martedì 5 maggio 2015

Solitudine disabitata

Sono diverse settimane che mi serpeggia dentro uno strano senso di solitudine, quella dal sapore amaro, dalla sensazione di mancanza, dal colere un po’ grigiastro, non mi è mai successo di sentirla così viva e di percepirla appartenente al mio quotidiano. Da quando ho scoperto e scelto la vita di Nazareth non ho mai smesso di cercare e ritagliare per me momenti di deserto, di solitudine, salvaguardando il più possibile quell’ascolto interiore che mi ha permesso di andare fino in fondo nella mia vita, di cogliere le sfumature delle scelte che di volta in volta desideravo assumere; addentrarsi nel deserto interiore non è mai troppo facile, soprattutto quando si ha poca consapevolezza di sé, e quando ci si è ritagliati addosso un immagine tutto sommato accettabile, anche se non pienamente aderente alla propria realtà, mettersi in cammino in questo deserto può sembrare un atto di coraggio, un avventura pericolosa, una sfida alla propria vulnerabilità, sicuramente è tutto questo, ma per me principalmente è sempre stata la scelta di “non barare con me stesso”, a volte e in certi passaggi della mia vita il prezzo è stato molto alto, ma ne è valsa la pena, sempre.

Camminare sulla sabbia rende il passo appesantito, avanzare richiede il doppio della forza per contrastare quello sprofondare continuo, man mano che si avanza il corpo si getta sempre più in avanti, quasi che gettando il proprio peso più in là i passi si liberano meglio dall’invischiamento dei granelli; l’esperienza del procedere sulla sabbia credo che descriva bene l’esperienza stessa del deserto interiore. Sarà anche una fatica immane, un procedere con un dispendio di energia eccessiva, potrebbe anche rallentare la conquista della meta, non importa, camminare nel proprio deserto interiore ti porta al cuore delle tue melodie intime, stonate o armoniche che siano e questo, è l’ascolto che ripaga ogni fatica.
Questi ritagli di solitudine sono stati sempre più centrali nel mio cammino, essenziali in quanto esperienza di intimità profonda, sempre possibile, come sempre possibile è stata la certezza di cogliere la mia solitudine abitata da tempo e con estrema delicatezza e forza, da Lui.
Non pretendere, ma accogliere; non forzare, ma lasciar fluire; non condizionare, ma fidarsi; non manipolare, ma abbandonarsi: un continuo cambio di prospettiva, questo ha generato il Suo abitarmi.


Perdendo di vista questo modo di abitare la storia umana ho trovato le tinte scure della solitudine disabitata…il mio io ha tolto il posto ad un Tu.