Sono anni che cerco nel mio quotidiano di curare,
accogliere, rendere attivo il “silenzio” come cassa di risonanza della vita e
degli incontri; per me, nel tempo, è diventato come lo spazio fecondo che
accoglie e genera, una dimensione radicata lentamente e divenuta parte naturale
della mio essere, riconosciuta come presente sin dall'inizio del mio esistere e
non come luogo ricevuto dall'esterno o creato artificialmente; il silenzio è
diventato sempre di più un talamo nuziale, dove la carnalità, il contatto, si
nutre, si lascia trasformare, rigenerare, superare dalla dimensione dall'esperienza di intimità, che non è fame vorace, ma esperienza sempre possibile quando il “voler
possedere” cede definitivamente il posto al “lasciarsi ricevere” e “saper
ricevere”. Il silenzio è questo luogo in
me, con la sua fragilità, la sua delicatezza, la sua necessità di cura, la sua attrazione
e la sua passione.
Il silenzio è anche il custode e la forma della mia scelta di
celibato, a condizione che in esso si realizzi, sperimenti un “essere coniugato”.
La mia chitarra se non fosse passata di mano in mano, se fosse restata
gelosamente protetta e custodita al riparo da tutto e tutti, se non fosse stata
toccata da mani differenti che l’hanno fatta “vibrare”, beh! Sicuramente oggi
non aveva quella vistosa riparazione e il suo suono sarebbe stato differente:
pulito, chiaro, affinato e voce di un solo io, quello del suo unico e geloso
proprietario. E’ l’illusione subdola e convincente dell’essere “perfetto”, in
cui i risultati sono sempre splendidi, ma è quella perfezione che a lungo
risulta “innaturale”. A me sembra che questo sia oggi, lo spartito che va per
la maggiore, che è capace di fare tutte le melodie, con una sola nota: l’IO. A
dirla tutta, a me questo tipo di musica che va per la maggiore…non mi piace.
Meglio stonare, avere un suono poco limpido, affaticarsi nell'armonizzarsi con altri, ed affinare l’orecchio nel cercare quell'accordatura che non arriva mai, ma è sempre possibile; meglio il NOI faticosamente
raggiunto da un' orchestra, in cui la mia chitarra ammaccata, zitta zitta
potrebbe anche suonare, che l’IO solista che a forza di distinguersi non sa più
godersi una barretta tra pari a fine concerto .
E grazie soprattutto a quel discreto Liutaio, artigiano
rigoroso, paziente, delicato, che non vede i pezzi rotti e inutili, ma genera
nuove possibilità…le sue mani hanno reso, la mia chitarra ferita, ancora capace
di suonare un NOI.