C’è una “fragilità”
che non spaventa, un “consumarsi” che
non è perdita; c’è un “prendersi il
rischio” che non è spavalderia, un “compromettersi” che non è la scelta delle mezze misure; c’è ancora un “silenzio” che non è mutismo, e c’è un “essere presente” che non è mai ingombrante o invadente; c’è poi un “ascoltare” che non ha frenesia e non
calcola il tempo che passa, c’è anche una “passione”
che sa essere discreta e non rumorosa, ma semplicemente presente. C’è un “fidarsi” che non poggia su garanzie e
richieste a priori, c’è un “per sempre”
che si nutre della creatività nel rinnovare, che sa restare quando altri
fuggono, che sa cogliere il cambiamento come evoluzione e non come rottura. C’è
un “nulla” che non spaventa perché è
un grembo fecondo, un vuoto che genera, uno spazio donato. C’è il coraggio “dell’abbandono”, che poggia sulla certezza
che l’altro è un bene per me, il sommo bene.
C’è infine la “voce di
un vento sottile” che arriva inaspettata, che non sconvolge i grandi
sistemi, che non distrugge, che non spazza via, non cancella, la sua leggerezza
le permette la rivoluzione più temuta: l’incontro dell’altro nel profondo dell’intimità,
lì in quel luogo poco frequentato dove si impara a stare liberamente senza
temere nulla, nemmeno la propria fragilità o povertà. Quando quel “vento
sottile” si lascia soffiare fino al punto più nascosto di sé, ci si spaventa,
si ha un brivido d’incertezza, un gesto d’irrigidimento, si percepisce un “troppo”,
una porta spalancata di colpo, su un infinito da cui non sappiamo più
difenderci; Allora, solo allora si coglie una libertà che tocca le nostre mani,
scioglie i nostri nodi, allenta le nostre resistenze, placa le nostre paure, da
energia alla nostra responsabilità.
C’è una “Parola” nel vento sottile: ho piantato la mia tenda tra di voi
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