Pomeriggio assolato, splendido, i colori risaltano, i
palazzi non certo frutto di ricerche architettoniche particolarmente ispirate
al bello, sembrano quasi assumere un aspetto più colorato, ma al solito sono i bambini
e le persone che escono come formichine nei giardini pubblici, a rendere
l’ambiente sicuramente più piacevole e vivace. Mentre cerco la motivazione per
studiare o forse sarebbe più esatto dire, mentre mi forzo nello studio in vista
di un prossimo esame, sono colpito dalle voci fragorose dei bambini sotto casa,
stranamente tutti parlano italiano, non resisto è sicuramente un buon motivo
per interrompere lo studio di Leopardi e verificare se quei bambini li conosco.
Nel piccolo cortile antistante, un nutrito gruppo di bambini di famiglie
cinesi, lo hanno invaso o occupato abusivamente scavalcando la recinsione, li
conosco quasi tutti, sono un gruppo misto di maschietti e femmine, improvvisano
e organizzano una partita di pallone, tutti parlano un buon italiano ed il
gioco si svolge con le regole concordate in italiano. Come i ogni gioco sano
che si rispetti arriva anche il momento della contrapposizione e del conflitto,
il più piccolo viene escluso o
manipolato per ottenere una facile vittoria, immancabile è il piano del mal
capitato, ed ecco che cambia la lingua della comunicazione, i sentimenti più
forti, viscerali, le emozioni della rabbia e della tristezza, come anche la
ribellione per un ingiustizia subita, vengono immediatamente espressi nella
propria lingua madre: il cinese.
Quando le emozioni che proviamo sono forti, quando è
l’istinto che prevale sui nostri comportamenti, quando sentiamo che dobbiamo
difenderci, allora i tanti modi per esprimere quello che sentiamo è ben
sintetizzato nell’unico idioma che non
incontra nessuno sforzo nell ‘uscire dalla nostra bocca, è la lingua madre. Le
espressioni linguistiche che con maggior efficacia esprimono la nostra
identità, che sanno dare voce alla nostra intimità, che sembrano nate con noi,
sono le espressione della lingua che ci è stata trasmessa da nostra madre.
Quando ero in Francia e ho avuto dei
colloqui con un psicologo per meglio rielaborare l’esperienza che stavo facendo
in fraternità e superare alcuni momenti di difficoltà che stavo vivendo,
ricordo molto bene come per esprimere gli aspetti più intimi di me,
incominciavo inconsapevolmente a parlare
in dialetto e mi accorgevo del cambio della lingua solo dall’espressione
smarrita dello psicologo, che fino a quel momento mi aveva sentito parlare in
francese.
Osservando ancora dal
mio piccolo balcone, scorgo nel grande prato vicino casa che altri bambini
hanno invaso lo spazio e il pallone li ha aggregati immediatamente, anche in
questo caso li conosco quasi tutti, sono albanesi, nigeriani, ivoriani e
pachistani, li sento ridere e scherzare in italiano, un buon italiano. Osservo
tutto questo e resto in silenzio perché come adulto ho desiderio di nutrirmi di
questa ricchezza,di lasciarmi contagiare da questa realtà, che supera enormemente il nostro mondo di
adulti. Ieri pomeriggio il comune ha organizzato una festa interculturale, al
solito musica e cibo che vengono messi uno al fianco dell’altro, con
l’illusione di operare per l’intercultura, ma in realtà noi adulti non siamo
così capaci e flessibili a lasciare le nostre rigidità e i nostri etnocentrismi
, per questo tutto resta “fianco a
fianco”, ma nulla si compenetra; conosco diverse persone, molte sono del
quartiere, il mio amico pachistano mi ha invitato a partecipare, lui cerca
veramente di mettersi al servizio di tutti, e con un italiano compromesso dall’emozione, dice una frase a mio parere la
più provocatoria di tutta l’iniziativa: i nostri figli sono qui, tutti insieme,
noi dobbiamo aiutarli a vivere insieme sempre; so di questa sua convinzione
perché ne abbiamo parlato spesso, ma poi basta poco per verificare che è
autentico, poco sotto suo figlio è seduto e parla con estrema confidenza con un
suo amico cinese, anche loro parlano correttamente italiano, scherzano in
italiano e appena si accorgono di me mi salutano e dai loro sorriso percepisco
che sono contenti di vedermi li, ci tengono a ricordarmi i laboratori che hanno
fatto con me a scuola, entrambi sono in
Italia da quando erano molto piccoli per questo il loro italiano non ha nemmeno
un inflessione dialettale o accento straniero.
Mentre i grandi sgomitavano per presentare al meglio la loro
cultura ed è comprensibilissimo, i più giovani nella loro spontaneità e
naturalezza mostravano silenziosamente, ma efficacemente che il cambiamento è
già in atto.
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