L'eremo Angela Paola, si trova ad Amandola, è un luogo costruito e messo a disposizione per chi voglia fare esperienza di silenzio e solitudine nella spiritualità di Charles de Foucauld. Un luogo che negli anni ha visto la presenza di diverse persone, come alcune piccole sorelle di Gesù le quali hanno trascorso periodi lunghi di preghiera e solitudine prima di riprendere la loro presenza nei diversi contesti culturali e sociali. Per chi desidera fare quest'esperienza può contattare il monastero delle Benedettine che ne garantiscono la custodia.
Personalmente sono molto legato a questo posto, e annualmente riesco a trascorrere almeno una settimana di solitudine e silenzio.
martedì 30 luglio 2013
Un eremo per non fuggire
Ferie lunghissime quest’anno, tempo dedicato soprattutto
allo studio, quindi libri, pagine che
sfoglio continuamente, fogliettini di appunti ovunque, ma fortunatamente la mia casa è piccolissima,
26 metri quadrati e questo mi agevola nella concentrazione, ho sempre amato le
piccole abitazioni; ma non c’è solo questo perché nella vita quotidiana c’è
sempre l’imprevisto, se all’imprevisto lasciamo la porta aperta. Spesso per me questo vuol dire, incontri
inaspettati, relazioni che si approfondiscono senza nessun tipo di
pianificazione, ”possibilità” che si presentano per vivere più a fondo nel mio
contesto, ed è con quest’atteggiamento di fondo che vivo questo tempo estivo,
dove con la complicità il caldo e delle giornate vissute all’aperto, ho avuto
qualche occasione in più per lasciarmi contaminare, coinvolgere e interrogare
dagli incontri. La dimensione dell’abbandono è fortissima nella mia vita di
fede, nel mio vivere e intrecciarmi con Dio, l’abbandono è sempre frutto di una
fiducia smisurata, di un intimità che non è mai intimismo, che non si vive
sempre ma sempre è possibile sperimentarla, soprattutto sento che l’abbandono
non è un punto d’arrivo, ma lo spazio, la dimensione, l’orizzonte di senso che
permette il viaggio e la ricerca, quella di Dio, che non è “mai abbastanza”
come diceva Carretto. La mia esperienza e la mia storia mi dicono comunque che
tutto questo non è mai staccato dall’incontro con l’altro, non c’è un prima o
un dopo, prima Dio poi gli uomini o viceversa, ma una contemporaneità, un “accadere
allo stesso tempo” con mille sfumature diverse
che danno la percezione di essere immersi in una pianezza di vita; per questo
sento necessario vivere, o meglio provare a vivere la dimensione ”
dell’abbandono fiducioso” anche nella
relazione con gli altri, così anche qui, come con Dio, non è mai un arrivo, ma
un camminare, uno svelarsi, un entrare in conflitto, un accogliere il
cambiamento, un ridare la giusta proporzione al mio sentire, alla mia persona e
alla mia visione della vita. Nel concreto questo si traduce prima di tutto nel “saper
stare” nell’ambiente che mi accoglie e di cui mi sento parte; nell’ aprire la mia casa sia per scambiare due
chiacchiere ma anche per provare ad insegnare l’italiano in maniera informale
ad un vicino che mi chiede questo favore; nello scambio di parole con la vicina
di casa che non nomina mai il suo lavoro, mentre mi fa mille domande sul mio; nell’ accogliere i saluti e garantire rispetto
e accoglienza, nella chiarezza degli atteggiamenti che non confonde ciò che è
malavita, sfruttamento con il malessere, la povertà e l’essere vittima e in
questo non scendere mai a compromesso, essere per contro lucidi ed attenti;
nell’entrare in relazione con quelle forze positive che possono generare vita e
cambiamento in quest’ambiente, cercando quindi di coinvolgermi con altri che in
questo quartiere provano ad essere creativi e attivi, affiancandomi a loro,
coinvolgendomi, con- promettendomi: in tutto questo l’abbandono a Dio a agli
uomini non solo è possibile, in tutto questo è soprattutto tangibile.
Intrecciarsi con gli altri |
C’è un elemento che potrebbe apparire fuori contesto, ma che
lega e rende possibile quanto espresso fin qui: è il silenzio, che è la modalità per raggiungere il punto dove si
genera il senso della mia vita e allo
stesso tempo è il “grembo” che si rende
gravido della passione di Dio e che mi spinge ad uscire verso la novità. Senza
l’esperienza e la frequentazione del silenzio penso sia difficile per me tenere
i piedi per terra, ben chiaro che l’esperienza di deserto e solitudine va
comunque sempre liberata dalle ambiguità che potrebbe generare.
Il silenzio
anch’esso, è il luogo dell’esperienza e non della conquista, in esso non si
possiede nulla, non si afferra, ma ci si inoltra, ci si spinge in avanti, ci si
avventura, ci si appassiona al cammino più che alla meta. In questi giorni sono
stato in Eremo ad Amandola, un posto che amo particolarmente e che vi consiglio
di frequentare, qui non per fuggire ma per abbandonarmi.
amedeo.angelozzi@tiscali.it |
martedì 16 luglio 2013
martedì 9 luglio 2013
pellegrinaggio a piedi 2013
Ai miei compagni pellegrini che in 10 anni mi hanno permesso
di vivere l'esperienza del "mettersi in cammino"
Al confine
Pianoro del Castelluccio |
Dopo quattro giorni intensi di cammino, dove la fatica, il
procedere a volte lento altre più deciso, dove il silenzio cedeva sovente il
posto alla confidenza e alla consegna discreta della consapevolezza dei propri
cambiamenti all’altro, eccomi di ritorno a casa, con una sensazione difficile
da descrivere: mi sento da un lato come scavato e svuotato e allo stesso tempo
rafforzato e motivato nel mio procedere quotidiano. Appena a casa non mancano
segni di particolare accoglienza che mi ricordano che qui le relazioni hanno lo
stesso ritmo del cammino/pellegrinaggio appena concluso, le due esperienze si intrecciano e si
arricchiscono reciprocamente di significato, l’una è metafora dell’altra.
Durante il cammino ricevo un sms di G. “Maestro posso venire questa sera a
studiare italiano?”, mi fa sempre sorridere quando mi chiamano maestro, spero
che non crei comunque distanza anche se al momento non sembra così, ci diamo
appuntamento al mio ritorno. Nonostante la stanchezza la pseudo lezione d’italiano
è piacevole, in particolare perché ci permette di parlare apertamente di tanti
argomenti, di conoscerci pur nella differenza d’età che non è poca, ma
probabilmente la scelta di emigrare e di affrontare quindi un progetto
migratorio da solo, ha reso G. sicuramente più adulto rispetto a dei suoi
coetanei; amerebbe continuare i suoi studi ma è qui da solo e quindi mi precisa
che il primo impegno è quello del lavoro. Ci sono altri pachistani che con i loro
genitori sono qui da molti anni, così
questo permette loro di studiare, ma lui non può. Spontaneamente il discorso
tocca spesso le nostre rispettive esperienza religiose, con un rispetto che non
ha assolutamente nulla di forzato o di convenevoli formali che in genere
inquinano l’autenticità, e questo ci permette ancora una volta di intrecciare la
curiosità di conoscere e di farsi conoscere. E’ un equilibrio per certi aspetti
non facile da vivere, perché ciò che siamo e abbiamo è naturalmente percepito da
noi stessi come bello, unico, importante, ma la reciprocità richiede di lasciar
da parte le misure del “più bello”, del “più importante”, per dare spazio alla
dinamica della complementarietà e dell’aggiungere: a quello che ho conosciuto e
vissuto fino ad ora, aggiungo quello che tu mi stai donando, per andare oltre,
non certo per arrivare ad una verità assoluta, ma per procedere con maggior passione.
Fioritura al Castelluccio |
Mi sono reso conto come non è semplice non cedere ai paragoni, percepire la
propria identità attraverso il meccanismo della differenza dall’altro è spesso
inconsapevole e quindi automatico, ma questo atteggiamento mentale e
psicologico crea semplicemente un muro, un confine di separazione netta che non
genera nessun cambiamento, non fa procedere, ma blocca, irrigidisce, rende la
propria esperienza di vita immobile, e intenta semplicemente a ripetere se
stessa, in una posizione di continua difesa e misurazione. Durante certi
incontri come quello vissuto l’altra sera con G. esiste il confine, è
chiaramente sperimentabile la differenza di prospettiva, come anche, pur nella
diversità, si possono rintracciare degli elementi comuni nell’esperienze di Dio quasi coincidenti. In
tutte queste sfumature la reciprocità ci rende capaci di abitare la linea di
confine, che diventa chiarezza, sforzo di comprensione, ascolto profondo,
decentramento da se stessi. Scopro che questa dimensione è fondamentale per me
e per la mia scelta di piccolo fratello, la mia opzione di vita contemplativa
nel cuore del quartiere e delle masse è prima di tutto il modo per vivere,
abitare e lasciarmi trasformare dalle esperienze possibili su questa “linea di
confine”.
Racconta fr. Christian (monaco in Algeria ucciso nel ’96 con
altri monaci) di un dialogo che aveva con un giovane musulmano del villaggio
dove era situato il monastero, unica presenza cristiana in un contesto
completamente musulmano:” E’ da tempo che non abbiamo più scavato il nostro
pozzo. L’immagine la usiamo quando sentiamo il bisogno di dialogare in
profondità. Una volta per scherzo, gli chiesi: -e in fondo al nostro pozzo,
cosa troveremo?. Mi ha guardato, tra il sorridente e il rattristato: - Ti poni
ancora questa domanda? Sai, quello che si trova in fondo a questo pozzo è l’acqua
di Dio”
amedeo.angelozzi@tiscali.it |
mercoledì 3 luglio 2013
Metti in circolo le idee
Grazie Amedeo
per questi spunti. A commento mi viene da proporre una preghiera di don Tonino Bello che mi è stata donata in questi giorni da una persona cara.
L'ultimo versetto, "da soli non si cammina più", mi sembra molto in sintonia con quanto ci scrivi.
Un caro saluto
Giorgio
La lampara
Signore, dai a questi miei amici e fratelli
la forza di osare di più,
la capacità di inventarsi,
la gioia di prendere il largo,
il fremito di speranze nuove.
Il bisogno di sicurezze li ha inchiodati
a un mondo vecchio...
Dai ad essi, Signore, la volontà decisa
di rompere gli ormeggi,
per liberarsi da soggezioni antiche e nuove...
Stimola in tutti, nei giovani in particolare,
una creatività più fresca, una fantasia
più liberante
e la gioia turbinosa dell'iniziativa...
Una seconda cosa ti chiedo, Signore.
Fa' provare a questa gente che lascio
l'ebbrezza di camminare insieme.
Donale una solidarietà nuova,
una comunione profonda,
una "cospirazione" tenace.
Falle sentire che per crescere insieme
non basta tirar fuori dall'armadio del passato
i ricordi splendidi e fastosi di un tempo,
ma occorre spalancare la finestra del futuro,
progettando insieme, osando insieme,
sacrificando insieme.
Da soli non si cammina più.
Don Tonino Bello
per questi spunti. A commento mi viene da proporre una preghiera di don Tonino Bello che mi è stata donata in questi giorni da una persona cara.
L'ultimo versetto, "da soli non si cammina più", mi sembra molto in sintonia con quanto ci scrivi.
Un caro saluto
Giorgio
La lampara
Signore, dai a questi miei amici e fratelli
la forza di osare di più,
la capacità di inventarsi,
la gioia di prendere il largo,
il fremito di speranze nuove.
Il bisogno di sicurezze li ha inchiodati
a un mondo vecchio...
Dai ad essi, Signore, la volontà decisa
di rompere gli ormeggi,
per liberarsi da soggezioni antiche e nuove...
Stimola in tutti, nei giovani in particolare,
una creatività più fresca, una fantasia
più liberante
e la gioia turbinosa dell'iniziativa...
Una seconda cosa ti chiedo, Signore.
Fa' provare a questa gente che lascio
l'ebbrezza di camminare insieme.
Donale una solidarietà nuova,
una comunione profonda,
una "cospirazione" tenace.
Falle sentire che per crescere insieme
non basta tirar fuori dall'armadio del passato
i ricordi splendidi e fastosi di un tempo,
ma occorre spalancare la finestra del futuro,
progettando insieme, osando insieme,
sacrificando insieme.
Da soli non si cammina più.
Don Tonino Bello
martedì 2 luglio 2013
La curiosità ci farà incontrare
Giornate splendide, finalmente il sole ha ripreso il suo
posto di lavoro e garantisce alla stagione calore e caldo secondo la norma; il
quartiere si trasforma, almeno in apparenza, grazie all’arrivo dei vacanzieri, gli accenti si mescolano, anche se
combinazioni linguistiche e geografiche sono sempre meticciate, infatti non è difficile
sentire l’inflessione calabrese sulla bocca della signore che però vive a
Milano, sono le prove concrete della nostra immigrazione interna, nessuna
cultura può veramente dirsi né pura né sedentaria.
In queste settimane mentre preparo esami e tesi per chiudere
il tutto a novembre prossimo, cerco di dare spazio anche al silenzio, ad una
sorta di eremitaggio nel cuore stesso del quartiere, sento che è importante rileggere il mio
progetto di vita e lasciarlo contaminare, provocare, arricchire e anche
modificare dal nuovo ambiente sociale e culturale, ma prima di tutto sono le
relazioni che possono veramente portare un cambiamento reale, sono esse che
mettono in luce quanto sto vivendo e possono anche dare una nuova direzione.
Più faccio silenzio, più mi sento spinto ad approfondire gli incontri, a superare
i confini, a sperimentare il decentramento, ogni volta che oso quest’esperienza
non mi sento disperso al contrario,
pongo un tassello importante alla consapevolezza della mia identità. Questa
giornata è sicuramente uno di questi tasselli: rientrando nel pomeriggio dopo
la mia corsa sulla pista ciclabile, mi si avvicina S. con altri bambini suoi
amici, sono tutti a scuola con me nei laboratori, con lui poi ho lavorato
tantissimo, mi chiede dove abito e vuole venire a trovarmi, così mi accompagna
fin sotto casa, “domani verrò, ci sei?”, è deciso nella sua richiesta, dal
canto mio ho cercato tutte le scuse per tutelarmi, ma poi alla fine mi son
detto che si tutela colui che si sente in pericolo, così alla fine mi lascio
andare, mi faccio pochi problemi, son
qui per incontrare e stare con loro, non per barricarmi, mollo le difese e
indico il mio appartamento. In serata ecco che suona il campanello di casa, con
la bocca impastata di dentifricio, provo a urlare dal bagno un “eccomi”, che
praticamente è soffocato dall’acqua del rubinetto che scorre in bocca, in certe
situazioni poi tutto diventa complicato, non trovo infatti nemmeno l’asciugamano,
“chi sarà?” classico dilemma quando proprio non aspetti nessuno. Non ricordavo di aver dato disponibilità al
ragazzo pachistano del primo piano per fare insieme un po’ di lezioni d’italiano,
e lui nonostante la stanchezza di una giornata di lavoro come muratore eccolo
alla mia porta, apprendere la lingua per lui è troppo importante per non
affrontare anche questo sacrificio. Sono contento di accoglierlo nel mio mini
alloggio di 26 metri quadrati. Mi ritrovo mio malgrado a fare lezioni di
italiano come L2, faccio soprattutto leva sul ricordo dei miei primi mesi in
Francia quando appena entrato in Fraternità dopo il lavoro nei campi, mi
ritrovavo a studiare il francese, una fatica immensa, con il cervello che mi
urlava “basta”.
E’ un incontro piacevole il nostro, sento che nasce da un
riconoscimento reciproco, che nasce da un bisogno espresso apertamente e dalla mia disponibilità poco
calcolata, credo in effetti che “ci dobbiamo riconoscere e apprezzare” per
poterci veramente incontrare. Il dialogo si è allargato a più argomenti,
probabilmente contaminato dalla curiosità reciproca, questa invece più
nascosta, meno esplicitata, ma poi come ogni cosa non detta, condiziona
comunque la relazione; così inevitabilmente siamo approdati alle nostre
rispettive religioni, quella musulmana e quella cristiana: entrambi abbiamo
posto l’uno all’altro quanto per noi è importante, senza la prepotenza della
propaganda o della difesa, “mi fa piacere
che conosci qualcosa della mia religione- mi ha detto- anch’io conosco della Bibbia”, “ sono curioso di sapere come preghi”. Ci siamo ritrovati su un punto: il silenzio nella preghiera.
Mentre chiudo questa giornata rileggo quanto ho scritto sul
mio progetto personale: “nella vita
quotidiana sarò costantemente di fronte ad ogni uomo, la capacità di uno
sguardo libero e liberante mi farà riconoscere in ognuno la presenza di Dio;
questa è per me il frutto e il senso della mia scelta di vita contemplativa e
di piena intimità con Dio, che nelle relazioni mi chiama ad essere un piccolo
fratello.”
amedeo.angelozzi@tiscali.it |
Quando l’altro nella sua diversità ti permette di
comprendere te stesso, allora veramente ci si scopre appartenenti alla stessa
razza umana, l’unica.
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