Questo tempo ha bisogno di ritmi lenti: può continuare a
suonare le sue melodie, o generarne di nuove, solo se rispetta le pause e ne
apprezza i silenzi, se sa gustare prima di ogni gesto creativo, il piacere dell’ascolto,
questo nostro tempo, credo, ha bisogno di riscoprire il valore del saper far spazio all'altro.
Un anno intenso quello che ho vissuto, fatto non di eventi
speciali, di incontri che stravolgono, né di scoperte disarmanti, è stato
piuttosto un tempo vissuto e gustato in profondità nel giorno dopo giorno, in
cui l’altro, che sempre ha un nome e cognome, un volto preciso e una storia che
si lascia conoscere, è entrato nella mia vita e ha lasciato una domanda, un
dubbio, ha motivato un cambiamento, favorito una scelta. Mi sono scoperto
lentamente “presente” in questa realtà, appartenente e straniero allo stesso
tempo, mi sono ritrovato osservato, qualche volta cercato, spesso incontrato, e
ad ogni occasione ho sperimentato in me il guizzo della vita e la passione per
una umanità che fuori dai clamore dello straordinario, spesso generato e
cercato ad ogni costo, risponde alla propria storia con una dignità disarmante. Il mondo si regge oggi, come in altri tempi,
sulla forza di donne e uomini che nonostante le enormi ferite, le
disuguaglianze imposte loro, gli inganni che hanno completamente deviato il
percorso del loro progetto personale, hanno comunque e tenacemente reagito,
hanno creduto ancora in una possibilità di cambiamento, hanno saputo reggere lo
sguardo di un altro uomo o di un’altra donna, senza mai abbassarlo.
Ancora adesso mi risuonano dentro le parole e
le voci di donne che nel raccontarmi la loro storia migratoria, mi hanno
condotto dentro il vuoto sordo e disorientante della violenza subita, della
perdita dei legami e della terra, e con loro lentamente risalire, senza forzare
i tempi, senza barare con la realtà, senza omettere di chiamare per nome chi è
responsabile del male; questo viaggio di ritorno si fa insieme, perché in
questa maniera non ci si perde una seconda volta. Non sempre mi piace fare
questi viaggi, ma “Nazareth è il posto significativo per l’altro, non il nido
caldo per noi” dice Davide Semeraro, e Nazareth è per me in tal senso, una
grande opportunità per entrare nel cuore dell’umanità che non può barare con se
stessa; invitandomi a viaggiare insieme mi permette, senza spreco di parole, di
vivere la stessa opportunità: non barare con la mia realtà.
Ho sperimentato il vuoto del deserto, l’assenza di Dio, ho
fatto fatica a non giudicare le inconsistenze e le contraddizioni mie e degli
altri, ho sperimentato la “sterilità” della mia scelta di vita, mi sono anche
lasciato contaminare e convincere dalla rabbia, alla fine c’è sempre la
provocazione del Vangelo che ridimensiona tutto questo e che mi pone di fronte
la scelta di Gesù che va oltre, per arrivare nel cuore della realtà umana, là
dove non sono permesse le mezze misure. Dio va oltre: per essere prossimo, per essere appartenente, e Gesù è ciò che diventa quando Dio va oltre sé.