La notizia che è stato creato un ministero per
l’integrazione, guidato e affidato alla competenza di un ministro donna di
origine congolese, ha scatenato reazioni e commenti di contenuto talmente basso
e privo di livello minimo d’intelligenza e coscienza della realtà, che ci
permette di prendere consapevolezza di quanto l’attuale contesto culturale
italiano sia in questo momento fuori dal quadro internazionale, fermo ad un provincialismo incapace di
cambiamento e privo di strumenti efficaci
per interagire con quella che è la dimensione multiculturale di molte nazioni;
la globalizzazione, la migrazione dei popoli e delle culture, la capacità di
essere interconnessi da una parte all’altra del globo con un semplice clik, ha
dato il via ad un processo di meticciamento inarrestabile, essere fuori da
questo meccanismo, continuare ad arroccarsi dietro alle battaglie di difesa di
un identità culturale, non è altro che il segno di un’ incapacità nell’affrontare
sia i cambiamenti che l’evoluzione naturale della storia . Leggevo e ascoltavo
per radio in questi giorni come è aumentato il numero dei giovani che hanno
ripreso ad emigrare fuori dall’Italia, in cerca di possibilità lavorative e di
vita, anche loro si uniranno alle migliaia di giovani che nel nostro paese sono
arrivati con le stesse speranze e le stesse fatiche, sia gli uni che gli altri,
saranno elementi di cambiamento nei contesti che abiteranno e che abitano. Come
più volte ho scritto e condiviso, il mio contesto di vita attuale è un micro
cosmo interculturale, dove in uno spazio non eccessivamente grande, si
intrecciano culture, lingue, tradizioni, religioni, speranze, cambiamenti,
disagio sociale, malavita e…quotidianità. I bambini della scuola del quartiere,
interagiscono tra loro con naturalezza, sono abituati alle diversità
linguistiche, a casa la lingua dei genitori e a scuola l’italiano, molti di
loro sono nati qui e questa è la realtà che conoscono e dove lentamente
crescono, una realtà molto diversa da quella dei loro genitore, ma anche molto
diversa da quella che abbiamo conosciuto noi nella nostra infanzia. Un giorno
dal mio balcone ho osservato la naturalezza con cui una ragazza cinese
scherzava con l’amica indiana, mentre tornavano a casa dopo la scuola, loro
sanno vivere insieme fin tanto che noi adulti non li travolgiamo con le nostre
paure, i nostri pregiudizi e le nostre rigidità culturali. Qualche anno fa una
mamma africana raccontava alle maestre come nel primo viaggio in africa della
propria figlia, che era nata in Italia, abbia dovuto portare con se la pasta
perché la bambina non riusciva a mangiare sempre il cibo tradizionale e dopo una settimana lì, la bambina ha esclamato: “- ma
qui sono tutti neri?”, mentre noi continuiamo a scandalizzarci e strapparci le
vesti per un ministro italiano d’origine congolese, le nuove generazioni hanno
già fatto il salto in avanti.
Per alcuni aspetti quest’ambiente è una frontiera, una zona
di rottura e fratture, d’incontri faticosi, conflittuali e allo stesso tempo è
lo spazio della novità, del cambiamento, della società che modifica se stessa e
gli individui, delle culture che si mescolano, ma soprattutto è il luogo in cui
le nuove generazioni, con il loro meticciamento, rendono visibile il futuro. E’
qui che il Vangelo mi spinge a mettere radici, è qui che prende forza
l’indicazione che Gesù risorto da ai suoi discepoli, quando dice loro “vi
precederò in Galilea”, la Galilea delle genti. E’ in luoghi e contesti come
questi che sento la necessità di vivere in silenzio nelle relazioni quotidiane,
per essere testimone del cambiamento possibile, per esercitare lo sguardo e
scorgere i segni dei tempi, ossia fatti, persone, incontri che indicano
profeticamente la direzione che porterà benessere e pienezza di vita per tutti.
In questo mese riscopro il senso anche della scelta della vita contemplativa,
che è elemento essenziale della spiritualità di nazareth, contemplativi in
questi contesti sociali significa essenzialmente saper guardare e riconoscere
la vita, vuol dire abitare anche i conflitti e le fatiche e in essi scorgere la
novità che ogni crisi genera. Essere contemplativo nel cuore del quartiere mi
spinge a non semplificare la realtà, a non spiritualizzarla, il cuore a cuore
con Dio diventa esperienza profonda e concreta nel momento in cui i piedi sono
ben piantati per terra e le mani raggiungono liberamente l’altro lì dove è.
Oltre al bello e alle speranze che i bambini e i ragazzi del quartiere mostrano
nella loro spontaneità, vedo anche la violenza, il degrado che alcune persone
vivono, le fatiche delle donne immigrate, anche questi sono luoghi da abitare
nel silenzio.
Nessun commento:
Posta un commento