sabato 19 aprile 2014
venerdì 18 aprile 2014
Silenzio di tomba
Mi posso solo avvicinare il più possibile alla storia e al
vissuto delle persone che incontro, posso discretamente percepire quello che
sentono nel loro profondo, scoprire qualche piccolo segno, gesto o espressione
che viene usata, anche involontariamente,
per comunicare un vissuto, ma mai potrò veramente andare fono in fondo nella
condivisione di vita, in questo solo Dio è capace di mettere la sua tenda nell’intimità
più profonda di una persona, magari là dove lei stessa non è capace di entrare.
E’ certo e ne sono sempre più consapevole, che è difficile entrare nella parte
più intima di noi, per paura di incontrare ciò che non accettiamo, per timore
di non riconoscerci, ma anche perché spesso releghiamo le nostre fatiche nelle
stanze più segrete; eppure quelle stanze
Dio le abita da sempre. In queste settimane in cui tante sono state le
situazioni che ho ascoltato, incontrato e accolto, ho sentito la necessità
anche di prendere distanza da queste “stanze segrete” così cariche di
sofferenza e vissuti compromessi, di mettere una barriera che mi proteggesse
dai racconti più forti, ho appreso lentamente a salvaguardare i miei confini
senza sentirmi in colpa, ma accogliendo la mia fragilità, il mio limite,
sapendo che ciò che conta è il saper affiancare il cammino dell’altro, non l’espressione
della mia onnipotenza e onnipresenza. Nei giorni di silenzio e solitudine o
semplicemente di riposo, scopro che questa “presa di distanza” non è un
allontanarsi, ma un avvicinarsi in profondità, un lasciare vibrare il riflesso
dell’altro nella mia storia personale e questo mi trasforma e trasforma le
relazioni. C’è un silenzio di tomba nel venerdì santo, che purtroppo abbiamo
caricato spesso di espressioni barocche della sofferenza, di banalizzazioni
rituali, di messe in scena dal dubbio gusto che hanno avuto solo il demerito di
svuotare di senso il Vangelo, oggi di fronte alla complessità della vita
sociale, del disagio che sempre più si manifesta palesemente nei vissuti e nei quotidiani
di tante persone, il silenzio di tomba del Venerdì Santo si carica di un
significato ben più dirompente; Gesù
sceglie, nella coerenza più totale alla realtà di Dio Padre, di condividere
tutto con il genere umano: paga la fedeltà alle sue scelte di parte, paga il
tentativo di liberazione dell’umano negli uomini, paga il prezzo di aver
liberato l’immagine di Dio dalle mani chiuse e soffocanti dei religiosi e dei
potenti di ogni genere.
Gesù sceglie di stare nel silenzio dirompente di una
tomba e non fugge, ma resta, anzi va fino in fondo (scese agli inferi, dice il Vangelo). Il silenzio della sua tomba
oggi è necessario, come lo era ieri, e come lo sarà ancora, necessario per
provocare il nostro vissuto e per trasformare il nostro rapporto con gli altri,
fondamentale per cogliere lo “stile” di Dio che prima di tutto entra in
profondità in tutte le dimensioni del nostro esistere e del nostro modo di
stare insieme, solo questa dimensione dello scendere in profondità da senso e
potenza alla dirompente forza della risurrezione. Ho questa immagine oggi: Dio
che è capace di entrare in profondità nelle pieghe nascoste del vivere umano, a
partire da quelle più disastrate, mi prende per mano e mi dice che è possibile,
tra noi, farci visita anche in queste dimensioni, con misure differenti, con
stili differenti, Lui ci precede in questo e ci invita a seguirlo senza temere
troppo, ma abbandonandoci. Di situazioni e dimensioni umane compromesse da visitare ce ne sono molte oggi, in tutte
le latitudini, senza far distinzione di appartenenza, e se il “silenzio di
tomba” di Dio è stato preludio di vita che risponde alla morte, proviamo a fare
in modo che i nostri non siano silenzi di compromissione con la morte che
ingiustizie, prepotenze e soprusi
determinano ancora oggi.
sabato 12 aprile 2014
Quello che non mi aspettavo
“La vita esplode da un tempo di silenzio”; nel ritmo frenetico
e intenso di questi giorni, finalmente la mia giornata di deserto e di eremo
mensile, è sempre un approdo sicuro e un punto di partenza, un rimettermi in
movimento accogliendo l’evoluzione della mia storia, che in se porta qualcosa
di nomade e di “mai abbastanza”, ed è in una giornata come questa che mi
accorgo di quanta strada ho percorso e quanta ancora ne desidero percorrere, di
quanti volti e incontri è segnato il mio itinerario, che nella solitudine
abitata da Dio, diventano un segno profondo e concreto di appartenenze
reciproche. Sin dal primo momento in cui decisi di accogliere la provocazione e
lo stile della spiritualità di Nazareth, ho sempre sentito forte l’esigenza di
stare in mezzo alle differenti situazioni umane a partire da quelle più
faticose e difficili, lentamente mi sono accorto di quanta fatica nascondevo
nel mio segreto, di quante “ombre” rallentavano il mio passo, e man mano che mi
spingevo nei deserti umani, non facevo altro che incontrare il mio deserto, che
l’incontro con l’altro lentamente trasformava grazie ad una condivisione di
vita, alla pari.
L’inattività non è sempre negativa, soprattutto quando ci
permette di scovare e far venire alla luce il nostro senso di onnipotenza, il
nostro desiderio di essere salvatori “utili”; l’inattività può essere anche
quel fermarsi per lasciare spazio agli altri, al loro vissuto, alla loro storia
nascosta, alle loro potenzialità, quando si tratta di lasciare che la “nostra
salvezza” passa necessariamente nello sguardo, nelle mani, nelle parole e nei
gesti di chi, camminando affianco a noi, vive o meglio subisce, un quotidiano
faticoso. Ho bisogno di un surplus di silenzio e soprattutto d’ascolto per
poter veramente sperimentare e dire , che sono realmente capace di stare al
fianco di qualcuno, che sono capace di abitare le storie personali con
smisurato rispetto, che so essere “ospite” ed ospitato nelle parole non dette,
nei vissuti non narrati, per pudore, par fatica e anche per paura. Trovo che il
nostro è un tempo capace di far aumentare la frenesia, che “alza il volume” man
mano che si accorge del proprio disorientamento, questo tempo e questa società
sa nascondere e soffocare il dolore dei singoli, per paura di doverlo
accogliere o semplicemente riconoscere. Eppure si più imboccare una strada
differente, si può avere il coraggio di “abbassare il volume”, si più osare il
disorientamento del silenzio e del “tacere” e perdersi un po’ nella fatica dell’altro
che poi è anche la nostra…e riconoscersi.
Man mano che abito il mio quartiere,
mi trovo ogni tanto preso inaspettatamente per mano da qualcuno, il quale mi
permette di scorgere da angolazioni diverse, ciò che non è visibile sempre a
prima vista o a occhio nudo, lentamente, pazientemente, senza pretendere
troppo, mi sembra di immergermi in questa piccola parte di umanità oltre i
pregiudizi e le visioni stereotipate. Il mio deserto oggi l’ho vissuto sulla
spiagge del quartiere e rientrando mi sento chiamare dal balcone da un ragazzo
albanese qui con la sua giovane moglie, ci conosciamo: _”dai vieni mangiamo
qualcosa”, “ ho capito che sei un tipo che non ti fai problemi, così quello che c’è
mangi”; il tempo che ci siamo regalati, i confini che abbiamo superato
reciprocamente mi hanno permesso di sentire quel leggero movimento che la vita
compie quando ti trasforma dentro, quando ti arrivano le parole che hanno peso
e senso, quelle parole che danno voce ai vissuti concreti e senti, percepisci
che dietro a quelle poche parole, c’è uno spessore di vita, di sofferenza, di
ricerca di un futuro migliore, di riscatto.
Si, la vita nasce da un tempo di silenzio, Gesù è risorto a
partire dal suo andare a fondo, dal suo perdersi nelle contraddizione degli
uomini del suo tempo, ha taciuto alla fine, si è lasciato deporre nel vuoto
assordante di una tomba, si è lasciato stravolgere e disorientare dal prezzo
che si deve pagare alla propria coerenza, e dall’aver abitato luoghi e
situazioni scomode, è il silenzio del sabato di Pasqua, vento leggero che
arriva in profondità e muove la vita inaspettatamente.
giovedì 3 aprile 2014
Silenzio contemplativo
Uno dei tratti fondamentali della spiritualità di Nazareth è la centralità del silenzio vissuto nel quotidiano e nei contesti sociali ed umani i più differenti, il silenzio per essere nel cuore di Dio e degli uomini senza nessuna distinzione nè gerarchizzazione d'importanza. Il silenzio va vissuto, accolto, sperimentato, coltivato, non per fuggire nè per crearsi un rifugio sicuro, quanto per assaporare nella pienezza il proprio essere in questo mondo e in relazione con gli altri. Questo tempo gratuito della Quaresima potrebbe essere una buona opportunità non per coltivare o peggio ancora rafforzare, un atteggiamento di sacrificio e privazione, ma per entrare in quella dimensione della gratuità e della profondità che il silenzio contemplativo più agevolare nella nostra vita, e senza nessuna pretesa possiamo così trovarci accanto gli uni gli altri in un'appartenenza responsabile e accogliente.
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