mercoledì 27 febbraio 2013

Chi ama la vita ...vive per sempre



Mi resta molto difficile passare attraverso l'esperienza della morte di un amico, rimango senza parole, mi spariscono anche i pensieri; paradossalmente il silenzio in cui piombo senza farlo molto trapelare, mi fa scegliere di stare vicino agli altri senza l'illusione di dover consolare, sostenere o spiegare...essere presente in pienezza e con quello che si è e si sente, senza sprecare parole. Questa è la possibilità che mi sono dato per affrontare un mistero e un' esperienza come la morte e il distacco. In questo anno dopo la scomparsa di Roberto, ho spesso rimosso, accantonato, non pensato a quello che è successo, l'ho fatto consapevolmente per non toccare troppo da vicino un dolore, ho preferito avvicinarlo lentamente e con la misura giusta per me, per non essere travolto, per non rimanere inerme. Ma ho sempre ben tenuto in chiaro che non si può e non è bene rimuovere del tutto queste esperienze, ci si passa dentro, lentamente, a suo tempo, ma ci si passa dentro. Ho sentito la forza dell'amicizia, la potenza dei legami fraterni e autentici, liberi e liberanti, la fedeltà dell'amicizia con Francesca mi ha permesse lentamente di accogliere e integrare quanto Roberto ha seminato e lasciato a me e a molti altri, attraverso una modalità spesso troppo immediata e mai mediata, ma con un forte accento di coerenza e autenticità. A distanza di un anno mi accorgo che Roberto ha dato corpo a queste parole di piccola sorella Magdelaine: "occorre essere forti, per poter essere dolci, e occorre essere saggi per permettersi di essere folli".



Biglietto di Francesca che ha condiviso con tutti


martedì 19 febbraio 2013

Vulnerabilità fa rima con forza e libertà


Il mio rientro a casa questa sera è faticoso, sono stanco, indebolito e poi questo tempo ancora grigio ed umido non mi aiuta e non è piacevole nemmeno per la mia cervicale, campanellino d’allarme per segnalarmi che il primo bisogno da soddisfare è quello del riposo. Non sempre possiamo però decidere il ritmo o i tempi di pausa, sono immerso come molti altri, in una realtà che è fatta d’impegni e responsabilità che coinvolgono anche altri, il lavoro del resto è una dimensione molto importante, mi permette di avere i piedi ben piantati per terra, mi lega alla realtà e mi impedisce di rifugiarmi in dimensioni troppo artefatte e privilegiate, se Dio si accoglie e incontra là dove siamo, allora vuol dire che anche in questa fatica e stanchezza posso fare esperienza di pienezza della mia umanità e così incontrare il sorriso di Dio. Ma il pensiero questa sera è tenuto stretto da una domanda che non è poi così astratta o distante dalla realtà della vita quotidiana: come un uomo può ricercare l’intimità e la vicinanza con un'altra persona, desiderare profondamente quest’esperienza ed essere capace allo stesso tempo di violenza. In maniera eclatante e decisamente diabolica, l’ho visto nelle diverse storie che ho ascoltato dalle ragazze che vengono dallo sfruttamento della prostituzione, molte di loro vengono ingannate, manipolate, legate a partire dalla promessa di un sentimento d’amore: “ti sposerò, vivremo insieme in Italia, sei la mia ragazza” e conseguenza di queste promesse è la violenza sessuale, la prostituzione e l’annientamento definitivo della donna. Questi sono decisamente delle situazioni estreme, comunque non rare, non credo sia sbagliato vedere nella stessa ottica la violenza su tante donne, anche e soprattutto nelle pareti delle proprie case. Come può sentirsi una donna che nell’intimità della propria storia, della propria persona e del proprio corpo, incontra un uomo che poi è capace di una forza devastante e mortale. Nell’esperienza dell’intimità con l’altro, ci si mette in una posizione di piena vulnerabilità perché si è sicuri che l’altro non né approfitterà mai, mi piace citare anche quest’altra definizione d’intimità, di cui non ricordo l’autore: “essere segretamente se stessi di fronte all’altro”, questo è possibili quando l’altro non ci fa paura, e noi siamo pienamente liberi; cosa produce chi infrange questa dimensione  con la violenza? Devasta, disorienta, toglie il terreno sotto i piedi, scuote l’albero fin nel profondo delle radici, la casa è scossa nelle fondamenta, come dice un salmo. Chi è violento non è capace di vivere l’intimità, quello che può fare è travestirsi da agnello per poter ancora prendere con avidità quello che il proprio vuoto interiore pretende.

Una ragazza che è stata nella comunità d’accoglienza dove lavoro, ha concluso il suo percorso, la sua storia finalmente più prendere la direzione di un futuro positivo, costruttivo, pieno di possibilità; quando è arrivata, portava con sé ferite profonde, sicuramente legate a quella stessa violenza che descrivevo sopra, era un muro insormontabile, sempre sulle difensive, mai un sentimento manifestato con spontaneità. Ci siamo messi in cammino insieme a lei, abbiamo ascoltato la sua fatica e cercato di scorgere la sua ricchezza, abbiamo soprattutto evitato di fare la strada a posto suo, o di legarla a noi e alle nostre facili soluzioni; il tempo del suo cambiamento  è diventato il nostro tempo. Senza cercare troppe parole, né scadere in un tenerume compassionevole, abbiamo spesso camminato in silenzio, siamo stati costretti a trovare una sintonia che non conoscevamo, perché troppo centrati su di noi e sulla nostra voglia di salvare. Anche questo nostro essere spesso dei salvatori è violenza nei confronti di chi ha subito molto nella propria vita, al contrario rinunciare alla pretesa di salvare e rendersi abbordabili, è ciò che può creare vita in noi e negli altri. Quando la settimana scorsa è partita, ci siamo abbracciati, ci siamo detti delle parole affettuose come succede tra amici, in un clima di normalità, nulla di esagerato o estremamente emotivo, certo ben diverso dalla rigidità dei primi giorni, ma che importa, la fiducia non tradita ci ha fatto assaporare dei frutti molto delicati…e questo va vissuto nel silenzio.
Nel silenzio della mia cappellina questa sera  ho strizzato l’occhio a Dio, perché mi ha fatto vedere il lievito del Regno nella storia di questa ragazza.



lunedì 11 febbraio 2013

l'amicizia


Slegati da Dio


Le 6.24 del mattino, in pieno sonno e protetto dal tepore delle coperte, vengo svegliato dall’arrivo di un sms, due minuti per comprendere dove sono e soprattutto che ore sono, poi scopro che è l’insegnante della scuola materna, a tutti dice che è in corso una nevicata magnifica. So bene che oltre me ha svegliato tutte le sue colleghe, il team di lavoro è molto unito quest’anno, la complicità e l’amicizia danno vigore e spessore a quello che si sta realizzando nella scuola, la mitica scuola del nostro quartiere, così anche un sms del genere e a quell’ora, diventa il segno concreto di una relazione non solo di lavoro; sono state queste maestre le prime ad incoraggiare e sostenere il mio inserimento a Lido, con la loro creatività e praticità, hanno organizzato il mio appartamento, la loro è stata una vicinanza molto preziosa. Decido di alzarmi, ormai il sonno è stato interrotto e devo cercare di capire come si evolve la situazione, nel pomeriggio devo recarmi al lavoro, per questo la poesia lascia subito il posto all’ansia: oddio guidare con la neve. Mi faccio coraggio, del resto è sabato e una settimana così lunga e impegnativa termina, avrò modo di prendermi un po’ di riposo, tanti sono stati gli stimoli e le esperienze che si sono susseguite, gli incontri e l’ascolto di tanti vissuti; a scuola in questo momento vengo a contatto non solo con quello che gli adolescenti o i bambini vivono, ma mi permettono di vedere, osservare e ascoltare quello che avviene nel loro ambiente, così sempre di più mi convinco che noi adulti dobbiamo impegnarci in quell’alleanza educativa tra genitori, scuola, educatori, cittadini comuni, per dare ai ragazzi la possibilità di crescere nella loro autonomia.

“Autonomia”, è questa la parola che mi accompagna e impegna i miei pensieri in queste settimane, il banco di prova per tutti, mi accorgo che autonomia è anche la dimensione della fede matura, non concepisco la mia relazione con Dio come dipendenza, come legame assoluto, mi azzardo a dire anche, che faccio sempre molta fatica ad accogliere espressioni come “ che vive senza Dio è infelice”, nella mia esperienza personale ho potuto verificare come,  in alcuni momenti,  le ombre della mia storia e della mia personalità erano completamente coperte da uno spiritualismo che giustificava, modificava la realtà, è un pericolo usare Dio per darci una parvenza di sicurezza e autenticità, mentre basterebbe semplicemente imparare a chiamare per nome quello che noi siamo. Leggo nel Vangelo che Gesù non legava mai a sé nessuno, ma rimandava le persone rigenerate alla vita, nel loro ambiente, perché a loro volta generassero cambiamento, vita, testimoniassero una nuova relazione con Dio; ho ascoltato Arturo Paoli diversi anni fa in un incontro dove affermava con forza che Gesù non cerca discepoli che stanno sotto le sue gonne a dirgli insistentemente: -Gesù ti amo, sono sempre con te. Gesù ci dice, continuava Arturo Paoli, “ecco il mio Vangelo, il mio progetto del Regno, prendilo in mano e va, fallo fruttificare, rendilo vivo”, in effetti, altro che stare sotto le gonne di un potente e rassicurante Dio. “Senza sandali né bisaccia, con una sola tunica, e nemmeno una pietra propria per poter riposare” queste le uniche certezze che Gesù consegna ai discepoli, uomini e donne che siano. Chi si avventurerebbe nella precarietà? Chi si getterebbe in mezzo alla mischia dei nostri tempi, a mani vuote e cuore libero? Chi potrebbe vivere relazioni nuove, autentiche, non possessive, se prima non ha fatto esperienza di un Dio che non lega, che non fa dipendere tutto da sé, che non rende l’uomo un eterno infante, ma lo rende capace di vita?. L’autonomia che sto cercando di accogliere nella mia relazione con Dio, è fatta non di solitudine, né di quel bastare a me stesso, ma è un saper camminare con i miei piedi accanto agli altri, è guardare negli occhi degli altri senza paura, per rispecchiarmi e allo stesso tempo per vedere molto di più, oltre l’io e il tu, ma anche oltre il solo ed esclusivo “noi”. 
Ecco allora un altro aspetto del vivere da piccolo fratello, non legare nessuno a sé, né creare dipendenze, ma riconoscendo  l’originalità dell’altro, saper camminare a fianco come fratello.




mercoledì 6 febbraio 2013

Noi della strada


Comunità psichica?


I contesti sociali attuali sono sicuramente caratterizzati da una complessità non facile da comprendere né da abitare, figuriamoci da governare, una complessità frutto di cambiamenti repentini, di valori che perdono il loro significato e che vengono sostituiti da altri parametri di riferimento i quali non trovano comunque una rete sociale capace di integrarli, tutto corre molto velocemente, tutto ruota intorno al bisogno personale e soprattutto tutto diventa liquido. Ogni volta che accendo la radio per ascoltare approfondimenti o notizie, mi sembra di assistere al rafforzamento continuo di uno spirito individualista, ciò che va stuzzicato, solleticato, reso naturale in questa campagna elettorale,  è il valore assoluto che ha il “bisogno e l’orizzonte personale”, è il bisogno dell’individuo o della singola famiglia al centro, non tenendo conto che, sia il singolo, che la famiglia, sono parte integrante di una collettività, manca a mio parere un senso civico e sociale, il valore dell’appartenenza ad una comunità, in cui si è interdipendenti, nel bene e nel male. Purtroppo in questa prospettiva anche la nostra  Chiesa non mostra una spinta e una scelta profetica, anzi gioca spesso ad allearsi con i poteri per salvaguardare privilegi e prestigi, nel DNA delle comunità cristiane dovrebbe esserci questa dimensione di interdipendenza, di scelta del bene comune, di condivisione, di responsabilità civile. In un contesto e in un orizzonte di senso di questo genere, sicuramente può prevalere il pessimismo;
nel libro di Bonhoeffer dal titolo “la vita comune” ho trovato delle splendide pagine in cui parla  della comunione spirituale e di quella psichica che può caratterizzare la vita della comunità, cito: ”Comunione spirituale è la comunione di coloro che sono chiamati da Cristo; psichica è la comunione delle anime religiose; là regna il servizio fraterno ordinato, qui la disordinata brama di godimento; là l’umile sottomissione sotto il fratello, qui il superbo- umile assoggettamento del fratello ai propri desideri. Nella comunione spirituale regna solo la Parola, nella comunione psichica accanto alla Parola domina ancora l’uomo dotato di particolari forze, di esperienza, di disposizioni suggestivo- magiche…l’amore psichico ama il prossimo per se stesso, perciò cerca il contatto immediato con l’altro, non lo ama nella sua libertà, ma come uno che è legato ad esso; vuole vincere, conquistare ad ogni costo, insistere presso l’altro, vuole essere irresistibile, vuole dominare”. Ho voluto riportare questa lunga citazione in quanto la sento veramente profetica, perché irrompe prepotentemente nella nostra attualità e svela, mette a nudo quello che secondo me sono i meccanismi perversi che ormai determinano la vita politica e quotidiana del nostro paese e la maggiore perversione risiede nel fatto che tutto è presentato come valore, come bene, come strada maestra per liberarci e donarci ben- essere. Certo Bonhoeffer fa riferimento alla comunità cristiana quando parla di comunione spirituale e psichica, ma credo che si possa benissimo applicare laicamente anche alla comunità più allargata della nostra società. Le scelte governative sono contaminate da quest’orizzonte (comunione psichica), come anche le nostre relazioni e le nostre scelte. Questo pensiero, questa riflessione risuona in maniera diversa qui nel contesto dove mi trovo ora, sto vedendo altro, che è fuori dal circuito mediatico, qui la mia fede, la mia relazione con Dio perde totalmente la sua dimensione intimistica, le risposte sicure lasciano presto il posto a domande scomode. Più alleno il mio sguardo, più affino il mio ascolto, chiaramente in senso metaforico, più le parole della politica e anche quello che siamo abituati ad ascoltare in Chiesa, diventano vuote, disincarnate, staccate da qualsiasi contesto reale, anche la mia scelta di vita viene sconquassata dalle “non risposte”. Allo stesso tempo mi chiedo se non sia proprio da questa posizione scomoda, il punto dove ricominciare ad accogliere la novità del Vangelo, per cercare non da solo, ma con gli altri uomini e donne di questo tempo, di questo luogo preciso, modi nuovi di essere insieme e di rispondere alle difficoltà e alle sfide di oggi.

 In alcuni momenti mi sento un puntino perso, mescolato e uno dei tanti, sento che da questa posizione posso apprendere dagli altri e soprattutto posso apprendere ad essere disponibile nel mescolarmi e compromettere.