C’è un intimità profonda nel caldo del silenzio, un
abbraccio leggero nella solitudine abitata da Dio, uno sguardo che si perde per
ritrovarsi nei mille rivoli di esperienze passate che segnano l’ attraversamento
dell’oggi. Si aprono orizzonti inaspettati quando l’abbandono è il desiderio
profondo di non voler trattenere nulla di questa vita come se fosse una
proprietà provata, ci si disorienta nel
pensare che la libertà è nel perdersi nell'immensa fiducia della Sua presenza. Sei
il Dio del soffio leggero e deciso, che spingi nel mare aperto delle domande,
della ricerca profonda, della meraviglia e della curiosità; sei un soffio
leggero che non squarcia le vele, le accarezza con la forza di chi sostiene e
non determina la direzione, ma l’asseconda.
Ti ho sentito e ancora ti sento, una carezza leggera, uno
sguardo che non trattiene; non mi hai messo in pace, mai, mi hai piuttosto scomodato
per la pace, non mi hai aggiustato la vita, l’hai sempre scompigliata,
scompaginata, mi hai fatto abitare le domande e in esse ti sei affaticato con
me. Ti ho visto anche come stoppino fumigante, spento di colpo, ti ho sbattuto
la porta in faccia e ti ho dato il ben servito nel tempo del mio ateismo, ti ho
sentito un vuoto, una fantasia infantile, una sgradevole consapevolezza del
nulla. Eri nostalgia che non mi attraeva
più. A gran fatica ho scelto di non muovermi, di restare lì dove mi trovavo. Allentata
la presa e smesso di manipolare come un artigiano l’immagine di Dio, mi sono
ritrovato solo in attesa. Di attesa in attesa ti ho ritrovato. “Io non sono
quello che credi”, mi hai sussurrato e il deserto da arido l’ho sentito un
passaggio, un esodo, un lasciare per poter entrare di nuovo in relazione.
Dovevo ereditare il nome “Amadio” che poi fu addolcito con
un più accettabile Amedeo, chissà se chi per la prima volta mi ha sussurrato
quel nome immaginava di indicare un passo. Sia benedetta.