mercoledì 1 marzo 2017

Lui è dove non lo aspetti

Approfitto della pausa nel pomeriggio per sistemare alcune questioni pratiche della vita quotidiana e poi dritto in casa, il sole quasi primaverile di questa giornata e il suo modo di illuminare le due stanze che ho preso in affitto, mi spinge a godere di una sensazione particolare, fatta di un misto di calma e calore, ho bisogno di entrambe per questo non me le lascio sfuggire; le giornate che lentamente si ubriacano di luce, non sono percepite immediatamente, il crescere del giorno è un movimento talmente lento e nascosto, che richiede una sosta prolungata, una pausa di sospensione e una disposizione alla meraviglia, per consapevolizzare che la notte cede il passo al giorno. I movimenti profondi di un cambiamento non avvengono se non nel progredire lento e in quel “non tangibile” o  “non afferrabile”, che sono in netta contraddizione con la legge del “tutto e subito” che oggi qualifica l’esistenza di molti. Mi piace che questo mercoledì delle ceneri si apra con questa percezione che mi fa pensare a quella voce di un vento leggero, che il profeta Elia ha colto come la qualità della presenza di Dio. In un tempo dove tutti scagliano su chiunque parole pesanti e spesso violente prescindendo da qualsiasi ascolto o riflessione, un tempo della radicalizzazione dei pregiudizi, delle posizioni individualiste, delle generalizzazioni assunte a dati scientifici, delle verità affermate a forza di slogan e opinioni scambiate per pensieri generati dalla riflessione attenta e articolata. Questo mi sembra il tempo degli individui che si ritrovano nella massa delle persone giuste, mai dalla parte sbagliata.

La luce cresce lentamente in questi giorni e non fa rumore, la sua abbondanza non è calcolata, te ne puoi accorgere quando è da tempo oltre misura, dilata il giorno e coinvolge la vita, non si aspetta riconoscenza perché è un dono. Mi faccio accompagnare da questo ciclo della natura e in esso mi sembra di scorgere la narrazione dell’essere di Dio; nella mia storia personale molte volte ho dovuto fare i conti con quella prepotenza di volermi a tutti i costi dalla parte del giusto, mi sono spesso arroccato e irrigidito, alla fine imprigionato, nel percepire la fragilità e il limite come mancanza e non come opportunità, come parte di me e della mia storia; anche nelle relazioni ho spesso sbilanciato la mia posizione verso lo sforzo del sentirmi perfetto, nel tendere ad una coerenza che assomigliava più ad una corazza che ad un continuo tentativo di far baciare pensieri e azioni concrete.
Poi lentamente l’incontro che non ti aspetti:  la fragilità di Dio, il limite del suo silenzio, il vuoto del suo grembo, il deserto del suo continuo esodo, mi hanno lentamente preso per mano e condotto nel cuore della mia umanità. Oggi sento il bisogno di appartenere, la forza del legame, la possibilità che mi offre una relazione, la fatica che genera un incontro, il limite che la reciprocità mi sbatte in faccia e la vita che si genera dallo stesso limite non per  contrapposizione ma per interazione. E’ un continuo sentirmi preso per mano, con quella delicatezza che è simile al giorno che aumenta lentamente e con decisione, con il passo di chi non ti impone la meta, ma immerge il tuo cammino in un “esserci” che cura e che apre al possibile.