lunedì 20 ottobre 2014

Il grembo del quotidiano

Dopo tanta fatica, tanta strada in salita, e  quella sensazione di essere in pieno deserto, ecco che quasi inaspettatamente mi ritrovo in un oasi fresca ed accogliente, mi accompagna in questi giorni un profondo senso di “appartenenza”, a me stesso e a Dio, in una dimensione di relazione che nulla ha a che fare con il sentimentalismo o lo spiritualismo, al contrario provo una “corposità” nell’appartenermi e nell’appartenere, del resto ho sempre fatto  molta fatica nel vivere la dimensione spirituale staccata da quella umana e quotidiana; può sembrare una banalità, ma nelle pieghe ripetitive del giorno dopo giorno, possiamo rintracciare delle opportunità inaspettate, purché non  cercate in un altrove mitizzato e spesso sacralizzato…Dio non abita il sacro, ma rende fecondo il grembo apparentemente sterile  del nostro quotidiano.
Gli incontri, le situazioni che ho vissuto, i conflitti che mi sono trovato ad affrontare, tutto si è trasformato in “occasione giusta” per  dare il nome proprio a quel deserto, o a quei vuoti che mi trascinavo dentro da troppo tempo. E il vuoto non va riempito, come suggerisce Massimo Recalcati in uno dei suoi ultimi libri, il vuoto va protetto e ascoltato, perché solo così l’orizzonte del desiderio si delinea con maggiore nitidezza e con tutta la sua passione ci spinge in avanti, non solo per continuare a desiderare, ma a dare concretezza alla nostra vita, a prenderci la responsabilità di impegnarci per noi e per gli altri, o meglio insieme agli altri.


Mi è un po’ più chiaro il motivo per cui sono arrivato fin qui, in questa realtà, in quest’ambiente: per ritrovare me stesso, attraverso lo “stare con”, spinto dalla nostalgia di un luogo periferico in cui ognuno è provocato, messo in questione dalla diversità dell’altro, che probabilmente rimarrà altro, e quindi sconosciuto, non facile da comprendere, ma in questo luogo di mezzo siamo tutti disorientati, provocati, e scomodati dall'azione della reciprocità. Allora può accadere che ci si arrocca alle proprie appartenenze o ci si irrigidisce nel definire la propria identità, ma questo non porta a nulla se non a difendersi ed allontanarsi, così si può vivere ovunque, ma dovunque si resta semplicemente delle isole.


Nel mio quotidiano si alternano momenti di profonda vicinanza, di barriere che cedono senza nessuna resistenza, di condivisioni di vita apparentemente impossibili, per mille motivi, dalla differenza culturale a quella d’età, o semplicemente di situazione sociale, ma ci sono anche distanze che restano nonostante tutto, e che richiederebbero secoli per poter essere superate,  gli stessi che hanno forgiato le culture e i valori a cui volenti o nolenti ognuno di noi fa parte integrante; posso dire che Dio, prendendomi per mano, silenziosamente, delicatamente, mi ha condotto qui, non per conquistare questo posto per Lui, ma perché abitandolo riconoscessi la mia umanità nell'umanità degli altri, e senza fare troppo rumore, nel “nascondimento”, così come mi suggerirebbe Charles de Foucauld, sorprendermi in cammino con altri uomini e donne.



mercoledì 1 ottobre 2014

Qui e non altrove

L’ascolto è una delle dimensioni  che sento ancora non pienamente assunte nella mia quotidianità e allo stesso tempo, una di quelle che maggiormente mi trovo a vivere nel ripetersi spesso monotono delle giornate. Trovarmi in ascolto di qualcuno non è mai programmato, quasi sempre è inaspettato e sovente sembra casuale, ogni volta comunque è un’esperienza che tocca la parte più intima di me stesso, fortunatamente rientrando a casa ho la possibilità di custodire tutto nel silenzio, per far in modo che quello che l’altro, incontrato magari in strada, sul pianerottolo, all’angolo della mia via, trasformi e scomodi la mia vita. Tra ieri ed oggi mi sono immerso dentro gli occhi, le parole e i gesti di alcune persone che mi hanno raccontato parti di sé, non hanno chiesto nulla, non hanno cercato né conforto né risposte certe, hanno raccontato, esternato, ma direi anche consegnato,  quello che avevano di più vivido nella loro vita.

                Per un istante brevissimo mi sono accorto che gli occhi del mio amico pachistano si sono riempiti di lacrime, mentre mi raccontava la fatica di questo momento, con le decisioni da prendere, il desiderio di essere rispettoso delle regole, di rimanere fedele al suo alto senso dell’onestà, e di non cedere alla forza distruttiva che la crisi che viviamo, sta vomitando nell’esistenza di tanta gente senza distinzione di genere e appartenenza, è stanco e sente che le forze di un tempo, la capacità di resistere agli urti sembrano svanire, ma non può cedere, ha una famiglia, ha dei figli, ha soprattutto una storia personale fatta di costruzione lenta e tenace, proprio ora non può cedere allo scoraggiamento; probabilmente è un misto di rabbia e sconforto quello che emerge dietro quelle lacrime, che restano comunque discrete, per il tentativo di trattenerle. Nonostante questo me ne accorgo e mi ci “sento dentro”, mi colpiscono molto più delle parole che mi sta pronunciando; ho un profondo senso di rispetto verso di lui, perché ha molti vincoli e responsabilità a cui non si sottrae, per primo la famiglia, sa che spostarsi, emigrare ancora una volta, è una decisione che ricade anche sui suoi figli, tra l’altro mi racconta che questi sono i discorsi ormai costanti di tante altre famiglie nel quartiere: _“mio figlio è straniero qui, ma lo sarà ancora di più nel mio paese se torno”, e lo sarà comunque anche in altri, penso tra me. La sua è una grande dignità ed onestà con se stesso, nessuno se ne accorge, perché sono di quelle storie anonime che non dicono nulla a chi è affamato e divoratore vorace di racconti conditi di eccezionalità e pressapochismo. Mentre continua a parlare, si interrompe perché si avvicina un’altra persona e mi fa capire che dovremo rimandare in un altro momento la nostra chiacchierata, è una condivisione che non va messa in piazza, con lo sguardo ci capiamo benissimo e questo suo gesto rende me ancora più responsabile di quanto ho ascoltato e accolto.

                     Sotto l’ingresso del mio palazzo incrocio una donna che conosco, lei è italiana, mi avvicino, lei è sempre solare con me, così decido di farmi presente per primo, tempo fa avevo percepito che qualcosa era cambiato nella sua vita, mi sembrava di comprendere che avesse vissuto una crisi di quelle che trasformano l’esistenza e i progetti di vita, in breve tempo; così un po’ per curiosità un po’ per desiderio di farmi più vicino, cerco le parole più adatte per chiedere. Ci si ascolta, ci si riconosce, si cerca di comprendere la fatica vissuta, noto che ha il desiderio di parlare, raccontare senza essere interrotta, ma lo fa non con affanno, ma con una certa fluidità. Nonostante tutto, le risorse che ha messo in campo sono tante e non è crollata, ha mantenuto una sua dignità, ha saputo dare una svolta a partire da un’esperienza non positiva. Ascolto e accolgo.


Sono questi i luoghi della presenza di Dio, gli incontri concreti in cui nulla si fa, se non riconoscere la vita in tutte le sue sfaccettature;  accogliere e lasciarci scomodare da quest’ascolto di Dio, che passa nella vita degli uomini e le donne del mio quartiere.