Le 6.24 del mattino, in pieno sonno e protetto dal tepore
delle coperte, vengo svegliato dall’arrivo di un sms, due minuti per
comprendere dove sono e soprattutto che ore sono, poi scopro che è l’insegnante
della scuola materna, a tutti dice che è in corso una nevicata magnifica. So
bene che oltre me ha svegliato tutte le sue colleghe, il team di lavoro è molto
unito quest’anno, la complicità e l’amicizia danno vigore e spessore a quello
che si sta realizzando nella scuola, la mitica scuola del nostro quartiere,
così anche un sms del genere e a quell’ora, diventa il segno concreto di una
relazione non solo di lavoro; sono state queste maestre le prime ad
incoraggiare e sostenere il mio inserimento a Lido, con la loro creatività e
praticità, hanno organizzato il mio appartamento, la loro è stata una vicinanza
molto preziosa. Decido di alzarmi, ormai il sonno è stato interrotto e devo
cercare di capire come si evolve la situazione, nel pomeriggio devo recarmi al
lavoro, per questo la poesia lascia subito il posto all’ansia: oddio guidare
con la neve. Mi faccio coraggio, del resto è sabato e una settimana così lunga
e impegnativa termina, avrò modo di prendermi un po’ di riposo, tanti sono
stati gli stimoli e le esperienze che si sono susseguite, gli incontri e
l’ascolto di tanti vissuti; a scuola in questo momento vengo a contatto non
solo con quello che gli adolescenti o i bambini vivono, ma mi permettono di
vedere, osservare e ascoltare quello che avviene nel loro ambiente, così sempre
di più mi convinco che noi adulti dobbiamo impegnarci in quell’alleanza
educativa tra genitori, scuola, educatori, cittadini comuni, per dare ai
ragazzi la possibilità di crescere nella loro autonomia.
“Autonomia”, è questa la parola che mi accompagna e impegna
i miei pensieri in queste settimane, il banco di prova per tutti, mi accorgo
che autonomia è anche la dimensione della fede matura, non concepisco la mia
relazione con Dio come dipendenza, come legame assoluto, mi azzardo a dire
anche, che faccio sempre molta fatica ad accogliere espressioni come “ che vive
senza Dio è infelice”, nella mia esperienza personale ho potuto verificare come, in alcuni momenti, le ombre della mia storia e della mia
personalità erano completamente coperte da uno spiritualismo che giustificava,
modificava la realtà, è un pericolo usare Dio per darci una parvenza di
sicurezza e autenticità, mentre basterebbe semplicemente imparare a chiamare
per nome quello che noi siamo. Leggo nel Vangelo che Gesù non legava mai a sé
nessuno, ma rimandava le persone rigenerate alla vita, nel loro ambiente,
perché a loro volta generassero cambiamento, vita, testimoniassero una nuova
relazione con Dio; ho ascoltato Arturo Paoli diversi anni fa in un incontro dove
affermava con forza che Gesù non cerca discepoli che stanno sotto le sue gonne
a dirgli insistentemente: -Gesù ti amo, sono sempre con te. Gesù ci dice,
continuava Arturo Paoli, “ecco il mio
Vangelo, il mio progetto del Regno, prendilo in mano e va, fallo fruttificare,
rendilo vivo”, in effetti, altro che stare sotto le gonne di un potente e
rassicurante Dio. “Senza sandali né bisaccia, con una sola tunica, e nemmeno
una pietra propria per poter riposare” queste le uniche certezze che Gesù
consegna ai discepoli, uomini e donne che siano. Chi si avventurerebbe nella
precarietà? Chi si getterebbe in mezzo alla mischia dei nostri tempi, a mani
vuote e cuore libero? Chi potrebbe vivere relazioni nuove, autentiche, non
possessive, se prima non ha fatto esperienza di un Dio che non lega, che non fa
dipendere tutto da sé, che non rende l’uomo un eterno infante, ma lo rende
capace di vita?. L’autonomia che sto cercando di accogliere nella mia relazione
con Dio, è fatta non di solitudine, né di quel bastare a me stesso, ma è un
saper camminare con i miei piedi accanto agli altri, è guardare negli occhi
degli altri senza paura, per rispecchiarmi e allo stesso tempo per vedere molto
di più, oltre l’io e il tu, ma anche oltre il solo ed esclusivo “noi”.
Ecco
allora un altro aspetto del vivere da piccolo fratello, non legare nessuno a sé,
né creare dipendenze, ma riconoscendo l’originalità
dell’altro, saper camminare a fianco come fratello.