Ho deciso, ormai da tempo , di immergermi nel silenzio profondo e nella solitudine con Dio di un mese. Da anni cercavo di mettere insieme i giorni, di intrecciare impegni e liberare giornate perché potessi avere la possibilità di staccare dal quotidiano e avere questo tempo prolungato di solitudine. Non ho un motivo preciso, o chissà quale scopo particolare, è piuttosto un esigenza che lentamente ha preso forma, un' attrazione senza pretese, o semplicemente l'evoluzione naturale del mio cammino. Fermarsi e ritagliarsi uno spazio per il cuore a cuore con Dio è un dono e una possibilità che ci si può concedere, anzi è un rischio che si può correre. L'occasione per mettersi in movimento non è mancata, sono passati 25 anni dalla mia prima alleanza con Dio, nella forma di vita di Nazareth, questa vita da piccolo fratello che passo passo ho lentamente imparato ad accogliere, scorgendo e lasciando fluire il desiderio di solitudine con Dio. Senza averne troppa consapevolezza, questa alleanza ha ormai tracciato un discreto cammino. Il tempo trascorso non mi invita a guardare indietro per tracciare delle sintesi o fissare delle certezze, gli anni sono stati intensi e sempre attraversati dal profondo desiderio di giocarmi una vita completamente contaminata dal Vangelo: questo Gesù di Nazareth non è mai stato indifferente per me, né mi è mai apparso banale, mi ha intrigato quella sua passione per l'uomo a partire sempre dal più piccolo, quel suo rompere gli schemi, ma mai spezzare le esistenze. Non è certamente Lui che mi ha invitato a scegliere la spiritualità di Nazareth, ancor meno mi ha chiesto di essere piccolo fratello, è stata quella irresistibile e bizzarra attrazione verso le sue parole e quell'averlo sentito tremendamente e concretamente "il mio di fronte", che mi ha interpellato. La mia scelta di vita è il modo concreto, la carne visibile, la modalità definita in cui sento di vivere e dare quotidianamente forma al mio rapporto con Lui e così come ogni forma di relazione trasforma, modella, genera il modo di essere al mondo, così quando dico di voler essere un "piccolo fratello", non desidero dire altro che il mio modo di stare al mondo e nelle relazioni. E' ancora tutto un cantiere, un costante modellamento, è un tentativo, un provare e riprovare, non importa, è la dinamicità di una relazione.
Sono arrivato in eremo questa mattina, un po' frastornato, così desiderio e paura si abbracciano, resistenza e curiosità si stuzzicano a vicenda come due bambini che giocano a rincorrersi per vedere chi ha più forza nel gioco. L'eremo è silenzioso, immobile, qualche tela di ragno va rimossa, la polvere non manca. I libri trovano il loro posto, le finestre si aprono ed entra aria fresca, la luce del sole toglie l'umidità e l'odore di chiuso. Ma il primo gesto che compio è mettere in custodia il Pane. Nel deserto si apprende l'arte dell'essenziale e in questo tempo di deserto il Pane è quell'essenziale che mi pone davanti a due realtà: la totale gratuità di Dio e la dimensione del "noi", perché quel Pane mi è stato dato, consegnato dopo la celebrazione Eucaristica da una comunità che si è ritrovata insieme. Senza queste due dimensioni chiare, il deserto e la solitudine, per quanto mi riguarda potrebbe, diventare solo la contemplazione del proprio ombelico, di questo, non né sento assolutamente la necessità sinceramente. Non mi interessa cercare la felicità, la pace interiore, l'armonia profonda con l'universo, il distacco da ciò che mi mette in agitazione, mi interessa piuttosto andare a fondo, rischiare l'incontro, farsi accompagnare dove non andrei mai per paura, controllo e codarderia; Il deserto non nasconde nulla e nulla addolcisce, ti offre il silenzio come una mano tesa che non strattona, ma comunica fiducia e prepara al momento dell'Incontro.
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