lunedì 22 dicembre 2014

Metti le tue scarpe e buon viaggio

Questo tempo ha bisogno di ritmi lenti: può continuare a suonare le sue melodie, o generarne di nuove, solo se rispetta le pause e ne apprezza i silenzi, se sa gustare prima di ogni gesto creativo, il piacere dell’ascolto, questo nostro tempo, credo, ha bisogno di riscoprire il valore del saper far spazio all'altro.
Un anno intenso quello che ho vissuto, fatto non di eventi speciali, di incontri che stravolgono, né di scoperte disarmanti, è stato piuttosto un tempo vissuto e gustato in profondità nel giorno dopo giorno, in cui l’altro, che sempre ha un nome e cognome, un volto preciso e una storia che si lascia conoscere, è entrato nella mia vita e ha lasciato una domanda, un dubbio, ha motivato un cambiamento, favorito una scelta. Mi sono scoperto lentamente “presente” in questa realtà, appartenente e straniero allo stesso tempo, mi sono ritrovato osservato, qualche volta cercato, spesso incontrato, e ad ogni occasione ho sperimentato in me il guizzo della vita e la passione per una umanità che fuori dai clamore dello straordinario, spesso generato e cercato ad ogni costo, risponde alla propria storia con una dignità disarmante.  Il mondo si regge oggi, come in altri tempi, sulla forza di donne e uomini che nonostante le enormi ferite, le disuguaglianze imposte loro, gli inganni che hanno completamente deviato il percorso del loro progetto personale, hanno comunque e tenacemente reagito, hanno creduto ancora in una possibilità di cambiamento, hanno saputo reggere lo sguardo di un altro uomo o di un’altra donna, senza mai abbassarlo.  

Ancora adesso mi risuonano dentro le parole e le voci di donne che nel raccontarmi la loro storia migratoria, mi hanno condotto dentro il vuoto sordo e disorientante della violenza subita, della perdita dei legami e della terra, e con loro lentamente risalire, senza forzare i tempi, senza barare con la realtà, senza omettere di chiamare per nome chi è responsabile del male; questo viaggio di ritorno si fa insieme, perché in questa maniera non ci si perde una seconda volta. Non sempre mi piace fare questi viaggi, ma “Nazareth è il posto significativo per l’altro, non il nido caldo per noi” dice Davide Semeraro, e Nazareth è per me in tal senso, una grande opportunità per entrare nel cuore dell’umanità che non può barare con se stessa; invitandomi a viaggiare insieme mi permette, senza spreco di parole, di vivere la stessa opportunità: non barare con la mia realtà.


Ho sperimentato il vuoto del deserto, l’assenza di Dio, ho fatto fatica a non giudicare le inconsistenze e le contraddizioni mie e degli altri, ho sperimentato la “sterilità” della mia scelta di vita, mi sono anche lasciato contaminare e convincere dalla rabbia, alla fine c’è sempre la provocazione del Vangelo che ridimensiona tutto questo e che mi pone di fronte la scelta di Gesù che va oltre, per arrivare nel cuore della realtà umana, là dove non sono permesse le mezze misure. Dio va oltre: per essere prossimo, per essere appartenente, e Gesù è ciò che diventa quando Dio  va oltre sé.







lunedì 1 dicembre 2014

Dio mi si è disperso


 “Disperdersi”: non è poi così pericoloso vivere questa dimensione nella propria vita, e non è nemmeno così negativa come parola, può spaventare certo, ma stuzzica e richiama il coraggio dell’abbandono, non c’è dubbio.  Il mio compagno di viaggio, silenzioso e discreto, è in questi ultimi 25 anni Charles de Foucuald, che nonostante le sue strutture mentali di fondo, fatte di cultura francese, rigore militare, passione per la ricerca del nuovo e dell’inconosciuto, calcolatore e instancabile lavoratore nelle sue avventure, proprio lui ha fatto della sua vita un continuo “disperdersi”.  Potrei dire che per questo, è molto attuale fratel Carlo,  oggi infatti tutto sembra liquefatto, le relazioni, le scelte, gli impegni, anche l’assunzione di una responsabilità è relativa ed ha un'unica misura per la sua sopravvivenza: “fin quando mi va”.

Il disperdersi di Charles de Foucauld ha però tutt’altro sapore e spessore, si nutre di ricerca, ascolto, appartenenza, passione e soprattutto  non è frutto di un capriccio personale ma la conseguenza di  un' intensa relazione con Gesù; Charles de Foucuald attinge a piene mani nelle parole del Vangelo, lette  e rilette, assaporate come frutti succosi di vita presente e non come lettere arcaiche e impolverate o sbiadite dal tempo; lui così lontano da ogni aspetto religioso, completamente digiuno da sermoni petulanti e vincolanti, lui così razionale e concreto, si accorge della presenza di un Dio, che non manifesta la sua onnipotenza, ma sceglie il rischio di “disperdersi” nell’umano, raggiungendo l’ultimo posto, non per falsa modestia, ma perché da quella posizione si coglie meglio l’essenziale della vita degli uomini, la si può cogliere dal di dentro, non per sentito dire, ma per averlo sentito  in sé. 

No, non è per me assolutamente naturale, accogliere questa sfida, e non mi suona per nulla armonico o dolce raggiungere l’ultimo posto, eppure se rileggo e soprattutto ascolto il desiderio che ancora oggi mi abita con energia, mi accorgo che anche per me la dimensione del “disperdersi” è la cifra essenziale, non tanto della mia storia personale, ma del mio rapporto con Dio. Non mi percepisco e non mi sento assolutamente “solitario” nella mia scelta di vita, e tutto quello che ho sperimentato e continuo a sperimentare, ha senso solo se inserito in una relazione. Probabilmente è proprio per questo motivo che disperdersi vuol dire  entrare di più nella dimensione umana, penetrare a fondo nelle situazioni, non restare indifferenti alle storie e ai vissuti degli altri. Quando ci si lascia toccare dalla “vita”, non in superficie, non per  il bisogno di sentirsi realizzati, non per riempire il vuoto della solitudine, allora va da se  impegnarsi con gli altri, compromettersi,  mettersi in cammino con un senso profondo di appartenenza reciproca.  E’ un po’ come nella relazione d’amore: ci si lascia disperdere nell’altro per ritrovarsi coniugati al plurale, e per evitare che sia un’invischiante simbiosi, abbiamo bisogno di essere ben presenti a noi stessi.