Dopo tanta fatica, tanta strada in salita, e quella sensazione di essere in pieno deserto,
ecco che quasi inaspettatamente mi ritrovo in un oasi fresca ed accogliente, mi
accompagna in questi giorni un profondo senso di “appartenenza”, a me stesso e
a Dio, in una dimensione di relazione che nulla ha a che fare con il
sentimentalismo o lo spiritualismo, al contrario provo una “corposità” nell’appartenermi
e nell’appartenere, del resto ho sempre fatto
molta fatica nel vivere la dimensione spirituale staccata da quella umana
e quotidiana; può sembrare una banalità, ma nelle pieghe ripetitive del giorno
dopo giorno, possiamo rintracciare delle opportunità inaspettate, purché non cercate in un altrove mitizzato e spesso
sacralizzato…Dio non abita il sacro, ma rende fecondo il grembo apparentemente
sterile del nostro quotidiano.
Gli incontri, le situazioni che ho vissuto, i conflitti che
mi sono trovato ad affrontare, tutto si è trasformato in “occasione giusta”
per dare il nome proprio a quel deserto,
o a quei vuoti che mi trascinavo dentro da troppo tempo. E il vuoto non va
riempito, come suggerisce Massimo Recalcati in uno dei suoi ultimi libri, il
vuoto va protetto e ascoltato, perché solo così l’orizzonte del desiderio si
delinea con maggiore nitidezza e con tutta la sua passione ci spinge in avanti,
non solo per continuare a desiderare, ma a dare concretezza alla nostra vita, a
prenderci la responsabilità di impegnarci per noi e per gli altri, o meglio
insieme agli altri.
Mi è un po’ più chiaro il motivo per cui sono arrivato fin
qui, in questa realtà, in quest’ambiente: per ritrovare me stesso, attraverso
lo “stare con”, spinto dalla nostalgia di un luogo periferico in cui ognuno è provocato,
messo in questione dalla diversità dell’altro, che probabilmente rimarrà altro,
e quindi sconosciuto, non facile da comprendere, ma in questo luogo di mezzo
siamo tutti disorientati, provocati, e scomodati dall'azione della reciprocità.
Allora può accadere che ci si arrocca alle proprie appartenenze o ci si
irrigidisce nel definire la propria identità, ma questo non porta a nulla se non
a difendersi ed allontanarsi, così si può vivere ovunque, ma dovunque si resta
semplicemente delle isole.
Nel mio quotidiano si alternano momenti di profonda
vicinanza, di barriere che cedono senza nessuna resistenza, di condivisioni di
vita apparentemente impossibili, per mille motivi, dalla differenza culturale a
quella d’età, o semplicemente di situazione sociale, ma ci sono anche distanze
che restano nonostante tutto, e che richiederebbero secoli per poter essere
superate, gli stessi che hanno forgiato
le culture e i valori a cui volenti o nolenti ognuno di noi fa parte
integrante; posso dire che Dio, prendendomi per mano, silenziosamente,
delicatamente, mi ha condotto qui, non per conquistare questo posto per Lui, ma
perché abitandolo riconoscessi la mia umanità nell'umanità degli altri, e senza
fare troppo rumore, nel “nascondimento”, così come mi suggerirebbe Charles de
Foucauld, sorprendermi in cammino con altri uomini e donne.