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Veglia per la pace |
“Non possiamo essere cani muti”, scriveva Charles de
Foucauld addirittura ai parlamentari francesi, di fronte alla tolleranza che la sua nazione mostrava in
relazione al fenomeno della schiavitù,
che lui ben vedeva in Algeria; di fronte alla violenza e al sopruso, non si può
restare indifferenti. Ogni violenza, ogni azione di potere, va smascherata, va
denunciata, anche quella che si veste con la “divisa” dell’intervento
umanitario, e su questo le parole di Francesco in piazza San Pietro sono state
immediate, decise, senza nessun tipo di sfumatura che desse spazio a
interpretazioni di comodo. Quando ad intervenire sono le armi, il linguaggio di
fondo è la morte e la distruzione dell’altro, con un orizzonte di senso del
genere, non si potrà mai costruire una relazione che porti vita, che crei
reciprocità, che sappia accogliere la diversità, che faccia dell’incontro delle
differenze il segno della vita che
scorre e si sviluppa nella sua pienezza. Credo che prima di tutto si tratti di
chiamare per nome gli atteggiamenti, le azioni compiute, le responsabilità,
svelare le logiche di fondo delle azioni intraprese e non rimpallarsi la responsabilità
o peggio ancora, sviare l’attenzione su chi ha compiuto il gesto più violento o
brutale. Non ci sono limiti in questo, non ci sono misure, non c’è un massimo
di sopportazione: ci sono logiche che hanno nel loro cuore la promozione e il
benessere della comunità e logiche di potere che hanno per obiettivo il controllo, la sopraffazione, l’imposizione
del proprio ordine e del proprio sistema. Lo ha ripetuto il papa, ma non sono
sue parole, potrebbe anche averle dette senza essere papa, perché ha
semplicemente ripetuto quello che nel Vangelo è stato scritto da secoli: la
logica del Regno e quindi di Dio è la fraternità, che non ha nulla a che vedere
con atteggiamenti buonisti o naif, che rischiano di sfociare nel fanciullesco e
nel banale ( e in questo noi cristiani siamo stati efficacissimi nel svuotare
di senso il messaggio di Gesù, direi di disinnescarlo), ma è la logica della
giustizia, dell’equità , dell’affermazione della dignità di ognuno a partire
dal più piccolo. E’ un cammino lungo a mio parere, è una sfida continua, perché
a me sembra che questa logica e questa prospettiva del vivere, metta
radicalmente in discussione quello che stiamo facendo a livello planetario,
nazionale, fino al nostro piccolo quotidiano. Non si tratta di banalizzare le relazioni, non basta dire: “dobbiamo volerci
bene”, perché quando si è dalla parte di chi subisce, queste parole risuonano
come un’ulteriore sferzata ed umiliazione, si tratta al contrario di crescere
nella libertà di saper chiamare le proprie responsabilità per nome, e chiamarle
apertamente di fronte all’altro. In Sud Africa nel periodo del dopo Mandela, è
stato istituito un tribunale per la riconciliazione, un lungo lavoro alla
ricerca della verità, con lo scopo di mettere in luce i fatti; vittime e carnefici, uno di fronte all’altro,
gli uni di fronte alla storia, al vissuto, all’ esperienze dell’altro, per
saper chiamare per nome quanto era accaduto, ognuno per la sua parte.
C’è un
interessante film su questo processo di riconciliazione, non ricordo il titolo
purtroppo, ma mi ha colpito una scena: un vecchio dopo aver raccontato le
violenze subite, si gira e guarda negli occhi i responsabili delle sue
vessazioni e dice loro: se non mi dite perché
lo avete fatto, come posso perdonarvi?. Personalmente mi sento vessato e
indignato da quello che dicono i potenti delle nazioni, perché continuano a
mascherarsi da lupi e agnelli, ma mai rinunciano al loro potere, che dicono
esercitare in nome e per il bene del loro popolo; nessun uomo o donna, nessun
minore, chiede di essere messo nelle condizioni di guerra che vediamo
quotidianamente, nessun popolo chiederebbe di essere nutrito di rabbia, odio,
disprezzo per un altro popolo o realtà culturale o religiosa, è come dire che
gli uomini e le donne che si sentono appartenenti ad una comunità, chiedessero di vivere in una continua tensione
e paura dell’altro. Non ho mai delegato nessuno a nutrirmi di odio. La veglia a
Roma mi ha colpito profondamente per due aspetti: il primo il profondo
silenzio, posso assicurare che era intenso e forte, mi viene da dire che
esprimeva il desiderio di “chiarezza”, ossia dire chiaramente da quale parte
stiamo, non riferita alle fazioni, ma alla logica dei rapporti umani che desideriamo
tra nazioni e popoli; il secondo
aspetto credo che sia stato ancora più
profetico, non eravamo lì per fare un sacrificio che ammorbidisse il cuore di
Dio e in tal modo si prendesse Lui la responsabilità e il potere di far cessare le guerre, Dio non
ha il cuore duro che può essere ammorbidito dalle nostre rinunzie o
flagellazioni, è ancora un pensiero perverso di Dio questo, eravamo lì perché la
Parola di Dio ci grida e consegna una
responsabilità ben precisa: “ Caino dov’è
tuo fratello?”
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amedeo.angelozzi@tiscali.it |