domenica 8 settembre 2013

Cani muti

Veglia per la pace
“Non possiamo essere cani muti”, scriveva Charles de Foucauld addirittura ai parlamentari francesi, di fronte alla  tolleranza che la sua nazione mostrava in relazione  al fenomeno della schiavitù, che lui ben vedeva in Algeria; di fronte alla violenza e al sopruso, non si può restare indifferenti. Ogni violenza, ogni azione di potere, va smascherata, va denunciata, anche quella che si veste con la “divisa” dell’intervento umanitario, e su questo le parole di Francesco in piazza San Pietro sono state immediate, decise, senza nessun tipo di sfumatura che desse spazio a interpretazioni di comodo. Quando ad intervenire sono le armi, il linguaggio di fondo è la morte e la distruzione dell’altro, con un orizzonte di senso del genere, non si potrà mai costruire una relazione che porti vita, che crei reciprocità, che sappia accogliere la diversità, che faccia dell’incontro delle differenze  il segno della vita che scorre e si sviluppa nella sua pienezza. Credo che prima di tutto si tratti di chiamare per nome gli atteggiamenti, le azioni compiute, le responsabilità, svelare le logiche di fondo delle azioni intraprese e non rimpallarsi la responsabilità o peggio ancora, sviare l’attenzione su chi ha compiuto il gesto più violento o brutale. Non ci sono limiti in questo, non ci sono misure, non c’è un massimo di sopportazione: ci sono logiche che hanno nel loro cuore la promozione e il benessere della comunità e logiche di potere che hanno per obiettivo  il controllo, la sopraffazione, l’imposizione del proprio ordine e del proprio sistema. Lo ha ripetuto il papa, ma non sono sue parole, potrebbe anche averle dette senza essere papa, perché ha semplicemente ripetuto quello che nel Vangelo è stato scritto da secoli: la logica del Regno e quindi di Dio è la fraternità, che non ha nulla a che vedere con atteggiamenti buonisti o naif, che rischiano di sfociare nel fanciullesco e nel banale ( e in questo noi cristiani siamo stati efficacissimi nel svuotare di senso il messaggio di Gesù, direi di disinnescarlo), ma è la logica della giustizia, dell’equità , dell’affermazione della dignità di ognuno a partire dal più piccolo. E’ un cammino lungo a mio parere, è una sfida continua, perché a me sembra che questa logica e questa prospettiva del vivere, metta radicalmente in discussione quello che stiamo facendo  a livello planetario, nazionale, fino al nostro piccolo quotidiano. Non si tratta di banalizzare le relazioni, non basta dire: “dobbiamo volerci bene”, perché quando si è dalla parte di chi subisce, queste parole risuonano come un’ulteriore sferzata ed umiliazione, si tratta al contrario di crescere nella libertà di saper chiamare le proprie responsabilità per nome, e chiamarle apertamente di fronte all’altro. In Sud Africa nel periodo del dopo Mandela, è stato istituito un tribunale per la riconciliazione, un lungo lavoro alla ricerca della verità, con lo scopo di mettere in luce i fatti;  vittime e carnefici, uno di fronte all’altro, gli uni di fronte alla storia, al vissuto, all’ esperienze dell’altro, per saper chiamare per nome quanto era accaduto, ognuno per la sua parte.

 C’è un interessante film su questo processo di riconciliazione, non ricordo il titolo purtroppo, ma mi ha colpito una scena: un vecchio dopo aver raccontato le violenze subite, si gira e guarda negli occhi i responsabili delle sue vessazioni e dice loro: se non mi dite perché lo avete fatto, come posso perdonarvi?. Personalmente mi sento vessato e indignato da quello che dicono i potenti delle nazioni, perché continuano a mascherarsi da lupi e agnelli, ma mai rinunciano al loro potere, che dicono esercitare in nome e per il bene del loro popolo; nessun uomo o donna, nessun minore, chiede di essere messo nelle condizioni di guerra che vediamo quotidianamente, nessun popolo chiederebbe di essere nutrito di rabbia, odio, disprezzo per un altro popolo o realtà culturale o religiosa, è come dire che gli uomini e le donne che si sentono appartenenti ad una comunità,  chiedessero di vivere in una continua tensione e paura dell’altro. Non ho mai delegato nessuno a nutrirmi di odio. La veglia a Roma mi ha colpito profondamente per due aspetti: il primo il profondo silenzio, posso assicurare che era intenso e forte, mi viene da dire che esprimeva il desiderio di “chiarezza”, ossia dire chiaramente da quale parte stiamo, non riferita alle fazioni, ma alla logica dei rapporti umani che desideriamo tra nazioni e popoli;  il secondo aspetto  credo che sia stato ancora più profetico, non eravamo lì per fare un sacrificio che ammorbidisse il cuore di Dio e in tal modo si prendesse Lui la responsabilità e il potere di far cessare le guerre, Dio non ha il cuore duro che può essere ammorbidito dalle nostre rinunzie o flagellazioni, è ancora un pensiero perverso di Dio questo, eravamo lì perché la Parola di Dio ci grida e consegna  una responsabilità ben precisa: “ Caino dov’è tuo fratello?”

amedeo.angelozzi@tiscali.it


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