|
Pianoro del Castelluccio |
Dopo quattro giorni intensi di cammino, dove la fatica, il
procedere a volte lento altre più deciso, dove il silenzio cedeva sovente il
posto alla confidenza e alla consegna discreta della consapevolezza dei propri
cambiamenti all’altro, eccomi di ritorno a casa, con una sensazione difficile
da descrivere: mi sento da un lato come scavato e svuotato e allo stesso tempo
rafforzato e motivato nel mio procedere quotidiano. Appena a casa non mancano
segni di particolare accoglienza che mi ricordano che qui le relazioni hanno lo
stesso ritmo del cammino/pellegrinaggio appena concluso, le due esperienze si intrecciano e si
arricchiscono reciprocamente di significato, l’una è metafora dell’altra.
Durante il cammino ricevo un sms di G. “Maestro posso venire questa sera a
studiare italiano?”, mi fa sempre sorridere quando mi chiamano maestro, spero
che non crei comunque distanza anche se al momento non sembra così, ci diamo
appuntamento al mio ritorno. Nonostante la stanchezza la pseudo lezione d’italiano
è piacevole, in particolare perché ci permette di parlare apertamente di tanti
argomenti, di conoscerci pur nella differenza d’età che non è poca, ma
probabilmente la scelta di emigrare e di affrontare quindi un progetto
migratorio da solo, ha reso G. sicuramente più adulto rispetto a dei suoi
coetanei; amerebbe continuare i suoi studi ma è qui da solo e quindi mi precisa
che il primo impegno è quello del lavoro. Ci sono altri pachistani che con i loro
genitori sono qui da molti anni, così
questo permette loro di studiare, ma lui non può. Spontaneamente il discorso
tocca spesso le nostre rispettive esperienza religiose, con un rispetto che non
ha assolutamente nulla di forzato o di convenevoli formali che in genere
inquinano l’autenticità, e questo ci permette ancora una volta di intrecciare la
curiosità di conoscere e di farsi conoscere. E’ un equilibrio per certi aspetti
non facile da vivere, perché ciò che siamo e abbiamo è naturalmente percepito da
noi stessi come bello, unico, importante, ma la reciprocità richiede di lasciar
da parte le misure del “più bello”, del “più importante”, per dare spazio alla
dinamica della complementarietà e dell’aggiungere: a quello che ho conosciuto e
vissuto fino ad ora, aggiungo quello che tu mi stai donando, per andare oltre,
non certo per arrivare ad una verità assoluta, ma per procedere con maggior passione.
|
Fioritura al Castelluccio |
Mi sono reso conto come non è semplice non cedere ai paragoni, percepire la
propria identità attraverso il meccanismo della differenza dall’altro è spesso
inconsapevole e quindi automatico, ma questo atteggiamento mentale e
psicologico crea semplicemente un muro, un confine di separazione netta che non
genera nessun cambiamento, non fa procedere, ma blocca, irrigidisce, rende la
propria esperienza di vita immobile, e intenta semplicemente a ripetere se
stessa, in una posizione di continua difesa e misurazione. Durante certi
incontri come quello vissuto l’altra sera con G. esiste il confine, è
chiaramente sperimentabile la differenza di prospettiva, come anche, pur nella
diversità, si possono rintracciare degli elementi comuni nell’esperienze di Dio quasi coincidenti. In
tutte queste sfumature la reciprocità ci rende capaci di abitare la linea di
confine, che diventa chiarezza, sforzo di comprensione, ascolto profondo,
decentramento da se stessi. Scopro che questa dimensione è fondamentale per me
e per la mia scelta di piccolo fratello, la mia opzione di vita contemplativa
nel cuore del quartiere e delle masse è prima di tutto il modo per vivere,
abitare e lasciarmi trasformare dalle esperienze possibili su questa “linea di
confine”.
Racconta fr. Christian (monaco in Algeria ucciso nel ’96 con
altri monaci) di un dialogo che aveva con un giovane musulmano del villaggio
dove era situato il monastero, unica presenza cristiana in un contesto
completamente musulmano:” E’ da tempo che non abbiamo più scavato il nostro
pozzo. L’immagine la usiamo quando sentiamo il bisogno di dialogare in
profondità. Una volta per scherzo, gli chiesi: -e in fondo al nostro pozzo,
cosa troveremo?. Mi ha guardato, tra il sorridente e il rattristato: - Ti poni
ancora questa domanda? Sai, quello che si trova in fondo a questo pozzo è l’acqua
di Dio”
|
amedeo.angelozzi@tiscali.it |
Nessun commento:
Posta un commento