Le giornate sono piene d’incontri, di parole ascoltate, sono
ricche di situazioni che a volte mi vengono consegnate tra le mane con una
certa discrezione e delicatezza, altre volte mi viene buttato tutto addosso,
con un buon carico di rabbia e aggressività: è il lavoro che ho scelto di fare
e sono anche le priorità che ho deciso di dare alla mia vita, che mi permettono
di abitare certe esperienze d’ascolto, anche quando diventa duro mettersi di
fronte alle ferite degli altri. Questi sono i mesi dell’anno decisamente più
ricchi in questo senso, il lavoro intenso nelle scuole tra adolescenti,
bambini, e adulti, poi l’impegno nella comunità d’accoglienza e non ultimo il
quartiere in cui vivo, tutto diventa occasione per incontrare, per lasciarmi
toccare, coinvolgere, interrogare e soprattutto mettermi in crisi. Molto spesso
ho condiviso con gli amici più intimi, che se potessi tornare indietro, farei
di nuovo tutto quello che ho sperimentato e scelto, me lo ripeto spesso anche
nella preghiera: ne è valsa la pena, per questo sento il desiderio di
continuare, di andare ancora più a fondo. Di fronte a tante situazione di
disorientamento e di crisi che molte persone vivono, mi sembra di correre il
rischio di essere a mia volta travolto, di perdere uno sguardo comunque
positivo sulla da farsi, su come affrontare i tanti cambiamenti che si
presentano quotidianamente e velocemente, ho come l’impressione che tutto deve
scorrere con una certa frenesia per raggiungere una metà che in realtà non è
chiara a nessuno. A me sembra di percepire tanta solitudine ed isolamento, mascherato
dall’ansia di essere sempre connessi con il mondo intero, basta un click di
mouse e tutti sanno quello che stiamo facendo, non importa se è di spessore o
una semplice banalità, ciò che sembra gratificare o pacificare è che gli altri si
accorgono di noi. Tutto questo è come una minestrina che non mi nutre.
Quando esco da due ore di laboratorio con gli adolescenti a
scuola, per un po’ di tempo mi risuonano dentro i loro vissuti, quello che con
tanta fatica si trovano a vivere, spesso mi sorge anche la rabbia per quanto
noi adulti siamo stati incapaci nel dare loro gli strumenti giusti per
affrontare quel passaggio della vita tanto turbolento quanto vitale, energico,
esplosivo; non sono le loro tensioni evolutive ad affaticarli, sono molte volte
le nostre inconsistenze di adulti, scaricate sulle loro spalle, a rendere la
loro adolescenza un rischio. Molte volte il laboratorio per me è un esperienza
paragonabile ad una lotta, una sfida continua alla mia resistenza o meglio
ancora alla mia coerenza e autenticità:
i ragazzi chiedono di non barare, non ingannare, soprattutto chiedono che tu
non fugga. Da quest’esperienza mi porto
dietro gli sguardi diretti dei ragazzi, le loro questioni che lentamente
emergono quando percepiscono che c’è il rispetto e la presenza rassicurante
dell’adulto, ma mi porto dietro anche il non detto, le storie difficili, i
vissuti a rischio e la rabbia che inevitabilmente si accumula in loro e che si
mescola con la mia, anzi la nostra impotenza, perché devo dirlo, sono anche
fortunato, condivido tutto questo con altri adulti appassionati del loro lavoro
educativo. In queste situazioni la “minestrina riscaldata” di cui sopra, non ha
proprio nessun valore se non quello di far finta di placare una fame, un vuoto nello
stomaco, ma è un effetto placebo che dura poco e non fa altro che aumentare la
voragine di vuoto. C’è un altro cibo di cui, a mio parere, abbiamo perso il gusto e di cui non sappiamo
più nutrirci: sono le relazioni;
Marco, ad un certo punto, nel Vangelo che scrive racconta che Gesù dopo
aver mandato i discepoli in giro ad incontrare la gente e portare “parole”
autentiche, nell’accoglierli al loro ritorno, non dà tanto spazio al loro
entusiasmo o alle imprese eroiche che hanno compiuto, fa loro una proposta
quasi banale, “venite in disparte a
riposarvi” (Mc 6,31); per vivere a fondo le relazioni, per scorgere e riconoscere “parole
di senso”, per saper far risuonare nella vita degli altri e nella propria, parole di senso, sento necessario scoprire
questi spazi di assoluta gratuità, d’intimità profonda dove in assoluto è
bandito qualsiasi tentativo di manipolare l’altro o la realtà, dove si apprende a non possedere, ma a ricevere.
Dio è capace di una proposta così essenziale e per questo così “rischiosa”.