martedì 9 luglio 2013

Al confine

Pianoro del Castelluccio
Dopo quattro giorni intensi di cammino, dove la fatica, il procedere a volte lento altre più deciso, dove il silenzio cedeva sovente il posto alla confidenza e alla consegna discreta della consapevolezza dei propri cambiamenti all’altro, eccomi di ritorno a casa, con una sensazione difficile da descrivere: mi sento da un lato come scavato e svuotato e allo stesso tempo rafforzato e motivato nel mio procedere quotidiano. Appena a casa non mancano segni di particolare accoglienza che mi ricordano che qui le relazioni hanno lo stesso ritmo del cammino/pellegrinaggio appena concluso,  le due esperienze si intrecciano e si arricchiscono reciprocamente di significato, l’una è metafora dell’altra. Durante il cammino ricevo un sms di G. “Maestro posso venire questa sera a studiare italiano?”, mi fa sempre sorridere quando mi chiamano maestro, spero che non crei comunque distanza anche se  al momento non sembra così, ci diamo appuntamento al mio ritorno. Nonostante la stanchezza la pseudo lezione d’italiano è piacevole, in particolare perché ci permette di parlare apertamente di tanti argomenti, di conoscerci pur nella differenza d’età che non è poca, ma probabilmente la scelta di emigrare e di affrontare quindi un progetto migratorio da solo, ha reso G. sicuramente più adulto rispetto a dei suoi coetanei; amerebbe continuare i suoi studi ma è qui da solo e quindi mi precisa che il primo impegno è quello del lavoro. Ci sono altri pachistani che con i loro genitori  sono qui da molti anni, così questo permette loro di studiare, ma lui non può. Spontaneamente il discorso tocca spesso le nostre rispettive esperienza religiose, con un rispetto che non ha assolutamente nulla di forzato o di convenevoli formali che in genere inquinano l’autenticità, e questo ci permette ancora una volta di intrecciare la curiosità di conoscere e di farsi conoscere. E’ un equilibrio per certi aspetti non facile da vivere, perché ciò che siamo e abbiamo è naturalmente percepito da noi stessi come bello, unico, importante, ma la reciprocità richiede di lasciar da parte le misure del “più bello”, del “più importante”, per dare spazio alla dinamica della complementarietà e dell’aggiungere: a quello che ho conosciuto e vissuto fino ad ora, aggiungo quello che tu mi stai donando, per andare oltre, non certo per arrivare ad una verità assoluta, ma per procedere con maggior passione. 
Fioritura al Castelluccio
Mi sono reso conto come non è semplice non cedere ai paragoni, percepire la propria identità attraverso il meccanismo della differenza dall’altro è spesso inconsapevole e quindi automatico, ma questo atteggiamento mentale e psicologico crea semplicemente un muro, un confine di separazione netta che non genera nessun cambiamento, non fa procedere, ma blocca, irrigidisce, rende la propria esperienza di vita immobile, e intenta semplicemente a ripetere se stessa, in una posizione di continua difesa e misurazione. Durante certi incontri come quello vissuto l’altra sera con G. esiste il confine, è chiaramente sperimentabile la differenza di prospettiva, come anche, pur nella diversità, si possono rintracciare degli elementi comuni  nell’esperienze di Dio quasi coincidenti. In tutte queste sfumature la reciprocità ci rende capaci di abitare la linea di confine, che diventa chiarezza, sforzo di comprensione, ascolto profondo, decentramento da se stessi. Scopro che questa dimensione è fondamentale per me e per la mia scelta di piccolo fratello, la mia opzione di vita contemplativa nel cuore del quartiere e delle masse è prima di tutto il modo per vivere, abitare e lasciarmi trasformare dalle esperienze possibili su questa “linea di confine”.


Racconta fr. Christian (monaco in Algeria ucciso nel ’96 con altri monaci) di un dialogo che aveva con un giovane musulmano del villaggio dove era situato il monastero, unica presenza cristiana in un contesto completamente musulmano:” E’ da tempo che non abbiamo più scavato il nostro pozzo. L’immagine la usiamo quando sentiamo il bisogno di dialogare in profondità. Una volta per scherzo, gli chiesi: -e in fondo al nostro pozzo, cosa troveremo?. Mi ha guardato, tra il sorridente e il rattristato: - Ti poni ancora questa domanda? Sai, quello che si trova in fondo a questo pozzo è l’acqua di Dio”
amedeo.angelozzi@tiscali.it






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