Non è un passaggio semplice, riguarda tutti indistintamente, e non consiste certamente in una perdita d’identità, in un appiattimento dei valori e dei riferimenti culturali, né in una sciocca omologazione. E’ una sfida, sicuramente, un disorientamento, un accogliere e integrare. Credo e ne sono sempre più certo, che si tratta di un vero e proprio viaggio migratorio nella nostra realtà personale, richiede “un superamento dell’assolutezza/esclusività/difesa delle proprie culture d’appartenenza, per entrare in contatto con le altre culture” (Ibidem F. Cambi). L’umanità, che è una parola al singolare, va letta e percepita al plurale. 




sabato 26 luglio 2014

Spazi di Fraternità

Presto verrà comunicato il calendario degli incontri di "Spazi di Fraternità", che anche quest'anno vuole essere un'occasione per conoscere, approfondire e vivere la spiritualità di Nazareth.

giovedì 17 luglio 2014

il piccolo fratello come precario migrante



"Si è migranti in quanto l'oltre è già in noi come possibile, in quanto la differenza entra in noi come risorsa, in quanto lo stare all'aperto è la radiografia del nostro stato d'animo e della nostra mente" Franco Cambi

Questo passaggio nel libro "Incontro e dialogo" sui temi della pedagogia interculturale, rende una chiave di lettura della spiritualità di Nazareth a mio parere davvero interessante. Charles de Foucauld per primo si è posto nell'ottica della migrazione, dalla sua cultura a quella dell'altro, dalla sua religione a quella dell'altro, dalla storia del suo popolo di appartenenza a quella dell'altro popolo, senza mai perdere nulla di sé e della propria identità, al contrario si è arricchito, ha approfondito ed ha assunto una dimensione plurale della sua esistenza e della sua vita. Credo che ancora oggi resta una grande provocazione il suo percorso spirituale ed umano, incompiuto e disseminato di domande e anche qualche contraddizione, ma vissuto appassionatamente, che non cerca proseliti o imitatori, ma qualcuno disposto a raccogliere il testimone per continuarne la coniugazione in altre sfumature possibili.

martedì 8 luglio 2014

Camminare sulle acque delle contraddizioni

Giornata splendida, carica di sole estivo, il mio vicino che si affaccia per salutarmi e chiedere dove sono stato in questi giorni, si preoccupava perché non mi vedeva, poi le piccole cose del quotidiano come, provvedere alla spesa per evitare che il frigo vuoto all’inverosimile, mi rimandasse un senso di solitudine e disperazione che in questo momento proprio non corrisponde alla mia vita, la lavatrice da mettere in moto e altro, ma sul più bello, mentre mi appresto a  uno dei rituali più importanti della mattinata, ossia la preparazione e la posa sul fornello della moka del caffè…una triste scoperta: la bombola del gas è terminata! Silenzio…pensieri che svaniscono…vuoto interiore…tristezza che mi assale e un’unica frase:  “e adessooooooo”.

A parte questo che tutto sommato rende piacevole la mia giornata, c’è un'altra riflessione o altri pensieri che mi mettono in movimento, e spingono le mie scelte a prendere una direzione piuttosto che un'altra. Alla radio ascolto un programma davvero interessante “Baobab” radio1, intervistano una responsabile del centro Astali, organizzazione dei Gesuiti per i richiedenti asilo, e scopro o meglio ascolto qualcosa che in genere non viene resa pubblica, né approfondita, si tratta degli scafisti, di quegli uomini che traghettano sul Mediterraneo migliaia di uomini, donne e bambini, in viaggi infernali e carichi di morte. Io mi sono sempre immaginato uomini senza scrupolo e senza un minimo di coscienza, accecati dai soldi e spietati; ma nella realtà le situazioni sono sempre molto più complesse e sfumate: scopro dall’intervista che molto spesso gli scafisti sono ragazzi poco più che adolescenti, reclutati dai villaggi poveri di pescatori di paesi del Nord Africa, pagati spesso con un viaggio gratis, anche loro per raggiungere una metà immaginata come la salvezza assoluta. Ragazzini che dal senso di onnipotenza e forza, passano alla realtà del carcere minorile,  alla condanna per traffico di uomini e sfruttamento fino all’accusa per strage. I veri carnefici non sono mai in prima lenea, non rischiano la propria vita e la propria libertà e visto che non hanno scrupolo, vivono questa dimensione fino in fondo, la vita di un minore non ha valore, di fronte alla propria avidità mortifera. Mi scopro miope, mi sento ingannato anche dalla mia poca capacità di saper leggere la realtà, ingenuo nel dirmi che quello che vedo e sento dai racconti giornalistici è tutta la verità; no! La violenza e la prepotenza umana non ha limiti, i criminali sfruttano i sogni di ogni piccolo di questo mondo pur di ricavarne il maggior numero possibile di guadagno, cercano di non pagare nemmeno gli scafisti. E di vittime, che a loro volta rendono vittime anche altri, purtroppo ne è pieno il nostro quotidiano, non è nemmeno necessario andare troppo lontano. 

Di fronte a questo dato di fatto che finalmente un reportage giornalistico mette in luce, io personalmente provo rabbia, non rassegnazione, credo che anche la nostra disinformazione è un modo per rafforzare questa trama di potere, anche il nostro non saper guardare oltre il nostro naso è complicità, perché rafforza una visione della realtà che è distorta, falsa e forviante e permette a chi trama il male di restare ancora nascosti. Mettere in luce la realtà, la complessità, far emergere la verità delle situazioni è un vero atto civile e di trasformazione, mi obbliga a prendere posizione, mi impedisci di correre il rischio di condannare sempre qualcuno che è comunque vittima, permettendo al prepotente di scappare dalla porta secondaria e farla franca. “Non possiamo essere cani muti” diceva Charles de Foucauld di fronte a quello che vedeva rispetto alla schiavitù nel deserto, che la sua Francia tanto tollerava, gli interessi hanno sempre la meglio su tutti. Anche nel mio quotidiano scopro ingiustizie e spesso mi sento impotente, ma il Vangelo che cerco di leggere e ascoltare tutti i giorni, il silenzio che ha un posto essenziale nella mia giornata, non sono solo una ricerca di pace interiore, al contrario il silenzio e l’ascolto della Parola in questo quotidiano diventano la forza per non aver paura di questa storia e di questa società, Gesù nell’esperienza dei 30 anni a Nazareth si è profondamente mescolato a tutto questo, e quindi si è impastato, sporcato, compromesso con tutte le contraddizioni, ma non per sostituirsi a noi, ma per  essere se stesso, per essere quel “Dio con noi” e indicarci la strada dell’umanizzazione. Spesso noi chiediamo a Dia di sostituirci nella soluzione dei conflitti e delle violenze, mentre Lui per primo ha scelto di scendere fino in fondo nelle pieghe nascoste della nostra umanità. Con il Suo silenzio abita la storia di ogni uomo in profondità, mentre noi con le nostre preghiere gli chiediamo di andare là dove noi non siamo capaci di stare. Nazareth allora è scegliere di raggiungerlo, senza troppa paura, là dove Egli abita da sempre: nelle contraddizioni e nelle fatiche degli uomini.