martedì 30 luglio 2013

Un eremo per non fuggire

Ferie lunghissime quest’anno, tempo dedicato soprattutto allo studio, quindi  libri, pagine che sfoglio continuamente, fogliettini di appunti ovunque,  ma fortunatamente la mia casa è piccolissima, 26 metri quadrati e questo mi agevola nella concentrazione, ho sempre amato le piccole abitazioni; ma non c’è solo questo perché nella vita quotidiana c’è sempre l’imprevisto, se all’imprevisto lasciamo la porta aperta. Spesso  per me questo vuol dire, incontri inaspettati, relazioni che si approfondiscono senza nessun tipo di pianificazione, ”possibilità” che si presentano per vivere più a fondo nel mio contesto, ed è con quest’atteggiamento di fondo che vivo questo tempo estivo, dove con la complicità il caldo e delle giornate vissute all’aperto, ho avuto qualche occasione in più per lasciarmi contaminare, coinvolgere e interrogare dagli incontri. La dimensione dell’abbandono è fortissima nella mia vita di fede, nel mio vivere e intrecciarmi con Dio, l’abbandono è sempre frutto di una fiducia smisurata, di un intimità che non è mai intimismo, che non si vive sempre ma sempre è possibile sperimentarla, soprattutto sento che l’abbandono non è un punto d’arrivo, ma lo spazio, la dimensione, l’orizzonte di senso che permette il viaggio e la ricerca, quella di Dio, che non è “mai abbastanza” come diceva Carretto. La mia esperienza e la mia storia mi dicono comunque che tutto questo non è mai staccato dall’incontro con l’altro, non c’è un prima o un dopo, prima Dio poi gli uomini o viceversa, ma una contemporaneità, un “accadere allo stesso tempo” con  mille sfumature diverse che danno la percezione di essere  immersi in una pianezza di vita; per questo sento necessario vivere, o meglio provare a vivere la dimensione ” dell’abbandono fiducioso”  anche nella relazione con gli altri, così anche qui, come con Dio, non è mai un arrivo, ma un camminare, uno svelarsi, un entrare in conflitto, un accogliere il cambiamento, un ridare la giusta proporzione al mio sentire, alla mia persona e alla mia visione della vita. Nel concreto  questo si traduce prima di tutto nel “saper stare” nell’ambiente che mi accoglie e di cui mi sento parte;  nell’ aprire la mia casa sia per scambiare due chiacchiere ma anche per provare ad insegnare l’italiano in maniera informale ad un vicino che mi chiede questo favore; nello scambio di parole con la vicina di casa che non nomina mai il suo lavoro, mentre mi fa mille domande sul mio;  nell’ accogliere i saluti e garantire rispetto e accoglienza, nella chiarezza degli atteggiamenti che non confonde ciò che è malavita, sfruttamento con il malessere, la povertà e l’essere vittima e in questo non scendere mai a compromesso, essere per contro lucidi ed attenti; nell’entrare in relazione con quelle forze positive che possono generare vita e cambiamento in quest’ambiente, cercando quindi di coinvolgermi con altri che in questo quartiere provano ad essere creativi e attivi, affiancandomi a loro, coinvolgendomi, con- promettendomi: in tutto questo l’abbandono a Dio a agli uomini non solo è possibile, in tutto questo è soprattutto tangibile.
Intrecciarsi con gli altri

C’è un elemento che potrebbe apparire fuori contesto, ma che lega e rende possibile quanto espresso fin qui:  è il silenzio, che è  la modalità per raggiungere il punto dove si genera  il senso della mia vita e allo stesso tempo è  il “grembo” che si rende gravido della passione di Dio e che mi spinge ad uscire verso la novità. Senza l’esperienza e la frequentazione del silenzio penso sia difficile per me tenere i piedi per terra, ben chiaro che l’esperienza di deserto e solitudine va comunque sempre liberata dalle ambiguità che potrebbe generare.
Il silenzio anch’esso, è il luogo dell’esperienza e non della conquista, in esso non si possiede nulla, non si afferra, ma ci si inoltra, ci si spinge in avanti, ci si avventura, ci si appassiona al cammino più che alla meta. In questi giorni sono stato in Eremo ad Amandola, un posto che amo particolarmente e che vi consiglio di frequentare, qui non per fuggire ma per abbandonarmi.

amedeo.angelozzi@tiscali.it





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