domenica 30 giugno 2013

L'incontro provoca cambiamento...anche piccolo

Secondo incontro sul tema dell'abitare alla luce della spiritualità di Charles de Foucauld, questa volta ci siamo confrontati sulla dimensione dello "spazio", quelli del nostro lavoro, del nostro quotidiano, delle nostre attività. Gli ambienti che frequentiamo o che viviamo anche in maniera abitudinaria, non solo parlano di noi ma ci caratterizzano, ci trasformano, ci provocano. "L'essere in relazione" è stata la costante che è emersa in ogni esperienza riportata e condivisa, e quando si è in relazione si ottiene molto per la propria crescita e allo stesso tempo si sperimenta anche la fatica di essere messi in crisi dagli altri. Ci siamo lasciati dicendoci che Nazareth, ci spinge a non trovare dei luoghi caldi e rassicuranti per noi, non si tratta di stare bene tra pochi, ma Nazareth è il luogo significativo per gli altri, allora è necessario allargare lo sguardo, lasciarsi contaminare, sentirsi parte di una comunità più ampia, accogliere le diversità. 



Per avere maggiori informazioni potete scrivermi amedeo.angelozzi@tiscali.it

martedì 25 giugno 2013

Abitare lo spazio

Il secondo incontro sulla spiritualità di Charles de Foucauld è stato programmato per questo sabato 29 giugno alle ore 17.00 presso i locali della parrocchia del Sacro Cuore di Porto Sant'Elpidio, dettagli nel volantino qui sotto. Il mio intento e quello delle Piccole Sorelle Jesus Caritas di Fermo è quello di creare uno spazio semplice e fraterno dove poter condividere la passione per il nostro tempo e le situazioni che ognuno di noi vive, uno spazio dove il confronto e l'approfondimento della spiritualità di nazareth diventa stimolo concreto per poter vivere appieno e con passione il Vangelo nel concreto della nostra quotidianità.
Per chi vuole avere maggiori indicazioni e informazioni potete contattarci negli indirizzi che vengono riportati nel volantino; è prevista una cena condivisa chiamata "la pentolaccia" ossia ognuno porta qualcosa da mettere insieme.

mercoledì 12 giugno 2013

La pazienza del nulla


Giorno dopo giorno

“Il deserto è il luogo dove non si è forzati a scegliere, non c’è nulla da scegliere, perché lì solo il tempo avviene”. Questo è uno dei tanti passaggio che Arturo Paoli pone nel suo libro “la pazienza del nulla”,  dove rilegge il tempo vissuto nel deserto come novizio dei piccoli fratelli, questo testo che ho particolarmente amato in questo ultimo anno mi offre spesso le parole giuste per trovare il senso, il valore e soprattutto la modalità per saper abitare questo quartiere. Ancora un'altra citazione “ la sapienza del maestro dei novizi era di saper perfettamente che l’originalità del deserto consiste nello spogliare o aiutare a spogliare il malcapitato o benvenuto ospite lasciandolo nudo; altri lo vestiranno…” Per alcuni aspetti e con le dovute distinzioni, sento che mi trovo di fronte alle stesse possibilità, l’atto di spogliarmi e liberarmi da “indumenti” pesanti e inutili, è necessario per poter essere presente nelle realtà di emarginazione, non dico per comprendere, quanto almeno  per  incominciare ad avvicinarle. Più vado avanti e più mi è chiaro che non ho ancora compreso nulla delle diversità e delle mille sfumature presenti in quest’ambiente, di giorno in giorno scopro delle novità, entro in contatto con qualcuno, mi accorgo di storie o fatti non positivi, e ogni volta sono costretto a rivedere il mio pensiero, la mia opinione, l’idea che mi ero fatto o semplicemente costruito di questo o di quello. Per poter abitare come piccolo fratello, questa  parte di umanità, devo passare per lo svuotamento del deserto,  apprendere la “pazienza del nulla” come direbbe appunto Arturo Paoli. Arrivando ad ottobre scorso, portavo con me delle aspettative, delle speranze e perché no anche dei sogni, un atteggiamento  quello del “fare qualcosa” difficile da disinnescare, così il rischio di fraintendere, di semplificare, generalizzare e soprattutto manipolare asseconda dei propri bisogni e delle proprie visioni stereotipate, è fortissimo. L’esperienza di tanti anni in un altro ambiente, in un condominio comunque particolare, mi è stato d’aiuto per apprendere l’arte del saper aspettare.  

Stare in un luogo con semplicità, questo è per me il primo passo da compiere  e ciò significa prima di tutto, vivere il banale e la ripetitività del quotidiano: uscire di casa per la spesa o per il lavoro, trovare il parcheggio, organizzare casa e sistemarla perché mi faccia sentire a mio agio, risolvere le questioni burocratiche del cambio residenza e casa, imparare a conoscere i servizi e le strade, riconoscere ed abituarsi ai rumori e soprattutto lentamente, ma molto lentamente, incominciare ad individuare chi abita nel mio stesso palazzo e chi è di passaggio, utilizzando solo poche parole: “buon giorno!”. Questo non fare, o fare tipico del quotidiano, mi ha permesso di assaporare e scoprire il valore profondo dell’attesa e del tempo che scorre, solo abitando anche questo scorrere lento e ripetitivo dei gesti, mi ha permesso di cogliere di volta in volta tutte le sfumature, prima quelle più colorate, calde, entusiasmanti, ma poi anche quelle più scure, contrastanti, forti e violente. Sono proprio quest’ultime che ultimamente mi mettono in crisi, mi pongono in uno stato di svuotamento, di fronte alle situazioni non semplici o di emarginazione o di disagio e violenza, le parole svaniscono per lasciare il posto ad una profonda sensazione di impotenza, accentuata sicuramente dal fatto che sono qui da solo. Accendendo la radio in questi giorni mi rendo conto come spesso il disagio aumenti ovunque, le notizie di cronaca raccontano di gesti estremi  ed esasperati, la risposta violenta e prepotente viene messa in atto con molta più facilità, tutto questo è innegabile, qui poi lo avverto da vicino. Le idee che nascono nella mia testa, spesso si infrangono desolatamente di fronte al fatto che sono da solo, ma questo sarebbe il minimo, ma soprattutto si infrangono di fronte allo svuotamento che la violenza o il disagio provocano nell’uomo e nella comunità degli uomini. Eppure questo “deserto” non mi ha tolto il desiderio di scoprire che esiste una strada di riscatto, mi sembra di vedere allo stesso tempo sia segni concreti di marginalità che segni altrettanto concreti di vita, ricchezza e speranza.
amedeo.angelozzi@tiscali.it
Forse è proprio questa visione con la “e” ( “questo e quello”, non “questo o quello”) che mi permette ancora oggi di non perdere la positività e di non sentirmi solo, prima di tutto perché da sempre ho sperimentato la mia scelta di celibato come “abitata da Dio”, poi perché queste persone e queste situazioni continuano ad interpellarmi come uomo.


domenica 2 giugno 2013

Lampada o Lapponia?

Finalmente una giornata di sole, non di quelle calde come desidererei, ma cerco di non essere troppo esigente, così apro le finestre e faccio entrare calore e profumi primaverili; la radio sintonizzata sulle notizie mi conferma che questa è davvero una stagione fuori norma: in Lapponia sono felicissimi perché possono andare al mare, gustarsi un gelato e tuffarsi in acqua per trovare un po’ di refrigerio, le uniche a lamentarsi sono le renne, che se potessero parlare alzerebbero la voce con madre natura, prima le ha attrezzate per sopportare temperature glaciali poi le fa boccheggiare offrendo un clima da tropici. In breve quest’anno chi vuole la tintarella, o ricorre alla lampada oppure va in Lapponia, ospite di Babbo Natale. Tutto questo mi fa sorridere e mi fa anche pensare alla nostra piccola visione del mondo, se pensassimo infatti per un attimo all’ampiezza e alla diversità di clima e ambiente che la terra contiene, ci renderemmo  immediatamente conto che il problema delle stagioni non più regolari, è il problema di una minoranza, esistono infatti luoghi in cui il clima è sempre caldo o sempre mite, o al contrario sempre freddo, oppure dove l’alternanza giorno notte segue sempre lo stesso ritmo, penso all’Etiopia, dove alle 6.00 del mattino sorge il sole e alle 18.00 tramonta senza mai variare nell’arco dell’anno, in breve quello che succede da noi non è detto che succeda ovunque, quello che è un mio problema non necessariamente è “il problema”.


Decentrarsi, questa è la parola che mi viene subito in mente, una parola che va tradotta in atteggiamento, azione e soprattutto in una forma mentale, se non fossi capace di “decentrarmi” non potrei crescere, conoscere, sperimentarmi , adattarmi e soprattutto allargare le mie esperienze di vita. Decentramento è anche la parola giusta che meglio esprime, a mio parere, l’esperienza di fede: Gesù è per me in pienezza “il Dio decentrato”, mi spiego: dai Vangeli e nella nostra fede noi cristiani abbiamo accolto l’idea  di un Dio che si incarna nell’umanità attraverso Gesù, è il Dio con noi, il Dio fatto uno di noi, il Dio che ha scelto di trasformare la storia dell’uomo dal di dentro, condividendo tutta la nostra esistenza umana fino alla morte, questo per me vuol dire “decentrarsi”. Non si tratta di perdere l’orientamento l’identità o  il senso di sé, al contrario in un atto di totale libertà, uscire dal proprio io e mettersi nella posizione dell’altro ed assumere così la sua prospettiva, la sua visione della vita, il suo sentire, comprendere dal di dentro. E’ questa un’esperienza non semplice, non immediata ma allo stesso tempo necessaria, sia per conoscere l’altro che per allargare le proprie prospettive. Molti immigrati fanno quest’esperienza e spesso in loro è drammatica, dolorosa e in casi estremi traumatica, gli esperti parlano di “rottura dell’involucro culturale” cioè di quell’involucro necessario per crescere e svilupparsi nel proprio ambiente culturale, quest’involucro ci protegge, determina la nostra identità e il nostro senso di appartenenza, necessario per riconoscerci come individui, ora molte persone sradicandosi ed entrando in un contesto culturale altro, rompono il proprio involucro e si ritrovano così in uno stato di totale vulnerabilità, privi di riferimenti e soprattutto privi di “contenimento”. Mi piace pensare che Dio di fronte alla nostra umanità ha sperimentato questo decentramento e quest’esperienza, non perdendo nulla di sé. Mi azzardo: anche la mia scelta di vita contemplativa nel quartiere è prima di tutto un’esperienza di decentramento, così come l’ho descritto sopra, sia nel cuore a cuore con Dio, sia nelle relazioni quotidiane.
amedeo.angelozzi@tiscali.it

In questa prospettiva comprendo allora il perché tante volte provo anche disorientamento, fatica, svuotamento, precarietà, insieme al senso di apertura, trasformazione, cambiamento e novità, comprendo meglio il senso dell’essere “contemplativi sulle strade degli uomini” così come spesso si ripete nelle diverse fraternità di Charles de Foucauld.