mercoledì 29 gennaio 2014
sabato 25 gennaio 2014
Un bambino vi renderà adulti
Come un brano musicale che mescola ritmi lenti ad altri più
veloci e incalzanti, ecco che arrivano i mesi dell’anno in cui gli impegni nelle
scuole richiedono un buon livello di energia e resistenza ma non solo fisica,
in quanto sempre più spesso vengo contattato per poter intervenire sulle
relazioni che i ragazzi vivono all’interno dei propri contesti quotidiani, sia
scolastici che extra. Noi adulti in queste situazioni, focalizziamo tutta la
nostra preoccupazione, le nostre ansie, le nostre incertezze sui ragazzi, come
se all’improvviso abbiamo scoperto che oggi gli adolescenti o i fanciulli non
sono più così ingenui e spensierati come lo erano una volta; di colpo ci
troviamo come adulti ad affrontare disagi, atteggiamenti fuori le righe,
ribellioni che ci sembrano fuori misura e inediti. Certo la nostra società è
cambiata e lo fa costantemente e ad una velocità che lascia in ognuno e nella
collettività, quella sensazione che tutto ci sfugge di mano, che ormai nulla si
può controllare, al massimo si può solo subire; chi lavora nelle scuole e nel
mondo giovanile sente che arriva forte una domanda di senso da parte dei giovani,
ma direi la domanda di essere accolti e ascoltati, riconosciuti nella sfida
della propria crescita. Come si può trovare fiducia in sé stessi e nelle
relazioni, se non si sperimenta il dialogo con chi francamente e liberamente
resta in piedi davanti a te e non si spaventa della tua fragilità, come si può riconoscere
nelle proprie crisi il naturale passaggio verso un orizzonte di senso e di
maturità, se non incontriamo mai sul nostro cammino adulti che hanno già
sperimentato la stessa fatica e per questo sanno accoglierci, vibrare con noi e
spronarci ad avere uno sguardo più lungo e non fisso sul proprio ombelico? Mi
chiedo se i ragazzi e fanciulli di oggi non sono orfani di questi adulti, se
non trovano sempre con maggior frequenza accanto a se adolescenti camuffati da
adulti, impauriti e disorientati quanto loro, titubanti a chiamare le cose con
il loro nome, intenti spesso a dare un immagine di sé accettabile dai canoni in
voga, più che ad accogliere le proprie fragilità dopo averle riconosciute.
Nelle relazioni ci sono sempre delle reciprocità, si è specchio gli uni degli
altri, e ho appreso a mie spese quanto è necessario accogliere il riflesso di
me che passa attraverso l’altro, la parte di me che non accetto ma che nel
conflitto si evidenzia con colori e forme ben definite e vivaci, solo
stupidamente posso dire di non vederle; alla stessa maniera allora le
difficoltà, le fatiche, la ribellione e spesso anche la violenza degli
adolescenti, penso non sono altro che il riflesso di quella parte di noi adulti
che non abbiamo più accolto, quella responsabilità che abbiamo da tempo
lasciato da parte e non assunto, semplicemente perché “ci costa fatica”.
Lasciarmi pormi le domande dall’altro, lasciarmi guardare,
toccare, scomodare, mettere in crisi, lasciare che l’altro, anche se
adolescente o fanciullo, mi metta a
nudo, renda precario il mio pensiero e faccia tremare le mura di difesa del
castello di sabbia che mi sono costruito, questo credo sia la responsabilità da
assumerci oggi come adulti, responsabilità che possa trasformare la fatica del
nostro tempo in recupero della vita e del ben-essere insieme. Dialogando e
confrontandomi con alcune amiche che sono insegnanti, ho scoperto la potenza
creatrice che può generare questa senso della responsabilità, di fronte a delle
situazioni di forte disagio di alcuni alunni, di fronte alla maniera maldestra
e confusa, spesso anche nascosta che gli adolescenti usano per chiedere aiuto,
queste insegnanti, ma prima ancora queste donne, hanno scelto di avventurarsi
oltre ciò che vedevano, e di scendere nelle profondità di una caverna, dove si
era rifugiato il disorientamento di un adolescente e lì sussurrare: “sono qui e
non ho paura, in questo tuo luogo segreto posso starci, non scappo”, in questo
atteggiamento reale e non costruito, sentito e non dettato dal ruolo, incarnato
e non scimmiottato, ho visto in questa amiche la struttura di un adulto di
senso. C’è solo una maniera per compiere questa “discesa”, averla sperimentata
in sé, aver sentito quella ventata di
aria fresca che irrompe nelle stanze serrate dalla nostra paura, quando
facciamo verità in noi, quando, lasciando lo sforzo del “dover essere”, accogliamo semplicemente quello che siamo.
“Quando dico la verità mi sento libero. Mentre prima quando
dicevo le bugie, sentivo che facevo qualcosa di male e stavo male, allora ho
deciso che era meglio dire la verità”, sono le parole che ieri un bambino di quarta elementare ha detto,
mentre insieme si cercava di risolvere una questione di contrasto tra loro; “la
verità vi renderà liberi” scrivono i Vangeli, e questo è anche l’invito di Dio
che silenziosamente è già sceso ed abita nelle grotte segrete della nostra
persona e come “vento leggero” sussurra anche a noi “sono qui”.
venerdì 10 gennaio 2014
Per fortuna la crisi c'è
“Conoscersi, osare, decidere” questo il titolo di un
minuscolo libricino, a firma di Luciano Manicardi, che ho trovato nella
libreria della fraternità di Bose ad Assisi, chiaramente la mia attenzione è
stata subito rapita da queste tre parole che risuonavano in maniera forte in me
con un eco profondo, insieme al piacere di aver trovato le parole giuste per
esprimere i pensieri che sono miei compagni di viaggio da un po’ di settimane.
Agisco d’istinto e quasi dò retta al mio desiderio di leggerlo all’istante, lì
in piedi, tra altri libri, marmellate e oggetti di artigianato prodotti dai
monaci; è la fretta di sempre, quella che rende inutile ogni buon proposito di
prendersi sul serio e di dare ascolto in profondità alle domande che emergono e
vengono fecondate dal proprio quotidiano, è quella fretta frutto dell’impazienza
e del non saper accettare la fatica delle parti scomode di sé, del conoscersi,
dell’osare e del decidere. La fretta non è il modo migliore per rispondere
seriamente alle questioni più profonde che il nostro vivere e le nostre scelte
inevitabilmente ci propongono, credo e ne sono sempre più certo, che vale la
pena saper restare dentro la propria fatica e non cercare necessariamente il “paradiso
perduto”, perché di perduto non c’è proprio nulla: ascoltando senza timore e in
autenticità le nostre fatiche, si scopre che in ogni crisi c’è un passo in
avanti da compiere, e una possibilità di svelarsi a sé stessi che non può che
generare vita.
Non è sempre facile per me accogliere l’evoluzione della mia
storia personale e della mia scelta, soprattutto vivendo da solo in un contesto
fortemente popolare, spesso mi trovo di fronte a situazioni di fatica, di
sofferenza che inevitabilmente mi toccano, del resto sia il mio lavoro che il
quotidiano non mi permettono assolutamente di camminare con gli occhi
completamente chiusi; certo possiamo ovunque e in ogni momento farci scivolare
tutto addosso, chiudere la porta della nostra coscienza e con motivazioni anche
serie e incontestabili, evitare che il nostro spazio personale risenta della
storia e delle situazioni degli altri. Credo che questo sia possibile e anche
lecito, ma si tratta più che altro di una questione di scelta personale, e ogni
scelta ben consapevole porta con sé mille sfumature di ricchezza e di fatica.
Io ho scelto di essere presente nei contesti quotidiani più popolari e di
povertà, perché la storia delle donne e degli uomini con cui condivido tempo,
spazio e quotidiano mi interessa, l’appartenenza a questa umanità e la
condivisione di vita trova il suo significato più profondo nella reciprocità,
scoperta come elemento fondante del mio essere creatura ed essenzialmente creatura
sociale. Probabilmente nelle ultime settimane ho fatto risuonare in me tante “parole”,
tanti “atteggiamenti”, tante “storie” appartenenti ad altri, ed esse non hanno
fatto altro che diventare specchio delle
mie parole, dei mie atteggiamenti e della mia storia. Divenendo specchio gli
uni degli altri, diventiamo anche “possibilità
e provocazione”, gli uni per gli altri. Spesso sono le persone con cui entriamo
in relazione a mettere in luce parti nascoste di noi, protette per paure che
noi stessi per primi ne prendiamo atto. Scopro nel mio caso specifico, un
elemento in più che fa da cassa di risonanza: non dover far nulla in questo
contesto. Il “fare” o l’attivismo spesso piò diventare il modo migliore e nobile
per nascondere le insicurezze, e come scrive Manicardi, “la relazione con l’altro, così come la
comunicazione, è un rischio. L’altro mi mette in crisi, in discussione, la
tentazione costante è di fuggire questo rischio con l’attivismo”. Anche se ho
scelto la vita di Nazareth che mi pone nel cuore del quotidiano in silenzio e
come presenza discreta, la nostalgia del fare ed essere riconosciuto per il
saper fare, è sempre presente e viva.
Non si tratta di rinunciare alla responsabilità di operare per
il cambiamento, al contrario più sono presente qui, più mi accorgo di quanto
sarebbe importante agire per far emergere risorse e possibilità di cambiamento,
e in questa direzione mi sto muovendo, sento di volermi compromettere, ma ciò
che scopro come questione di fondo e di senso, è il motivo per cui ci si mette
in azione: per sé, per gli altri o insieme agli altri?. Per me questa sera le
domande restano aperte, e non ho nessuna intenzione di chiuderle, così come
resta forte la provocazione del mio oggi: restare da solo qui o sperare in una
vita comune per potare avanti altre possibilità?. C’è ad ogni modo una piccola
certezza: il valore del silenzio; questo passaggio, questo tempo di crisi trova
nel silenzio la sua stanza nuziale, il luogo fisico al riparo dalle parole inutili, il tempo impercettibile dove
avviene la fecondazione di un nuovo passaggio, di una nuova decisione , di un
nuovo abbandono.
giovedì 2 gennaio 2014
Spazi di fraternità
Costruire relazioni nuove, appartenenze fondate sulla responsabilità reciproca e sul senso di comunità, questa la sfida che ancora oggi il Vangelo ci propone, lasciando a noi la creatività nel ricercare nuove modalità l'attuazione del messaggio del Regno. Si tratta della sfida di "abitare i luoghi" del vivere sociale, le periferie, come anche i contesti del lavoro, del tempo libero, ma anche delle nostre comunità ecclesiali o altre forme aggregative tanto in crisi oggi.
Con Massimiliano Colombi cercheremo di riflettere su come affrontare questa sfida e riflettere su una dimensione della spiritualità di nazareth così importante come il vivere la quotidianità e la scelta delle periferie.
Spazi di Fraternità è uno spazio appunto d'incontro e di condivisione per dar senso e sapore a quelle che sono le nostre scelte.
Per informazioni potete contattarmi all'indirizzo e-mail amedeo.angelozzi@tiscali.it
Con Massimiliano Colombi cercheremo di riflettere su come affrontare questa sfida e riflettere su una dimensione della spiritualità di nazareth così importante come il vivere la quotidianità e la scelta delle periferie.
Spazi di Fraternità è uno spazio appunto d'incontro e di condivisione per dar senso e sapore a quelle che sono le nostre scelte.
Per informazioni potete contattarmi all'indirizzo e-mail amedeo.angelozzi@tiscali.it
Iscriviti a:
Post (Atom)