Approfitto della pausa nel pomeriggio per sistemare alcune
questioni pratiche della vita quotidiana e poi dritto in casa, il sole quasi primaverile
di questa giornata e il suo modo di illuminare le due stanze che ho preso in
affitto, mi spinge a godere di una sensazione particolare, fatta di un misto di
calma e calore, ho bisogno di entrambe per questo non me le lascio sfuggire; le
giornate che lentamente si ubriacano di luce, non sono percepite
immediatamente, il crescere del giorno è un movimento talmente lento e
nascosto, che richiede una sosta prolungata, una pausa di sospensione e una
disposizione alla meraviglia, per consapevolizzare che la notte cede il passo
al giorno. I movimenti profondi di un cambiamento non avvengono se non nel
progredire lento e in quel “non tangibile” o “non afferrabile”, che sono in netta
contraddizione con la legge del “tutto e subito” che oggi qualifica l’esistenza
di molti. Mi piace che questo mercoledì delle ceneri si apra con questa
percezione che mi fa pensare a quella voce di un vento leggero, che il profeta
Elia ha colto come la qualità della presenza di Dio. In un tempo dove tutti
scagliano su chiunque parole pesanti e spesso violente prescindendo da
qualsiasi ascolto o riflessione, un tempo della radicalizzazione dei pregiudizi,
delle posizioni individualiste, delle generalizzazioni assunte a dati scientifici,
delle verità affermate a forza di slogan e opinioni scambiate per pensieri
generati dalla riflessione attenta e articolata. Questo mi sembra il tempo
degli individui che si ritrovano nella massa delle persone giuste, mai dalla
parte sbagliata.
La luce cresce lentamente in questi giorni e non fa rumore,
la sua abbondanza non è calcolata, te ne puoi accorgere quando è da tempo oltre
misura, dilata il giorno e coinvolge la vita, non si aspetta riconoscenza perché
è un dono. Mi faccio accompagnare da questo ciclo della natura e in esso mi
sembra di scorgere la narrazione dell’essere di Dio; nella mia storia personale
molte volte ho dovuto fare i conti con quella prepotenza di volermi a tutti i
costi dalla parte del giusto, mi sono spesso arroccato e irrigidito, alla fine
imprigionato, nel percepire la fragilità e il limite come mancanza e non come
opportunità, come parte di me e della mia storia; anche nelle relazioni ho
spesso sbilanciato la mia posizione verso lo sforzo del sentirmi perfetto, nel
tendere ad una coerenza che assomigliava più ad una corazza che ad un continuo
tentativo di far baciare pensieri e azioni concrete.
Poi lentamente l’incontro
che non ti aspetti: la fragilità di Dio,
il limite del suo silenzio, il vuoto del suo grembo, il deserto del suo
continuo esodo, mi hanno lentamente preso per mano e condotto nel cuore della
mia umanità. Oggi sento il bisogno di appartenere, la forza del legame, la
possibilità che mi offre una relazione, la fatica che genera un incontro, il
limite che la reciprocità mi sbatte in faccia e la vita che si genera dallo
stesso limite non per contrapposizione ma
per interazione. E’ un continuo sentirmi preso per mano, con quella delicatezza
che è simile al giorno che aumenta lentamente e con decisione, con il passo di
chi non ti impone la meta, ma immerge il tuo cammino in un “esserci” che cura e
che apre al possibile.