giovedì 31 dicembre 2015

Un anno a tutto "rischio"

Vorrei semplicemente provare ancora a correre qualche "rischio" per il tempo da vivere che mi si presenta davanti; se la convenzione tra gli uomini ha scelto e codificato questa scansione del tempo in anni, il suo ritmo vorrei punteggiarlo di coraggio nel rischio, non inteso come avventura senza limiti, ma  al "rischio" nell'essere pienamente nelle relazioni, e come scrive Francesco Stoppa, "rischio come facoltà di scegliere, con il quid d'angoscia che comporta e la gioia che spesso riserva, ed è una prerogativa squisitamente umana".
In questo tempo e in questa cultura che modella i suoi cambiamenti epocali spesso sull'individualismo, vorrei rischiare su altro, sulla comunità e sulla provocazione che l'altro genera in me, preferisco di gran lunga combattere e magari anche arrabbiarmi sui limiti che la convivenza con altri mi pone, piuttosto che arroccarmi semplicemente nel capriccio della mia autoaffermazione, sento che in quest'ultima direzione non capirei nulla di me, svuoterei di senso la mia umanizzazione, non coglierei in assoluto nulla del volto di Dio, che mai potrebbe suonare in armonia con la nota unica di un solista.


realizzata dalle piccole sorelle di Gesù

mercoledì 23 dicembre 2015

Natale 2015

C’è una “fragilità” che non spaventa, un “consumarsi” che non è perdita; c’è un “prendersi il rischio” che non è spavalderia, un “compromettersi” che non è la scelta delle mezze misure; c’è ancora un “silenzio” che non è mutismo, e c’è un “essere presente” che non è mai ingombrante o invadente; c’è poi un “ascoltare” che non ha frenesia e non calcola il tempo che passa, c’è anche una “passione” che sa essere discreta e non rumorosa, ma semplicemente presente. C’è un “fidarsi” che non poggia su garanzie e richieste a priori, c’è un “per sempre” che si nutre della creatività nel rinnovare, che sa restare quando altri fuggono, che sa cogliere il cambiamento come evoluzione e non come rottura. C’è un “nulla” che non spaventa perché è un grembo fecondo, un vuoto che genera, uno spazio donato. C’è il coraggio “dell’abbandono”, che poggia sulla certezza che l’altro è un bene per me, il sommo bene.

C’è infine la “voce di un vento sottile” che arriva inaspettata, che non sconvolge i grandi sistemi, che non distrugge, che non spazza via, non cancella, la sua leggerezza le permette la rivoluzione più temuta: l’incontro dell’altro nel profondo dell’intimità, lì in quel luogo poco frequentato dove si impara a stare liberamente senza temere nulla, nemmeno la propria fragilità o povertà. Quando quel “vento sottile” si lascia soffiare fino al punto più nascosto di sé, ci si spaventa, si ha un brivido d’incertezza, un gesto d’irrigidimento, si percepisce un “troppo”, una porta spalancata di colpo, su un infinito da cui non sappiamo più difenderci; Allora, solo allora si coglie una libertà che tocca le nostre mani, scioglie i nostri nodi, allenta le nostre resistenze, placa le nostre paure, da energia alla nostra responsabilità.


C’è una “Parola” nel vento sottile: ho piantato la mia tenda tra di voi






domenica 20 dicembre 2015

Risuonare nel cuore di Dio

Non posso da solo raggiungere nessun obiettivo, nessun cambiamento significativo, non posso nemmeno poter cogliere la ricchezza e la profondità dell’esistenza umana se non immergessi quotidianamente la mia mia vita nelle relazioni, che non necessariamente devono essere numerose, al contrario per vivere il valore della reciprocità occorre saper curare e gustare alcune delle amicizie possibili.

Quello dell’incontro e dell’amicizia, è un dono che ho avuto la fortuna di ricevere; la costanza, la presenza mai scontata e banale di alcune persone nella mia vita, hanno suscitato in me il coraggio di “prendermi il rischio” ogni volta che mi trovavo di fronte a scelte  e bivi da imboccare.

L’incontro e il confronto con alcune realtà comunitarie monastiche hanno ulteriormente arricchito il mio percorso, facendomi assaporare il nutrimento dell’accompagnamento silenzioso, della presenza nella vita dell’altro con un profondo senso di cura e ascolto. I fratelli di Bose che sono a San Masseo ( Assisi), le sorelle Clarisse a San Benedetto del Tronto, come anche il dialogo con alcune piccole sorelle di Gesù con cui negli anni ho coltivato una fraterna amicizia, mi hanno aperto lo sguardo sulla dimensione della “presenza nel quartiere” e della condivisione del vissuto degli uomini di questo tempo; in un contesto culturale come il nostro, fatto di scontri e prepotenze, di gara al ribasso, dove tutto viene demolito per il semplice gusto di contrapporsi, ho trovato in questi uomini e donne del silenzio e dell’ascolto, un’apertura  e una capacità di essere presenti all'altro, che mette speranza oltre che buon umore, di cui tra l’altro ne abbiamo veramente tanto bisogno. Con loro ribadisco, che nulla è privato e individuale, che l’altro non mi è mai d’ostacolo, che la dimensione dell’appartenenza comunitaria è una profezia che stenta oggi ad essere compresa, ma vale la pena coltivare e vivere.



In questi giorni nella mia cappellina resta accesa una piccola luce, che rende presente questi legami, spesso silenziosi, nascosti, feriali, solo nel cuore di Dio possono avere la giusta e fragrante risonanza; la fiammella del lumicino sa racchiudere volti, persone, storie d’amicizia…è piccola e fragile ma guai non curarla per mantenerla accesa. 










domenica 6 dicembre 2015

Solo ma non da solo

Il nostro paesaggio interno è nutrito, irrorato da ciò che è fuori dai confini dell’io, i nostri simili, i luoghi, le esperienze che abbiamo depositato in noi. Tutto ciò è divenuto l’humus del nostro essere1. Lascio che risuonino, facciano eco ed entrino nel profondo della mia intimità queste parole che ho trovato nel libro di Francesco Stoppa; come dire, mi suonano bene, arrivano dritte a quello che sento essenziale nella mia vita, parole chiare che esprimono quello che a fatica oggi riesco a formulare chiaramente per trovarne risonanze anche in altri. Si, c’è una fatica che accompagna le mie giornate, c’è spesso un sentirmi fuori posto, un non accontentarmi che non sempre esprimo, perché scelgo di dare tempo al silenzio e all'attesa del processo di decantazione dei pensieri, delle scoperte e del sentire, soprattutto non mi piace l’atteggiamento ormai dominante di urlare, dire prima di riflettere, ed essere referente del mondo; la realtà si ascolta, si osserva, si accoglie e solo dopo si può pronunciare qualche parola su di essa, a patto che non sia l’ultima e la definitiva. Non si tratta di un atteggiamento triste e sconfortato, tutt'altro, sento una sorta di ribellione per  l’orizzonte ristretto e ripiegato su se stesso dell’individualismo ben radicato nella nostra cultura occidentale, a tutto questo  reagisco scegliendo di non dare spazio e tempo a parole, opinioni e grida scombinate, che vengono messe in circolo nel vortice dell’informazione di ogni genere, scelgo ciò che vale la pena leggere, ascolto chi sa cogliere e valorizzare il silenzio che deve starci tra una parola e l’altra, perché quel silenzio permette di distinguerle, valorizzarle e armonizzarle: chi coglie e valorizza quel silenzio minimo, conosce le parole che pronuncia, le possiede, le ha maturate, le ha ricevute e sa riconsegnarle. 

E’ un tempo questo, che mi affatica per il forte ripiegamento su se stessi, sostenuto da quella convinzione carica di onnipotenza, che da valore massimo al “farsi da sé”, no personalmente non mi basta questa logica, al contrario mi sviluppa un forte senso di isolamento. Man mano che vado avanti nella mia vita, che gli anni passano, scopro il profondo desiderio degli altri, l’esigenza di “appartenere”, nel senso di “essere parte di” e quando ci si scopre una parte, si ha la consapevolezza che non si è il tutto. La mia vita quotidiana è fortemente caratterizzata da questo “essere solo”, ma mai “essere da solo”. L’aver scelto consapevolmente, anche con un po’ d’incoscienza e rischio, l’essere solo (la scelta del celibato), mi ha in questi anni introdotto in una dimensione di profondo ascolto di ciò che realmente mi abita, ha in alcuni momenti aumentato una sorta di sensibilità che mi porta a far risuonare nell'intimità ogni esperienza, volto, incontro, situazione. 
 Nell'essere solo ci si avventura in uno spazio essenziale, un po’ nudo e spoglio,  all'inizio assomiglia ad una stanza austera e eccessivamente essenziale; poi lentamente, quando la “volontà”, la rigidità, l’ambizione, cede il passo all'abbandono fiducioso ci si ritrova in un silenzio profondo che è più vicino ad un grembo, che senza far rumore, passo dopo passo, o meglio silenzio dopo silenzio, fa spazio ad una vita. Una vita che ti consegna un piccolo ritornello, una chiave per comprenderla e svilupparla nella pienezza: mai da solo. No non mi piace questo tempo di narcisismo esasperato, di emotività che si attiva solo quando si è colpiti direttamente, per tornare con rapidità in una sorta di stato di desensibilizzazione; non mi piace nemmeno questo sentirci tutti connessi, immersi nelle relazioni non stop, impegnati in un protagonismo continuo, pena l’isolamento; in questa logica non c’è spazio per nulla e nessuno, è troppo pieno di “io”, ed il “tu” sta scomodo perché non fa rima con “io”. Può Dio trovare posto in quest’orizzonte ormai ben radicato? No, Dio e l’esperienza di Dio è “fuori luogo”; 
Adam (che in ebraico indica anche l’umano) dove sei?”…”Caino dov’è tuo fratello?”…”sono forse io il custode di mio fratello”.


1. Francesco Stoppa; "Istituire la vita, come riconsegnare le istituzioni alla comunità"; ed. Vita e Pensiero.