Essa è
profonda e smisurata intimità, che apre ad un respiro pieno, non è più un
flusso di “acqua fresca”, è sorgente, è il punto esatto dove sgorga e lì, vieni
posto, come un bambino adagiato nel talamo dove è stato generato. La Sua
carezza ti pone al “tuo inizio” e ti ritrovi nel luogo del “tuo approdo”, in un
abbraccio che è riconciliazione e armonia ritrovata: per-dono.
Ogni parola che cerchi di pronunciare per poter descrivere a te stesso ciò che quella carezza produce, senti che è insufficiente e per certi versi blocca quello che, in realtà andrebbe solo vissuto; il silenzio è il linguaggio appropriato in questa esperienza, perché ti immette nel flusso dell’incontro senza nessuna barriera, nessun paracadute, nessun vincolo, sei a “mani vuote”. Ci si può spaventare e si tenta di riprendere subito il controllo, eppure il Suo essere non più di fronte, ma dentro tutto il tuo esistere, ti permette di comprendere chiaramente che ogni resistenza è il rifiuto più sciocco e la scusa più banale che puoi avanzare ad un dono smisurato, di cui ne hai sempre avuto nostalgia e nel tempo ne sei diventato mendicante.
Ecco perché
nella Scrittura una delle parole ricorrenti a dismisura è “LODATE!”, espressione
intrecciata, mescolata, sporcata e messa alla prova da fatiche, lotte,
conflitti, contraddizioni e violenze, ma poi? Torna, come un intercalare di
speranza, di riposizionamento alla radice, come parola generatrice che invita e
coinvolge: LODATE! Si può sussultare, in un impeto di bellezza, di gioia piena,
di letizia, di cambio di prospettiva, non perché te lo produci da solo, ma
perché ti arriva dal TOCCO LEGGERO E DECISO DELLA CAREZZA DI DIO.
È ciò che
succede all’amata o l’amato descritto nel “Cantico dei cantici” che grida e
irrompe in un fiume di parole che descrivono la potenza dell’amore che ha
sperimentato e ricevuto, lo narra agli altri come una lode: è bellissimo,
urlerebbe.
Nella Scrittura, la carezza di Dio produce, con la stessa forza dirompente della LODE, con lo stesso vigore e potenza generatrice, la DENUCIA. La Sua carezza non è intimismo, sentimentalismo, non è il circolo delle “belle anime”, piuttosto irrompe facendo saltare i confini, ti spinge ad alzare lo sguardo e passare dalla contemplazione del tuo ombelico, agli occhi di chi ti sta accanto. La Sua carezza profonda è anche “scomoda”, nel senso etimologico che la parola racchiude in sé, ossia ti provoca fastidio, ti mette in difficoltà, immette una rottura, spezza un’armonia che era perniciosa e quindi ti mette in movimento, ti spinge ad andare fuori dal tuo “star comodo”. Fuori dal tuo comodo, trovi la realtà di vita di donne e uomini del tuo tempo, trovi i conflitti determinati e sostenuti dalle prepotenze e dai tornaconti dei pochi, vedi le disparità, le manipolazioni, le incongruenze, e non puoi più tacere. Scomodare è racchiuso anche nel “Vieni e seguimi”; chiara e senza sfumature la frase che Gesù rivolge ai primi che ha incontrato e che saranno la sua comunità di vita, per lui era palese dove si andava: nella Galilea delle genti, nella “borgia” delle contraddizioni.
In questi
giorni di eremo l’occasione di fermarsi, rallentare il ritmo, permettere ai
pensieri di decantare meglio in profondità, mi hanno permesso di rimettermi
anche all’ascolto della storia personale di Charles de Foucauld, che per me
resta quell’amico che, avendo trovato una passione per cui valeva la pena
spendere tutta l’esistenza, te la trasmette e la sa instillare in profondità,
appassionandoti così tanto e bene, che la stessa passione la senti ormai
totalmente un “tuo vestito su misura”. Rileggendolo mi sembra che la sua vita
abbia provato a mettere in armonia e in sinergia creativa proprie queste tre
parole: CAREZZA, LODE E DENUNCIA. Le ha coniugate non passando attraverso
progetti, strutture, mezzi efficaci e quant’altro, no: le ha fatte passare per
la sua carne, nel suo corpo, nell’evolvere della sua vita, nelle relazioni
concrete. Questa forma di vita scriveva a sé stesso: “vivila nel luogo più
utile per il prossimo”.