venerdì 29 novembre 2013

Non ci si incontra per caso

Ricordo benissimo il periodo della mia vita durante il quale ho incrociato gli scritti di Charles de Foucauld, intorno al 1992, avevo 23 anni, quello che stavo cercando era la possibilità di vivere il Vangelo non dentro qualche istituzione particolare ( in quel periodo ero in seminario) ma in mezzo alle situazioni di vita le più concrete. A 23 anni non si ha l’abitudine di cogliere ed apprezzare il valore delle sfumature, si è spesso preda di un’energia tale che si è sicuri di poter cambiare il mondo, sono contento comunque di averla sperimentata quella frenesia, quella presunzione, quel desiderio profondo che forse celava anche altro. Mi ritengo fortunato perché non ho trovato mai nessuno che abbia screditato o disinnescato quell’entusiasmo, al contrario, ho avuto la fortuna di avere accanto adulti che hanno saputo pormi le domande giuste, quelle scomode, quelle che ti mettono in crisi con il chiaro intento di spingerti oltre e non bloccarti. Charles de Foucauld arrivava nella mia vita in un momento propizio, o forse ero in una fase del mio cammino che avevo le antenne giuste per sintonizzarmi e captare le sue intuizioni. Mi sono imbattuto nei suo scritti, letti voracemente: tremendi, un linguaggio intriso di devozioni tipiche di fine ottocento, una serie di ragionamenti e meditazioni a volte un po’ contorti, eppure nonostante l’enorme distanza tra me e il suo stile letterario, era come se intuissi che dovevo andare oltre, trapelava qualcosa di diverso tra le righe, mi risuonava dentro quella ricerca spasmodica di intimità e confidenza con il Dio che aveva incontrato da adulto dopo anni di distacco, mi risuonava dentro perché era ciò che stavo cercando: non una riflessione razionale su Dio, ma l’esperienza di Dio. Per lui tutto questo si manifestava con una vita molto impastava tra la gente, un equilibrio difficile e acrobatico per certi aspetti, tra ore di silenzio e visite continue di gente che bussavano alla porte del suo eremo, un equilibrio che forse non ha mai risolto e che la sua morte violenta ha solo interrotto, ma non riconciliato. Con il tempo ho appreso che quando un’esperienza di vita ti risuona dentro, ti colpisce, prende la tua attenzione, ha sempre a che fare con parti profonde di te stesso, tocca tasti dolenti, che chiedono di essere messi alla luce e di trovare una risposta; grazie alla spiritualità di nazareth che man mano andavo conoscendo e approfondendo, ho fatto l’unica scelta possibile e congruente con quello che sentivo in quel momento: fermarmi e lasciare il seminario, senza altra prospettiva concreta davanti a me. Non si trattava di lasciare un posto sicuro per un altro ancora più sicuro, certo ero sempre più orientato verso i piccoli fratelli, ma di concreto e deciso non c’era nulla.

 In questo mi sono sentito in buona compagnia con la storia di Charles de Fuocauld: non un identità, un ruolo da indossare, ma una scelta da compiere a partire dalla propria storia e dalla propria identità. E’ stato fondamentale non ritrovare più il volto di Dio, perché non lo potevo più possedere, era da incontrare di nuovo; è stato salutare ripartire dal concreto della mia vita, nuda e cruda come del resto è il quotidiano di ogni uomo e donna di questo mondo, e non ripartire da idealismi disincarnati pericolosamente preda di proiezioni interne. Il deserto è stato presente materialmente nella vita di fratel Charles, se non altro perché ha trascorso molti anni nel deserto algerino, ma il deserto è stata la cifra essenziale della sua esperienza di Dio e degli uomini, non certo il luogo della privazione, della penitenza, ma il luogo del nulla e dell’assenza, là dove “ ha origine ogni esistenza”, parafrasando Arturo Paoli. L’incontro con la sua storia, l’esperienza successiva con la fraternità dei piccoli fratelli del Vangelo, hanno profondamento segnato la mia vita, non mi hanno mai messo al riparo da incertezze o crisi, al contrario, mi  hanno radicato sull’importanza del vivere il silenzio e del vivere tra le masse relazioni di vicinanza e prossimità: il silenzio, per svuotare le mie ‘mani’, allentare le mie resistenze e rigidità, e per questo creare lo spazio favorevole all’incontro; le masse per mettere sempre i piedi a terra, per non idealizzare e disincarnare, per ritrovare l’appartenenza, per scoprire la forza della reciprocità. Dentro queste dinamiche, ritrovo l’annuncio del Vangelo, che non vuol essere solo annunciato da me, ma che mi viene annunciato dai miei vicini, dalle storie che incrocio e che mi vengono consegnate attraverso confidenze, quel Vangelo che è come un seme lanciato, che cresce e matura senza che nessuno si accorga, e per questo, nonostante tutto ( anche noi Chiesa), porta il Suo frutto, oltre i nostri limitati orizzonti.


martedì 26 novembre 2013

Fraternità fuori luogo


Domenica primo dicembre in occasione dell'anniversario di Charles de Foucauld, ci troveremo nel salone parrocchiale della chiesa della Faleriense, per un momento di fraternità e condivisione, lasciandoci ancora una volta provocare dalla spiritualità di Nazareth, l'appuntamento è a partire dalle ore 16.00 fino alle 18.00, ed è inserito nell'itinerario "spazi di fraternità". Per maggiori informazioni potete contattarmi amedeo.angelozzi@tiscali.it.

Vi aspettiamo.

mercoledì 13 novembre 2013

Piove senti come piove

Rientro in casa dopo una lunga giornata di lavoro e incontri, la mattinata è impegnata con dei ragazzi di una scuola media, nel pomeriggio incontro un gruppo di anziani per un progetto sui ricordi e con questo secondo impegno mi finisco le corde vocali, per farmi comprendere è necessario parlare a dei decibel decisamente sostenuti; termino il pomeriggio con un incontro in comunità d’accoglienza, stanco ma soddisfatto rientro a casa. La pioggia intensa di questi giorni ha creato molti problemi nel quartiere, grandi pozze d’acqua dappertutto, mi metto alla ricerca del posteggio sicuro, che vuol dire posizionarsi in modo tale che nessun albero o lampione precipiti esattamente sulla mia auto, sarà una fissazione ma le precauzioni non sono da sottovalutare, così cambio almeno quattro posti in pochi metri quadrati di parcheggio, mi auguro solo che nessun vicino mi abbia notato, anche perché ormai la mia auto è riconoscibile. Anche in una giornata così piovosa e faticosa dal punto di vista lavorativo, arriva un raggio di sole, caldo e diretto.

Il mio amico pachistano mi chiede un piacere, il suo italiano diventa pessimo quando deve parlare con un autorità o chiedere informazioni, è come se di colpo dimenticasse tutto, allora mi chiede di aiutarlo; ho uno scampolo di energia e quindi mi rendo disponibile. Mi accorgo in effetti che è preoccupato di qualcosa, è un po’ in ansia. Se posso, perché non rendermi disponibile?. Senza fare il super eroe ci si può affiancare con semplicità, e così cerco di fare. Al di là della questione specifica quello che mi colpisce è la confidenza che spontaneamente si crea mentre siamo in auto, e con molta naturalezza e come tra amici di vecchia data, incomincia a raccontarmi la sua vita, le difficoltà vissute nella sua esperienza di emigrato. Mi sembra di percepire altre voci, situazioni, esperienze, che ho ascoltato e  che si consumano nell’anonimato più assoluto, spesso sono affianco a noi, parallele ai nostri quotidiani, ma assolutamente invisibili eppure profondamente dolorose e piene di coraggio. Non distinguo assolutamente se queste storie appartengono ad un immigrato o ad un italiano, di fronte a chi vive con fatica la propria esistenza, c’è solo l’umano da scorgere e rispettare. Ci sono parole che non posso dimenticare questa sera, che mi aiutano a comprendere in profondità la mia storia, la mia scelta e soprattutto mi fanno toccare il valore immenso della prossimità; questa persona si spende per gli altri senza misura, perché qualcuno ha fatto con lui la stessa cosa quando era veramente nel bisogno, non ha altro criterio per giustificare la sua generosità, mi dice:_ se preghi è una cosa tra te e Dio, se aiuti qualcuno è una cosa che riguarda te, l’altro e Dio. Mi viene in mente il versetto del Vangelo “ Chi aiuta uno di questi piccoli è come se lo facesse a me”, condivido questo pensiero con lui, mi guarda e mi dice:_ è vero. Quando torniamo all’uomo e alla sua dignità, inevitabilmente siamo nel cuore di Dio, e ci siamo insieme, musulmano e cristiano, come questa sera. Questa persona è una vera provvidenza per me, perché grazie al suo impegno ho trovato casa a Lido Tre Archi e così ho potuto iniziare questo nuovo inserimento, è stata la mano di Dio, dopo un anno e con la confidenza e la libertà che abbiamo ora posso esplicitarlo con naturalezza; “quando ti vedo e posso dirti qualcosa mi sento in pace, perché sento di potermi fidare”, questo mi risponde.

Buona notte Signore, per oggi ho il cuore sazio.