giovedì 27 novembre 2014

Nomade

"Il contemplativo non è un uomo che fugge la compagnia degli uomini o evade dalla storia, ma un uomo che cerca di discernere nella storia e negli uomini nei fatti e nella propria persona, la presenza di Cristo. E' colui il cui sguardo è talmente purificato che egli sa riconoscere il Tempio di Dio, e dunque la dimora dello Spirito Santo e il luogo dell'inabitazione del Cristo, nell'uomo stesso. Si, il contemplativo è un esperto nell'arte del discernimento della presenza di Dio, presenza che non è limitata nei luoghi sacri e non si riduce al religioso, ma è diffusa ovunque
                         Enzo Bianchi.

Mi sembra che questa descrizione di Bianchi, possa ben definire l'esperienza e la storia, così nomade di Charles de Foucauld, il quale profondamente innamorato del Vangelo, lo ha incontrato nel silenzio e nell'essenzialità del deserto, come nel cuore delle relazioni con gli uomini, le donne e le tradizioni che essi vivevano. Si tratta quindi di saperlo riconoscere, nel cuore del nostro quotidiano e nelle pieghe nascoste della nostra storia, liberati finalmente da atteggiamenti fideisti, disincarnati, e irrigiditi da appartenenze troppo esclusive. Il Vangelo è l'invito ad andare oltre.



lunedì 10 novembre 2014

I frutti di stagione

Una busta abbondante di mele può stabilire un equilibrio nelle relazioni? Sembrerebbe una strana teoria, o forse l’inizio di una disfunzione cognitiva, in realtà si tratta di un semplice gesto quotidiano e delle conseguenza che esso genera nell’anonimato del giorno dopo giorno. Avevo ricevuto in regalo un enorme busta di mele, talmente tante che volendo mangiarle in maniera industriale tutti i giorni, non sarei comunque riuscito ad evitare che marcissero, allora mi sono detto che quest’abbondanza poteva essere l’occasione per costruire legami di buon vicinato, così ho fatto,  con il timore che venisse letto come una sorta di dono/offerta, del solito italiano che si occupa di stranieri; abituali elucubrazioni mentali queste,  che spesso albergano nelle nostre teste, piuttosto che nelle intenzioni reali degli altri. Decontaminare il nostro pensiero, l’immagine che abbiamo degli altri, liberarci degli schemi, slegare il bisogno che spesso abbiamo di essere utili a qualcuno e soprattutto abbandonarsi a quello che le relazioni possono farci sperimentare: questa è l’opportunità che possiamo regalarci. Le mie buste di mele, che per essere sincero mie non erano,  sono diventate melanzane, insalata, pane e dolce pachistano, che nei giorni successivi sono arrivati alla mia porta con il trillo del campanello e un sorriso, ma soprattutto sono diventate “reciprocità”, rispetto, accoglienza, curiosità e riconoscimento vicendevole, senza troppi artifizi mentali, pur nella diversità che non sempre ci permette di comprenderci fino in fondo, ma per questo non bastano delle mele, occorre più il coraggio della fiducia, dell’incontro e della pazienza che dà spessore all’attesa.

In questo mio Nazareth, l’attesa è veramente la dimensione più concreta e tangibile che mi trovo a vivere, forse l’unica dimensione che posso assumere e gustare, sicuramente quella che maggiormente mi mette in crisi. Il tempo e il silenzio, come  la precarietà di vita e l’anonimato della mia presenza in certi contesti, sono strumenti e possibilità che stanno lentamente trasformando la mia vita, modellando il mio modo di essere in relazione, dando senso alla mia scelta di vita. Ma c’è ancora un altro aspetto che continua a provocarmi e a togliermi il terreno da sotto i piedi: è la fedeltà.

Guardando e ascoltando il groviglio del mio percorso di vita, mi accorgo con una certa emozione che non io, ma altri mi hanno fatto dono della fedeltà: presenze spesso discrete, ma costanti, parole dirette che hanno sempre generato vita e aperto prospettive, rendendo lo sguardo libero dall’autoreferenzialità,  accoglienza piena e disinteressata, mai fusionale o dipendente e vincolante;  questa fedeltà ha il volto e il nome di persone concrete che nel cuore di Dio risuonano tutte, accumunate e distinte allo stesso tempo. Attraverso esse sento che Dio mi mostra di quanto sia stato presente nella mia storia, per questo lo sarà ancora, coniugando all’infinito questo suo modo di essere, perché fedeltà è una parola per “chiamare al volo” Dio.


Quando lascio risuonare nel silenzio del cuore a cuore con Dio il “suono” di queste fedeltà, ho come la sensazione che Lui stesso mi prenda per mano e mi conduca dentro l’attesa di altri incontri, quelli che sono venuto a cercare qui e mi chiede di non disperdere il dono ricevuto, ma di moltiplicarlo, mi chiede anche di non arroccarmi dietro nessuna pretesa, piuttosto di abbandonarmi con coraggio alle relazioni, quelle che con il tempo prenderanno corpo.